Con sonorità potenti, e al contempo graffianti, la metamorfosi artistica di David Bowie comincia da un ragazzo pazzo.
“A Lad Insane”, un ragazzo pazzo. È da questo gioco di parole che “Aladdin Sane” prende il nome, un gioco di parole che voleva far riferimento alla scissione interiore che affliggeva il cantante in quel periodo, ma anche un omaggio al fratellastro Terry, affetto da una grave forma di schizofrenia. Un omaggio, per l’appunto, a colui che lo aveva iniziato alla musica, alla letteratura, facendogli scoprire maestri del jazz – John Coltrane ed Eric Dolphy – o geni della Beat Generation quali William Burroughs e Jack Keouac.

Uno dei temi di fondo dell’album è proprio la sanità mentale e il modo in cui far fronte alle difficoltà. Se Ziggy Stardust cantava il come affrontare la celebrità, le gelosie professionali e la realtà della vita, Aladdin guarda alla battaglia che si combatte col proprio stato psicologico.
Aladdin Sane: un viaggio tra mente e America
Composto e registrato in America durante il “The Ziggy Stardust Tour” alla fine del 1972, dai testi di “Aladdin Sane” traspare la piena euforia, gli eccessi, che il cantante viveva grazie al successo ottenuto. Non più una corsa verso la vetta, bensì l’immagine ebbra di chi ha raggiunto l’apice e ne è stordito.
Aladdin Sane era da una parte, un’estensione di Ziggy», spiegò Bowie, «d’altro canto era più soggettivo, Aladdin Sane era la mia idea dell’America rock ‘n’ roll. Ero coinvolto in quel grande circuito di concerti e non mi piaceva molto.
Un viaggio musicale che, tra citazioni esplicite e implicite ai Rolling Stone, fa sue atmosfere teatrali e decadenti per poi crogiolarsi nelle complicate corse jazzy di Mike Garson su un pianoforte d’avanguardia, come nel brano “Aladdin Sane”.
Il lungo assolo di pianoforte di Mike Garson è favolosamente fantasioso e suggestivo, incorporando frammenti di Rhapsody In Blue e ‘Tequila’.
Non mancano ballate dai suoni latineggianti, tantomeno la nostalgia verso la musica degli anni Cinquanta e Sessanta, da cui Bowie riprende ritmi, accordi e tematiche. Per rendere ancor più borderline l’album, il cantante aggiunge rock-blues, ritmi neri e un crescendo di chitarre. Nessuna coerenza nel mondo da rockstar.
Proprio con la chitarra di Mick Ronson, il (futuro) Duca bianco intendeva sfidare i Rolling Stones sia attraverso la cover “Let’s Spend The Night Together”, sia con esplicite allusioni a Mick Jagger in “Drive – In Saturday” e in “Watch That Man”.
“Let’s Spend The Night Together” continua la preoccupazione degli Stones. Qui, una delle chiamate più apparentemente eterosessuali nel rock viene trasformata in un bi-inno: la cover è un mezzo per un revisionismo definitivo. La resa qui è campy, butch, fragile e insoddisfacente. Bowie ci sta chiedendo di ri-percepire “Let’s Spend The Night Together” come una canzone gay, possibilmente sin dal suo inizio. L’ambiguità sessuale nel rock è esistita molto prima che qualsiasi pubblico fosse in sintonia con essa. Tuttavia, sebbene il punto di vista di Bowie sia ben compreso, i suoi metodi non lo sono.
Ogni brano è legato a una città americana, ma a ispirare la ballata doo-wop “Drive – In Saturday” è stato il deserto dell’Ariziona che, con i suoi paesaggi lunari, ricorda un luogo post apocalittico dove l’umanità ha perso la propria memoria.
‘Drive-In Saturday’ è stato concepito durante il passaggio di Bowie attraverso il deserto dell’Arizona. È una fantasia in cui il popolo, dopo un terribile olocausto, ha dimenticato come si fa l’amore. Per imparare di nuovo seguono corsi al drive-in locale, dove guardano film in cui “come una volta… la gente fissava Jagger negli occhi e segnava”.
Grazie al riff creato da Mick Ronson, il quale si ispirò alla versione degli Yardbirds di “I’m A Man”, “The Jean Genie” nasce durante un viaggio che va da Cleveland a Memphis. Il glam rock, invece, fa da padrona in “Watch That Man” e in “Cracked Actor”, mentre “Aladdin Sane (1913-1938-197?)” e “Time” sembrano quasi il frutto dell’unione fra i Rolling Stones e il teatro.
Minacciosamente, tra parentesi dopo il titolo, ci sono le date ‘1913-1938-197?’. I primi due sono gli anni prima dello scoppio della prima e della seconda guerra mondiale, rispettivamente, e non abbiamo motivo di pensare che 197? rappresenta tutt’altro che un anno prima della data del terzo. La musica è orientalismo da serra, frastagliata, dissonante e audace, ma anche malinconica e retrospettiva. […] Lo scoppiettio impaziente della macchina (la chitarra elettrica) si scontra dolcemente con le agitazioni più selvagge ed estreme di una cultura morente (il pianoforte). Siamo stati depositati nel regno di Ives e Stravinskij.
Tra le diverse influenze riscontrabili in quest’album, Bo Diddley è un richiamo evidente nel brano “Panic In Detroit” dove il turbamento è messo ancor più in risalto dalla spettacolare chitarra di Ronson. Giunti alla fine di un peregrinare schizofrenico, “Lady Grinning Soul” è un appello all’aldilà, una torch song fuori dal tempo che soltanto David Bowie è capace di interpretare.
L’appello all’aldilà, o al suo equivalente, che è implicito in questa canzone, usando il teatro come metafora, è ulteriormente chiarito in “Lady Grinning Soul”. La canzone è arrangiata magnificamente; La chitarra di Ronson, sia a sei che a dodici corde, altrove così muscolosa, è qui, a parte qualche difetto di intonazione sull’assolo acustico, molto poetica. Bowie, un cantante di ballate nel cuore, che conferisce al suo canto rock un tocco speciale, dà a “Lady Grinning Soul” la voce più espansiva e sincera dell’album.
L’assassinio di Ziggy Stardust
“Aladdin Sane” uccise Ziggy Stardust. Durante un concerto, lo stesso Bowie annuncia la morte del suo personaggio, seppur da lì a poco sarebbe arrivato il The Thin White Duke. Una metamorfosi musicale, artistica, che dette il via alla trilogia berlinese alla fine degli anni Settanta.
A cadere non fu soltanto Ziggy Stardust, bensì anche gli Spiders From Mars che avevano scortato il Duca Bianco all’apice del successo. L’affiatamento tra il cantante e la band – composta Mick Ronson, Trevor Bolder e Mick Woodmansey – ha regalato un rock’n’roll ruvido, un punto di partenza per le future generazioni di musicisti.

