Il 5 aprile può sembrare un giorno come tanti altri, ma il 5 aprile 1994 è una data impressa negli animi dei Nirvana e dei loro fan.
Kurt Cobain era morto, suicida dicono i rapporti della polizia, assassinato mormorano altri tra cui degli esperti forensi. Quale sia la verità non ci è dato saperlo e, tantomeno, vogliamo dare adito a speculazioni che da anni avvolgono la tragedia avvenuta al 171 del Lake Washington Boulevard.
Tutto quel che faremo sarà mostrarvi i retroscena di uno dei decessi più discusso degli ultimi tempi.
Il grunge è morto
Fuggito pochi giorni dopo essersi recato a una struttura di Los Angeles per disintossicarsi, il corpo di Kurt Cobain venne trovato l’8 aprile del 1994 nella sua lussuosa residenza di Seattle.
Gary Smith, tecnico della Veca Electronics, non avrebbe mai pensato di fare una scoperta del genere durante una giornata lavorativa come tante altre, eppure il cadavere era lì insieme a un fucile Remington Model 11 calibro 20. L’autopsia, in seguito, svelerà che il cantante aveva ingerito Valium in dosi non terapeutiche, oltre che essersi iniettato una dose di eroina sufficiente per una tripla overdose.
Però, tutte queste prove non bastarono per mettere la parola “fine” a un caso di suicidio.
L’arma (forse) del delitto e l’eroina
Il primo indizio a far storcere il naso fu proprio l’arma del delitto (se così la si vuole intendere). Poggiato sul braccio sinistro e in una collocazione innaturale per una persona che si è sparata alla testa, il fucile non era mai stato controllato per le impronte digitali fino al 6 maggio, dunque un mese dopo la morte di Cobain. Nonostante siano state rinvenute quattro schede di impronte latenti, nessuna di esse era più leggibile.
Inoltre, il rapporto tossicologico ufficiale ha stabilito che il livello di eroina nel flusso dell’artista era di 1,52 milligrammi per litro, una dose potenzialmente letale che l’investigatore privato Tom Grant prende come prova proprio per escludere il gesto avventato del cantante: in che modo sarebbe stato capace di premere il grilletto se la droga aveva già compiuto il suo lavoro?
Secondo il detective l’eroina gli era stata somministrata da una terza parte, così da inabilitarlo e poi fucilarlo.
Tom Grant e i sospetti su Courtney Love
Tom Grant, però, non è un semplice detective. Assunto dalla cantante delle Hole per trovare il marito fuggito dalla struttura di Los Angelse, l’uomo ipotizza – ancora oggi – che la vera causa della morte di Kurt sia proprio Cortney Love.
Lo stesso avvocato di Cobain, Rosemary Carroll, era d’accordo con le teorie supportate da Grant a tal punto da spronarlo a continuare nelle indagini. Inoltre, c’era un pettegolezzo che tanto pettegolezzo non era: il frontman dei Nirvana voleva davvero divorziare dalla moglie, per questo l’aveva esclusa dal testamento poche settimane prima di morire.
Mentre l’investigatore ha parlato pubblicamente di queste confidenze, la Carroll si è sempre astenuta dal commentarle. Per alcuni il silenzio dell’avvocato è una conferma che la conversazione abbia avuto luogo, per altri è un semplice tenersi fuori.
La lettera d’addio
Altro elemento importante nella scena del crimine, è la lettera che Cobain scrive all’amico immaginario “Boddah” confidandogli i dissidi interiori causati dalla fama e il disinteressamento nei confronti della musica. Quelle parole, tuttavia, sembrano più un addio alle scene piuttosto che una rinuncia alla vita.
Sono le ultime quattro righe a destare sospetti. La scrittura a mano libera sembra essere di qualcun altro, un’aggiunta nel quale il cantante rivolge il proprio saluto alla moglie e a Frances – l’amatissima figlia di venti mesi – dicendo loro che sarebbero state meglio senza di lui.
Analizzata da molti esperti, la nota ha portato a risultati differenti che dividono gli studiosi: chi è convinto che si tratti della stessa calligrafia dell’artista, chi insiste sull’intervento di una terza persona post mortem.
“Soaked in Bleach”: testimonianze e studi scomodi
Il documentario “Soaked in Bleach”, diretto da Benjamin Statler, viene improntato dal punto di vista di Tom Grant dove, inevitabilmente, Courtney Love risulta essere colpevole di omicidio.
Seppur quest’ultima abbia fatto causa al regista e cercato di impedire la proiezione della pellicola nei cinema, una clip esclusiva trova luce il 13 ottobre del 2015 in un articolo del MailOnline intitolato:
Nel breve video pubblicato, Heidi Harralson – esaminatrice di documenti forensi scritti a mano – spiega di aver scoperto un foglio di pratica nella borsa di Courtney Love contenente diverse lettere dell’alfabeto. Confrontato con la chiusa finale della lettera, il foglio contiene «le combinazioni di lettere che si trovano nella parte inferiore della lettera di suicidio».
