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I Beatles, “Please Please Me” e un disco che ha cambiato tutto

La band britannica dei Beatles

Ci sono molteplici ragioni per cui i Beatles rimangono la più grande band di tutti i tempi, anche mezzo secolo dopo il loro scioglimento.

Sebbene all’inizio della loro carriera i Beatles fossero poco più di una pop-rock band dai toni perfino leggermenrte “smielati“, continuavano a fare le cose in modo diverso rispetto ai gruppi contemporanei, come ad esempio registrare il loro album di debutto Please Please Me, in un solo giorno: l’11 febbraio del 1963. Poco importa se George Martin (il loro storico e abile produttore da molti considerato il quinto Beatle) abbia aggiunto, in seguito, alcune sovraincisioni di pianoforte. Si trattava di semplici “rifiniture” di quello che, comunque, è un album storico. E bellissimo.

Viene inciso in sole nove ore e 45 minuti

«Di base si tratta di rock and roll, ma meno formale e leggermente più inventivo», scriverà qualche mese dopo l’uscita il «New York Times Magazine». A distanza di oltre mezzo secolo, tocca dire che si tratta di un pezzo fondamentale di storia della musica, della cultura popolare e pure dell’economia della musica: le vicende narrano infatti che i Fab Four, impegnati complessivamente per tre giorni nelle registrazioni, incassarono ciascuno 710 sterline di fee al giorno per la performance. I costi di produzione, nel leggendario studio 2 di Abbey Road, gravarono non più di 400 sterline sulle casse della Parlophone, controllata di Emi diretta dal grande George Martin. Niente male per un disco destinato a vendere qualcosa come 20 milioni di copie. Lo celebriamo a modo nostro, raccontandovi aneddoti e curiosità su ogni canzone.

I Saw Her Standing There

In principio i Fab Four erano una live band di rock and roll. Non c’è da stupirsi allora se il loro primo 33 giri parte come fosse un concerto al Cavern Club: «One-Two-Three-Four», grida Paul McCartney al microfono aprendo le «danze». Perché I Saw Her Standing There è un rock and roll adrenalinico che racconta proprio una festa da ballo tra adolescenti. Il pezzo è tutto di Paul: lo capisci dal fatto che è sua la voce principale (nei Beatles ciascuno cantava il «suo», quasi sempre). Lo capisci anche dalla melodia accattivante e dal giro di basso ossessivo che rappresenta l’impalcatura della canzone (Macca stesso ammetterà che nasceva da uno scippo a I’m talking bout you di Chuck Berry). John Lennon infila una manciata di parole nel testo, quelle giuste per rendere il brano molto di più di un accessorio per teenager. Paul cominciava scrivendo: «Beh, lei aveva solo 17 anni». John aggiunse: “Tu sai cosa intendo…». Farfallone amoroso!

Misery

Lennon da ragazzino alternava senso di onnipotenza a pessimismo cosmico. La seconda traccia del disco indugia su quest’ultimo: Misery è una dichiarazione di autocommiserazione di un lui che ha perso una lei. «Il mondo mi tratta male/ misericordia!». Quadretto degno di Charlie Brown. Sul piano musicale, il pezzo è una ballad dal sapore doo-wop con le voci di John e Paul che si sposano meravigliosamente. Finezza non da poco il riff di piano aggiunto dal «grande vecchio» George Martin.

Anna (Go To Him)

Arthur Alexander all’inizio degli anni Sessanta era il cantante sentimentale che piaceva ai rocker più svegli. Fa fede la venerazione che un certo Mick Jagger nutriva nei suoi confronti. Lennon non faceva eccezione: la terza traccia di Please Please Me era la sua Anna, ballata soul sul tema del sedotto e abbandonato: «Ragazza, prima che tu vada/ voglio che tu sappia/ che ti amo ancora tanto/ ma se lui ti ama di più/ va’ con lui». Prima «restituiscimi l’anello», poi «ti lascerò libera». Se incontrate qualcuno che dubita delle doti canore di Zio John, prendetelo per l’orecchio e fategli ascoltare Anna.

Chains

Siccome i Beatles erano uno di quei gruppi in cui «tutti contano e tutti cantano», pure George Harrison, all’epoca appena ventenne e non ancora autore, doveva avere la sua bella ribalta. Gli fu affidata Chains, pop song orecchiabile composta dall’accoppiata vincente del Brill Building Gerry Goffin-Carole King e portata al successo un anno prima negli Usa dalle Cookies. I Beatles la fanno propria con il riff d’armonica iniziale di John, marchio di fabbrica del primo periodo. George non sembra convintissimo (l’intonazione oscilla pericolosamente) ma Paul – che, in seconda voce, sale fino al soffitto – vale il prezzo del biglietto. Non è un caso se il pezzo comparirà poco nelle esibizioni live dei quattro.

Boys

Quando dietro la batteria dei Beatles sedeva il bel Pete Best, il suo momento di gloria nei concerti era rappresentato da questa cover delle Shirelles, cantata e ammiccata alle fan. Ringo Starr ne prese il posto e ne ereditò i numeri. Boys è un divertente 12 battute doo-wop che l’inanellato batterista interpreta con simpatia e sbadataggine (diciamo pure «alla Ringo»). Superbo l’assolo di chitarra con George che imita lo stile di Chet Atkins.

