La recensione del critico Maurizio Scandurra, anche opinionista de ‘La Zanzara’ di ‘Radio 24’.
Li ho visti al Tg1 delle 13.00 e sono rimasto incantato. Scocca l’ora del quarantennale per uno fra i brani più rappresentativi della musica italiana. ‘Vacanze Romane’ scorre così, leggera e sinuosa, fra gli echi e le architetture di una Roma austera, ma pur sempre luminosa, come traspare dal video, location Palazzo Ferrajoli (quello del memorabile marchese alla cui storia si rifece Paolo Sorrentino ne ‘La Grande Bellezza’) per la regia sapiente di Eleonora Maggioni.
Il tutto solo sulle note di una chitarra: quella di Carlo Marrale, che la compose, storico fondatore dei Matia Bazar della prima ora – quelli nati nel 1975 – nonché unico membro del gruppo originale al momento rimasto in attività anche sotto il profilo concertistico.
Alla sua, di voce, che già ci deliziò più volte sin dall’inizio al microfono con Antonella Ruggiero, ora si affianca, in un sodalizio che profuma di disincanto e poesia quella, altrettanto virtuosa e intensa, di Silvia Mezzanotte. Che seduce l’ascolto, prendendo per mano cuore e mente. Accompagnandoli entrambi su una melodia che rimanda i ricordi anche ai carrugi genovesi (città in cui proprio nacquero i Matia Bazar), qui invece sostituiti dai fasti inalterati della Città sempiterna.
Una sei corde come strumento, quattro corde vocali, due per parte, a fare 10: il numero dei campioni. Dei fuoriclasse. Di due talenti nati per fondersi con una naturalezza sconvolgente, tanta è la sintonia che sprigiona ovunque la perfetta fusione dei loro stili canori. Delicati, preziosi, mai ingombranti. Come se si conoscessero da sempre.
Come si evince anche dall’osservazione, attenta e misurata, di quanto accade sul palco de ‘La Nostra Storia’, titolo del loro tour congiunto prodotto da Carlo Costanzo e Stefano Baldrini: uno show ritmico, pulsante e avvolgente in cui Carlo Marrale (che, ripeto, tenne a battesimo i Matia Bazar insieme a Cassano, Ruggiero e ai mai dimenticati Golzi-Stellita) e la voce vincitrice del Festival di Sanremo 2002 ripercorrono a piè pari, in un bilanciato gioco delle parti, i più grandi successi della band ligure, accompagnati da quattro, altrettanto formidabili polistrumentisti.
Ci vuole credibilità e stile, per cantare le canzoni dei Matia Bazar. E loro ce l’hanno. Ci vuole storia, per cantare le canzoni dei Matia Bazar. Presente anche quella: entrambi sono da decenni noti al grande pubblico e hanno vinto, con le rispettive formazioni, in qualità di cantanti, un’edizione a testa della kermesse canora più amata d’Italia. E, fatto più che rilevante, tutti sanno che faccia hanno, soprattutto chi sono e che cosa hanno fatto.
Ci vuole voce, è chiaro. Voce (mica solo estensione): perché il pathos è un carisma innato elargito a pochi. Un dono divino che va ben usato. E di gente che urla senza senso né personalità, in giro, ce n’è già abbastanza. Una che ha vinto ‘Tale e Quale Show’ interpretando – peraltro, in tonalità originale – anche ‘Brava’ di Mina penso nulla abbia da dimostrare a nessuno. Ca va sans dire…
Perché c’è differenza tra Arte e mestiere: come ben testimoniano la misura e il garbo conturbante della Mezzanotte, ormai considerata sempre più iconica artista cult della nostra canzone.
E anche di questa, in particolare: che, seppur scritta prima del suo arrivo nei Matia Bazar degli anni Duemila, con lei alla voce diventa, a tutti gli effetti, una nuova canzone.
Perfetta sintesi tra passato e presente.
La sua, di canzone. La loro.
Quella di Carlo e Silvia: quel che, per me, resta dei Matia Bazar.