È il 1984 quando un giovane Bruce Springsteen dà voce ai nuovi emarginati sociali: i veterani del Vietnam.
Considerata da molti come una canzone pregna di orgoglio americano, in realtà “Born in the U.S.A.” è un brano di protesta, un brano che condanna il trattamento riservato ai reduci di un conflitto inutile e disastroso.
Il falso orgoglio di essere “Born in the U.S.A.”
Fraintendere il messaggio cantato da Springsteen, però, è molto semplice. Il titolo sembra urlare la gioia di essere nati negli Stati Uniti, un’idea esaltata dal travolgente ritornello che coinvolge il pubblico e chiunque abbia il piacere di ascoltarlo.
Basterebbe leggere con maggiore attenzione il testo per capire il vero intento dell’artista, il quale presta la voce a un veterano affinché racconti la sua storia. Arruolatosi per evitare la prigione, gli venne ordinato di «uccidere gli uomini gialli» nella terra ostile da cui nessuno ne usciva vivo.
Tornare a casa, che non è più casa
Al contrario di tanti altri militari che hanno perso la vita, lui riesce a tornare in Patria, dove una nuova e brutale realtà lo attende. I veterani erano considerati alcolizzati, drogati, persone traumatizzate e non adatte per la comunità. Nella versione precedente di “Born in the U.S.A.” il protagonista cerca di riottenere il lavoro, abbandonato in precedenza, ma il capo gli risponde:
Se prima l’esercito lo aveva salvato dalla galera, stavolta è proprio la sua appartenenza ad esso che lo condanna alla detenzione.
I fantasmi della società
Dimenticato da chiunque, l’uomo osserva una fotografia dove sono ritratti una donna vietnamita insieme a un soldato americano che è morto sul campo. «They’re still here, he’s all gone» riflette il protagonista, una riflessione che sottolinea l’inutilità del confitto dove i cosiddetti “nemici” sono ancora lì, al contrario di molti altri militari che non ce l’hanno fatta.
Dopo questa constatazione, l’energia della canzone cambia, si affievolisce quasi come se volesse rappresentare la condizione di fantasmi a cui i reduci erano relegati.
L’inizio della fine
Come ha fatto “Born in the U.S.A.” a diventare un inno patriottico? La colpa è di due editorialisti conservatori: George Will e Bernie Goldberg.
Quest’ultimo, durante una puntata di CBS Evening News del 1984, afferma che se gli americani lavorassero «abbastanza duramente e abbastanza a lungo, come lo stesso Springsteen, possono anche arrivare alla terra promessa». La meritocrazia, secondo cui chiunque può farcela, è uno dei messaggi fondamentali dell’ala conservatrice, al contrario, non è uno dei messaggi presenti nei testi di The Boss.
Ad alzare la posta in gioco, però, è George Will che suggerisce a Ronald Regan di inserire la figura di Bruce Springsteen in uno dei suoi discorsi pronunciati nella campagna elettorale del 1984.
Non sappiamo se il Presidente repubblicano fosse a conoscenza delle idee politiche del cantante, decisamente diverse dalle sue, ma ciò di cui siamo certi è che da quel momento cominciò l’interminabile fraintendimento dell’artista.
Malgrado il qui pro quo, Springsteen non rifiutò il complimento fattogli da Regan, tuttavia ne prese le distanze sostenendo che il Presidente aveva travisato il messaggio che “Born in the U.S.A.” cercava di trasmettere.
Quando è meglio fraintendere piuttosto che accettare la verità
Nella speranza di rendere chiaro al mondo cosa volesse dire, The Boss assunse il regista John Sayles per realizzare il video della canzone. Tra i filmati dei concerti live, compaiono anche spezzoni che mostrano vietnamiti di Los Angeles, i colletti blu, soldati in addestramento, soprattutto dei veterani in fila per chiedere prestiti con anticipo sullo stipendio.
Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere e la politica americana ne è un esempio: comizi elettorali e discorsi di vittoria continuano a usare “Born in the U.S.A.” come sottofondo.
Se i piani alti proseguivano nella strumentalizzazione del brano, Springsteen decise di puntare sulla folla eseguendo la canzone solo con l’accompagnamento della chitarra acustica nel vano tentativo di far concentrare il pubblico sul testo invece che sulla musica. In alcune occasioni, pur di evidenziare il vero significato del pezzo, il cantante ha ospitato sul palco i racconti di chi quel Vietnam l’ha vissuto e poi è tornato.
Che sia riuscito nel suo intento o meno è ancora da capire, ma nessun governo potrà mai cancellare la delusione dei veterani.