Musica

Roger Waters: e se il grande genio si sbagliasse e i Pink Floyd fossero ancora vivi?

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George Roger Waters nasce a Great Bookham (Inghilterra) il 6 settembre 1943 ed è un cantautore, polistrumentista, compositore e attivista britannico. Vive sia in Inghilterra che a Long Island (Stati Uniti)

Roger Waters è stato cofondatore dei Pink Floyd, insieme a Syd Barrett (in seguito sostituito da David Gilmour), Richard Wright e Nick Mason. Storico autore del gruppo e ideatore delle tematiche sottese ad alcuni degli album più celebri del gruppo (come The Dark Side of the MoonAnimals The Wall), nella seconda metà degli anni settanta ha progressivamente acquistato sempre più influenza decisionale all’interno del gruppo, divenendone il leader, nonché principale autore, finché non ne uscì nel 1985 per proseguire la carriera da solista.

“Voglio essere nella trincea della vita. Io non voglio essere al quartier generale, io non voglio essere seduto in un albergo da qualche parte a guardare il mondo che cambia, voglio cambiarlo io. Voglio essere impegnato. Probabilmente, in un modo che mio padre forse approverebbe”

Roger Waters
Recentemente ha tenuto alcuni concerti in Italia (al forum di Assago)

L’ideologo nonchè grande genio creativo dei Pink Floyd riscrive la storia dei live sul piano dello spettacolo e della qualità audio. Ma – fa notare qualcuno – è il concerto più politico dai tempi degli Inti Illimani, gruppo cileno attivo fion dal 1967.

Una volta si diceva uomo avvisato mezzo salvato. «Se sei il tipo di fan “mi piacciono i Pink Floyd ma non sono d’accordo con le idee politiche di Roger”, faresti bene ad andartene a fanculo al bar in questo momento». Parte con questo avviso, scandito dalla voce impostata di una specie di steward ed enfatizzato dalla scritta sugli schermi a led, il concerto di Roger Waters al Mediolanum Forum d’Assago, prima data della parentesi italiana del «This is not a drill tour» (si replica il 28, il 31 marzo e l’1 aprile ancora ad Assago, poi il 21, 28 e 29 aprile alla Unipol Arena di Casalecchio: sette sold out, che te lo dico a fare).

Un pugno in faccia al mainstream

È un calcio in bocca, il segno immediato che la comunicazione mainstream, su temi che negli ultimi tre anni sono stati al centro del dibattito pubblico (la guerra in Ucraina, il Covid, Israele), non è la benvenuta. Roger Waters lo conosciamo: è così, prendere o lasciare. Mica per caso le date di Cracovia e Francoforte sono state cancellate, con immancabile strascico di polemiche, petizioni e azioni legali. Mica per caso il dossier sulla vendita dei diritti dei Pink Floyd, a un centimetro dal colpaccio di Blackstone, si è improvvisamente arenato (voi li investireste 500 milioni di dollari sul songbook di un artista immenso che, a giorni alterni, accusa di crimini di guerra Washington e Tel Aviv?). Mica per caso il suo videomessaggio a Sanremo 2020 fu annunciato e mai più mandato in onda, circostanza mai chiarita fino in fondo dalla Rai (ma possiamo immaginare). Chi è sinceramente atlantista deve fare i conti con tutto ciò, nella consapevolezza che, dal punto di vista dell’apparato scenografico e acustico, il «This is not a drill Tour» riscrive la storia dei concerti nei palazzetti: show mastodontico, qualità audio incredibile, qualcosa di inedito per gli standard del Forum.

L’apparato scenografico che riscrive la storia dei live

Il palco sta al centro dell’arena, è a 360 grandi, direbbe la Meloni, sovrastato da una croce mobile di schermi a led che ospitano quella che Waters definisce la «cinematic experience» del tour: non banali video di accompagnamento ai brani che vediamo in tutti i concerti, ma veri e propri inserti narrativi che mescolano immagini e testo. Per dire: si comincia con un’oscura Comfortably Numb e l’occhio cade sulle immagini di devastazione di un inverno nucleare. La sveglia ce la dà il trittico di The Happiest Days of our LivesAnother Brick in the Wall part 2 e 3 mentre ci insegue una cartellonistica che ripete ossessivamente «Noi siamo i buoni, loro i cattivi», come succedeva nei film più schierati di Fassbinder. Per chi non l’avesse capito: ce l’ha con la guerra in Ucraina.

