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American IV, il testamento di Johnny Cash

Nel 2002 esce l’ultimo disco in vita di Johnny Cash, ed è un capolavoro di malinconia che ci fa capire quanto fosse un grande artista.

Una vita fa

Sembra una vita fa quando Johnny Cash, che all’epoca vendeva elettrodomestici porta a porta e sognava di lavorare in radio, si distinse alla Sun Records di Phillips e iniziò una carriera megagalattica. Era il 1955, e Johnny già suonava con alcuni amici, ribattezzati The Tennessee Two o Three, quando, oltre ad un altra chitarra e al contrabbasso, si aggiungeva la batteria.

Con loro suonava dei gospel, dei blues e del country, i suoi amori più grandi

La vita è meravigliosa e lui sembra azzeccarle tutte. Le sue canzoni piacciono a chiunque: amanti del country e del rock and roll, bianchi e neri, genitori e figli. I temi sono universali e agli amori impossibili riesce facilmente ad accostare i contrasti generazionali che saranno la miccia della ribellione giovanile. E proprio quella del ribelle è la figura che gli piace di più. Le tenta veramente tutte, soprattutto quando inizia le tournée e, per reggere il duro lavoro, inizia a consumare anfetamine e barbiturici. E l’immancabile bottiglia di whisky.

Il consumo di alcol e droghe lo porta ad essere sempre più scostante, ma non ne risente la sua vena creativa. In questi anni, nei primi ’60, tra le altre, sforna la sua memorabile versione di Ring Of Fire. E non serve aggiungerne altre. La detenzione e il consumo di droghe lo porterà anche in carcere ma, soprattutto, lo farà divorziare dalla prima moglie che, stanca del suo comportamento e delle sue dipendenze già da un po’ di tempo, gli dà il ben servito una volta per tutte.

Poi, la luce

Nel 1968 Johnny Cash decide di smettere con le droghe, complici un tentato suicidio e la famiglia Carter, che del country erano vere e proprie leggende viventi. Tra loro c’era June, una delle tre figlie, che, oltre a far parte di una costola della Carter Family chiamata Carter Sisters, sposò Johnny. Il loro amore durerà per trentacinque anni e solo la morte li ha potuti separare.

Johnny e June sono una delle coppie più belle della storia del rock ed è solo capendo questo che si può comprendere la grandezza di American IV: The Man Comes Around.

Un disco magico

American IV è il quarto disco di una serie che ha coinvolto Johnny Cash e Rick Rubin, leggendario produttore hip hop e metal che decide di scritturare Johnny per la sua etichetta, la American Recordings.

American Recordings è anche il titolo del primo di questi dischi. Rick riuscì a convincere Johnny soprattutto dandogli piena libertà creativa ed espressiva; Johnny si fece convincere perché, nonostante fosse una leggenda vivente, faticava a trovare nuovi dischi che gli permettessero di raggiungere le vette del passato.

A differenza del primo disco della serie, nel quale Johnny canta e suona da solo alcune delle sue canzoni, tutti gli altri dischi vedono la collaborazione di musicisti piuttosto importanti. Il solo American IV, per esempio, ha tra le sue fila Fiona Apple, John Frusciante, Nick Cave e Billy Preston. Va da sé che la qualità è già altissima dalle note di copertina.

È fondamentalmente un disco di cover, ma l’intensità e l’introspezione di Johnny sono tali da renderlo un disco di pezzi originali.

Le sue versioni di Personal Jesus dei Depeche Mode, la cui chitarra è suonata da Frusciante, o di Hurt dei Nine Inch Nails sono meravigliose al punto da farti venire le lacrime agli occhi. Così come i brani più tradizionali di Hank Williams, come la bellissima I’m So Lonesome I Could Cry, cantata in coppia con Nick Cave.

Il disco offre spunti di riflessione infiniti, e il magnetismo di Johnny è incredibile

Il video di Hurt, ultimo singolo promozionale, pur nella sua semplicità, è meraviglioso. Vincerà un Grammy Award come miglior video del 2002, puntando tutto sull’espressività del suo volto, invecchiato, saggio e malato. Ed è forse proprio la consapevolezza della malattia che rende incredibile questo disco, così come lo è stato per Blackstar di Bowie. I brani e la musica tutta assumono colori dalle tinte fosche, ma allo stesso tempo non è la tristezza che permea il disco, ma la malinconia.

American IV è stato seguito da altri due dischi usciti postumi, ma che, a mio modesto parere, faticano a raggiungere lo stesso pathos.

— Onda Musicale

Tags: David Bowie, Depeche Mode, Billy Preston, Nick Cave
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