Per quanto possa sembrare assurdo, David Bowie non fu del tutto soddisfatto dall’album. Solo col tempo il cantante riconobbe la magnificenza di “Aladdin Sane” a tal punto da definirlo pubblicamente come un lavoro migliore di “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars”. Dichiarò, infatti, che si trattava di una progressione rispetto a “Ziggy Stardust”, un disco più aggiornato in termini di rock’n’roll.
L’iconica copertina
Definita come “La Monna Lisa delle copertine dei dischi”, la copertina di “Aladdin Sane” è la copertina più costosa mai realizzata fino a quel momento.
Un fulmine attraversa il volto di David; sulla copertina interna il ragazzo è aerografato nell’androginia, una figura non meno imponente per questo. Sebbene sia stato consacrato per uscire tra noi e diffondere la parola, troviamo infilato nella manica, come biancheria intima sporca, un modulo che richiede il nostro nome, indirizzo, “star del cinema e della TV preferite”, ecc., oltre a $ 3,50 per l’iscrizione a il David Fan Club (materiali per posta non specificata).

Il fotografo Brian Duffy desiderava catturare la scissione artistica e interiore che infuriava in Bowie
Molti furono gli scatti, ma nonostante le differenti angolazioni con cui venne ritratto l’artista, alla fine il fotografo scelse l’iconica immagine che oramai tutti noi conosciamo. Fu Philip Castle ad aggiungere con l’aerografo quella lacrima colorata all’interno della clavicola del cantante, oltre che l’effetto argentato presente sulla pelle del rocker britannico. Accentuò anche la mancanza di sopracciglia così da donare allo scatto un’aura di futurismo che rappresentava il folle ragazzo di “Aladdin Sane”.

La sua lontananza, la sua testardaggine, non descrivono un uomo alla mercé dei media o del suo pubblico, pronto a cambiare rotta per loro volere, ma uno che vuole che eseguano i suoi ordini: l’arroganza del vero credente. David ha organizzato la sua carriera secondo un programma a cui aderisce fermamente. Con il Tempo che aspetta dietro le quinte, un’apocalisse vicina, gli manca la libertà di manometterla. […] Il suo obiettivo non è solo quello di riportare la musica alla sua statura come qualcosa di più della semplice musica. Con il senno di poi, è fare un ulteriore passo avanti.