Ask Me Why

Pezzo di Lennon scritto a Liverpool «guardando» Detroit: il riferimento musicale erano infatti le ballate che in casa Motown sfornava quel genio di Smokey Robinson con i suoi Miracles. Una dichiarazione d’amore adolescenziale nemmeno troppo furba, in cui un lui dice a una lei: «Io ti amo/ perché mi dici le cose che voglio sapere». Pare si riferisse a Cynthia Powell, sposata un anno prima del successo perché era accaduto il «fattaccio» (ne nascerà Julian Lennon). Il brano era già noto come lato B del 45 giri di «Please Please Me».

Please Please Me

Secondo singolo (era uscito l’11 gennaio del ’63) e primo vero successo dei Fab Four, il brano arriva secondo nelle charts britanniche innescando oltremanica l’onda anomala della Beatlemania. Ad analizzarlo è indiscutibilmente diverso da qualsiasi cosa mai ascoltata prima. Lo scrisse Lennon ispirandosi a Roy Orbison sia per il gioco di parole (il calembour del titolo ricorda un po’ finezze alla Only the Lonely), sia per la struttura che doveva essere quella di una ballad rock. George Martin pensò bene di velocizzarla, valorizzarne i riff di armonica e chitarra, imbottirla di armonie vocali. Please Please Me sarà l’«apriscatole» della cosiddetta stagione dei «complessi».

Love Me Do

Primo singolo inciso dai Beatles, non era stato proprio un successone: a malapena diciassettesimo in Inghilterra. Martin attribuiva gran parte del flop allo stile approssimativo della batteria di Ringo e fu per questo che, per la versione dell’album, lo fece sostituire dietro i tamburi dal turnista Andy White. Il povero Starr dovette accontentarsi di ribadire i colpi di rullante con un tamburino. Rischiò grosso, ma per sua fortuna la storia andrà in un’altra direzione. Paul aveva scritto Love me do a 16 anni, un giorno in cui aveva marinato la scuola. Due accordi, testo a dir poco essenziale. John impreziosì il tutto con la sua armonica da portuale più che ispirata a Hey Baby di Bruce Channel. La leggenda dei Fab Four cominciò così.

P.S. I Love You

Lato B di Love Me Do, fu scritta da Paul ai tempi di Amburgo. Dello stile compositivo di Macca reca impressi i crismi nella melodia precisa e accattivante. Anche in questo caso la batteria fu affidata ad Andy White, con Ringo relegato alle maracas. Perché nei brani «epistolari» dei primi anni Sessanta era indispensabile indugiare su ritmiche che richiamassero in qualche modo il cha-cha-cha. Le prime «beatlemaniache» andavano pazze per P.S. I Love You. Non è un caso se la ritroveremo in tutti i concerti del periodo.

Baby It’s You

Altra cover delle Shirelles. Questa però, per quanto riguarda le musiche, porta nientemeno che la firma di Burt Bacharach. Non c’è da stupirsi: Zio John adorava il doo-wop. E lo interpretava divinamente: sentite come graffia la melodia nel bridge. Roba da pelle d’oca.

Do You Want to Know a Secret

Il brano fu scritto da John e offerto a George perché, nel primo album dei Beatles, cantasse due canzoni. L’ispirazione, a detta di Lennon, arrivava direttamente da una melodia tratta da un film di Walt Disney che la mamma gli cantava (secondo i beatlesologi, probabile che si trattasse di Wishing Well da Biancaneve e i sette nani). La ritmica è un po’ quella dei pezzi più compassati di Buddy Holly, altro punto di riferimento compositivo dei primi Fab.

A Taste of Honey

Qui in Italia la versione più celebre del brano – scritto nel 1960 per l’omonima commedia sentimentale – è quella strumentale di Herp Albert and the Tijuana Brass. Non per altro: per decenni è stata la sigla di Tutto il calcio minuto per minuto. Il giovane McCartney adorava la trasposizione cinematografica di A Taste of Honey a firma di Tony Richardson e le rese omaggio così. Sempre qui da noi, i Giganti renderanno a loro volta omaggio a Macca trasformando la canzone in In paese è festa.

There’s a Place

Brano composto in fretta da Lennon e altrettanto in fretta inciso, come prima seduta dell’album. Sembra una pop song ma è molto di più. Il testo è una specie di dichiarazione d’indipendenza della gioventù dei primi anni Sessanta: «C’è un posto/ dove posso andare/ quando sono giù/ quando mi sento triste/ ed è la mia mente/ e non esiste il tempo/ quando sono da solo». La musica si regge sul miracoloso equilibrio armonico tra le voci di John e Paul. Memorabile.

Twist and Shout

Erano le dieci di sera, i Nostri non ne potevano più di suonare, John era piegato da una sindrome influenzale e ormai privo di voce ma serviva un pezzo per chiudere il disco. Dopo un animatissimo confronto con George Martin, presero dal loro repertorio live questa cover degli Isley Brothers che nemmeno faceva impazzire troppo i fan. La versione dei Fab Four era più veloce, incattivita dal riff di basso di Paul, trascinante nei cori ma serviva un valore aggiunto. Lo trovarono proprio nella voce roca di Lennon che sbalordì tutta Abbey Road: nessuno aveva mai cantato così da quelle parti. Nessun cantante rock, da quel momento in poi, potrà prescindere da quell’esecuzione. La storia a volte può passare anche per un banale raffreddore.

(fonte: ilsole24ore.com)

— Onda Musicale

Tags: John Lennon, The Beatles, Ringo Starr, Paul McCartney, George Martin, George Harrison, Pete Best
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