Un’altra linguista forense, Carole Chaski, sostiene che la parte iniziale della nota abbia una grafia e uno stile linguistico differenti rispetto al resto del corpo. Inoltre, ci sono soltanto quattro righe che fanno riferimento al rapporto che l’artista ha con la famiglia e «questo è ciò che la maggior parte di noi considera un biglietto d’addio stereotipato: “Ti amo, starai meglio senza di me. Continuare ad andare avanti”» aggiunge la studiosa.
Anche Norm Stamper, ex capo della polizia di Seattle negli anni 1994-2000, compare nella clip. Senza mezzi termini l’uomo afferma di non essere convinto che Kurt sia stato vittima di un omicidio, tuttavia vorrebbe che la polizia riaprisse il caso per avere una certezza ulteriore dato che una vera e propria conclusione definitiva non si è mai raggiunta.
Nonostante il settore legale di Courtney Love abbia fatto del suo meglio per impedire la distribuzione del film, il documentario è di dominio pubblico a tal punto che è possibile comprare il dvd su Amazon.
El Duce e una morte sospetta
Siete ancora scettici? Anche noi, ma essendoci addentrati nella cospirazione non possiamo far altro che portare a galla altre testimonianze. Nel 1998 entra in scena Eldon Hoke, batterista heavy metal di Los Angeles soprannominato “El Duce”. Durante le riprese del documentario “Kurt & Courtney”, diretto da Nick Broomfield, il musicista dichiarò di aver ricevuto un’offerta di 50mila dollari da parte della Love affinché uccidesse il marito.
Sembra che la trattativa avvenne davanti al Rock Shop di Hollywood, lo stesso dirigente del negozio – Karush Sepedjian – ne fu testimone e confermò la versione data da Hoke. Quest’ultimo, bisognoso di credibilità, decise perfino di sottoporsi a una macchina della verità passando il test col 99,9% di certezza.
Seppur il batterista decise di non sporcarsi di questo omicidio, tenne per sé l’identità del vero assassino poiché avrebbe «lasciato che l’FBI lo catturasse». Anche volendolo interrogare, El Duce morì pochi giorni dopo sui binari travolto da un treno. Coincidenza? Forse sì, o forse no.
E se Hoke è obbligato al silenzio eterno, in realtà dei sospetti gravano sulle spalle di un altro musicista di Seattle: Allen Wrench. Per alcuni è stata Courtney Love ad assoldarlo, per altri è stato El Duce a girargli il lavoro sporco così da uscire indenne dalla situazione, in ogni caso Wrench cominciò a condurre uno stile di vita ben al di sopra delle sue possibilità poco dopo la morte di Cobain.
Un post mortem movimentato
In questa partita di Cluedo, i complottisti hanno un altro asso nella manica. Essendo morto il 5 aprile, il cantante non avrebbe potuto utilizzare la carta di credito il giorno dopo la sua dipartita. Al contrario, gli estratti conti bancari mostrano due transazioni fattesi il 6 aprile.
Ora, tale qui pro quo può essere spiegato in modo logico e razionale: la data post morten indica il giorno in cui la carta è stata addebitata, dunque non quando la transizione ha avuto luogo. Questa teoria, però, non convince tutti. Secondo diverse persone la carta è stata utilizzata da qualcuno in seguito alla morte dell’artista. In soccorso a questa ipotesi giunge una nota nel quale viene menzionato il ritrovamento di una sigaretta – sulla scena del “crimine” – di una marca differente rispetto a quella che Kurt era solito fumare.
Nel posacenere c’era sia la sigaretta del cantante, sia quella di un estraneo che non è mai stato identificato, dunque esiste la possibilità che quella carta sia stata usata da altri dopo il decesso del frontman.
La parola all’FBI
Nonostante l’FBI sia solita operare nell’ombra, periodicamente rende pubblici parte dei suoi archivi su politici, gente dello spettacolo e altri personaggi noti. È il 2021, sono passati 27 anni dalla scomparsa di Cobain e l’agenzia governativa americana divulga un file in cui sono svelati dei dettagli sul suicidio dell’artista.
Il documento comprendeva anche due lettere dove si sosteneva che Courtney Love fosse coinvolta nella morte del marito. Malgrado la donna sia da sempre al centro delle speculazioni di un probabile omicidio, l’FBI non ha mai potuto intraprendere azioni investigative poiché, sulla base delle informazioni ricevute, le leggi federali non era state violate.
Di conseguenza, la giurisdizione non spettava – e spetta – loro. Ad oggi, nessuna prova schiacciante contro Courtney Love è mai stata trovata, tantomeno una prova che potesse mettere in discussione la versione ufficiale sulla dipartita di Cobain.
Che siano complotti, leggende o voci di corridoio, l’unica cosa davvero certa in questa storia è che «è meglio bruciare subito che spegnersi lentamente».