I bersagli sono i soliti Reagan, Trump e Biden considerati “criminali di guerra”

E poi l’attacco a tutte le polizie del mondo, con i nomi di tutti i cittadini inermi uccisi dai poliziotti, da George Floyd in giù, per The Powers that be. E soprattutto The Bravery of Being Out of Range, col discorso iniziale di Reagan, chiamato «criminale di guerra». E come lui Trump e come lui Biden, definito «war criminal getting started», a una manciata di giorni dalla vera incriminazione di Putin da parte del Tribunale dell’Aja. Che non viene citata. È una provocazione, chiaro. Qui lo spettatore atlantista alzerebbe timidamente il ditino per far notare che sì, vanno bene i «fuck the drones» e l’autoflagellazione che gli intellettuali dell’Occidente capitalista compiono dagli anni Sessanta a questa parte, ma non è che ad andare dall’altra parte dei «muri» (nel 2023 serve il plurale), in Cina o in Russia, sia tutta questa passeggiata di salute. Si va a finire a The Bar part 1, ballad pianistica sull’importanza sociale della relazione tra gli individui scritta durante il lockdown che, per forza di cose, negava quella relazione tra gli individui.

Nostalgia dei Pink Floyd? Forse, ma non di tutti…

Il momento più commovente dello show di Roger Waters è comunque la lunga parentesi di amarcord floydiano. La satira sullo showbiz anni Settanta di Have a Cigar, l’omaggio a Syd Barrett (con un pizzico di revisionismo storico ma, l’avrete capito, fa parte del personaggio) di Wish you were here. Qui le scritte sul video ti tirano un altro pugno nello stomaco: se in vita tua hai perso qualcuno che amavi, lo avrai capito che questa non è un’esercitazione, «This is not a drill», appunto. Poi la coda di Shine on you crazy diamond e ancora Sheep che, nel lyrics video, omaggia esplicitamente Orwell e Huxley, modelli distopici di Animals. La pecora gonfiabile ci ricorda il nostro essere gregge mentre qua e là spuntano immagini di pillole e Sars Cov2, mannaggia a Big Pharma. E anche qui uno alzerebbe il ditino per dire sì, vabbé, Big Pharma e tutto il resto, però alla fine dopo i vaccini siamo tornati a fare la vita di una volta e guarda invece in Cina…

L’attacco ai totalitarismi? Sta in «In the flesh?» (forse)

Se cercate un accenno ai totalitarismi più o meno diluiti che stanno dall’altra parte dei muri (democrazie «guidate», direbbero là) , dovete immaginarvelo nella vecchia metafora dei martelli incrociati di In the flesh? e Run like hell, mentre è chiara a tutti la nazionalità del porco danaroso che balla su giro di basso di Money, stavolta cantata dal chitarrista Jonathan Wilson che sembra un po’ il correlativo oggettivo di Gilmour. Al sax spadroneggia Seamus Blake che si farà notare anche in Us and Them, classicone floydiano attualizzato alla questione palestinese (per la cronaca: Waters Déjà vu la ha addirittura cantata con la kefiah intorno al collo). Si segnalano qua e là un po’ di stoccate video a Israele anche sulla questione della riforma della giustizia. Amor floydiano ci impone di inserire pure l’esecuzione di Brain Damage ed Eclipse, a 50 anni da The Dark Side of the Moon, tra le cose meglio riuscite di una grande serata di musica.

Il concerto più politico dai tempi degli Inti Illimani

Tirando le somme: «This is not a drill» è uno degli show più spettacolari e musicalmente godibili degli ultimi 20 anni, ma al tempo stesso è probabilmente il concerto più politico dai tempi degli Inti Illimani. Roger Waters si è sempre preso sul serio (il sense of humour, dopo il divorzio, deve essere andato tutto a Nick Mason) e, a 79 anni, lo fa ancora di più: invita lo spettatore a riflettere su quella che ritiene propaganda, ma in un certo senso fa a sua volta propaganda. La croce di schermi a led recita: «Chi controlla la narrativa comanda». Ma per tutta la durata dello show la narrativa la controlla Waters. È un artista che provoca e, come tutti i grandi provocatori, sceglie di non analizzare, adotta la semplificazione.

Non ci aspettavamo certo l’acume delle riflessioni geopolitiche di Ugo Tramballi però, considerato che a Roger Waters l’Occidente capitalista non piace, sarebbe interessante capire da lui quale modello gli contrapporrebbe, un modello che magari non sia l’Utopia di Tommaso Moro. Nel frattempo metteremo l’esperienza di «This is not a drill» sullo stesso scaffale dei Cantos di Pound, dei romanzi di Céline e della Cinese di Godard. Arte sublime con cui facciamo una certa fatica ad andare d’accordo.

(scritto da Francesco Prisco e pubblicato su ilsole24ore.com)

— Onda Musicale

Tags: Pink Floyd/David Gilmour/Nick Mason/Syd Barrett
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