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Bayou Country, la svolta dei Creedence Clearwater Revival

Bayou Country del 1969

Il 5 gennaio del 1969 inizia il lungo anno dei Creedence Clearwater Revival con l’uscita di Bayou Country. Si tratta del secondo album della band e segue di sei mesi il debutto.

Nel giro i dieci mesi la band di John Fogerty ci darà dentro come poche altre nella storia del rock. Dopo Bayou Country, ad agosto sarà la volta di Green River e a novembre di Willy and the Poor Boys; un tour de force che si concluderà nel 1970 con Cosmo’s Factory, capolavoro della band e – allo stesso tempo – disco che segna i primi dissapori.

Il primo lavoro dei Creedence Clearwater Revival, eponimo, non ha sfondato del tutto nelle classifiche ma ha comunque imposto all’attenzione il sound tradizionale ma ruvido dei californiani. Pur distaccandosi per suoni e filosofia dall’ondata psichedelica che al tempo imperversa, il complesso fa breccia nell’allora vasta platea del rock.

Mentre Jefferson Airplane, Grateful Dead e compagnia psichedelica riformano il vecchio rock’n’roll dilatando tempi e coscienze con l’aiuto di certe sostanze chimiche, i Creedence rispolverano l’energia del rock’n’roll delle origini e la ibridano con pulsioni blues e country. Se il primo lavoro è improntato al blues e al suono acido della chitarra di Fogerty, nel seguito gli aneliti country si fanno più vividi.

John è ormai padre padrone della band che all’inizio aveva visto – come Golliwogs – spadroneggiare il fratello Tom. A eccezione di Good Golly Miss Molly, vecchio numero di Little Richard, tutti i pezzi sono composti da John Fogerty. Non solo, anche la voce e la chitarra solista sono appannaggio di John, quasi che gli altri fossero più una backing band che compagni di gruppo alla pari. Alla lunga, la situazione finirà per minare gli equilibri, ma anche per dimostrare la superiore caratura del leader.

Come recita il titolo, il suono dei Creedence è il Bayou Sound, come lo chiameranno, quasi a rimarcare la distanza dalla musica californiana del periodo. Un suono che viene diritto dalle paludi del profondo sud degli Usa, proprio quel bayou che si trova in Texas e Lousiana. Peccato che John e compagni siano californiani fino al midollo.

Bayou Country è un album scarno, come usava allora. Erano tempi in cui le band non passavano anni in tour e mesi in studio di registrazione; i dischi non dovevano conquistare l’ascoltatore per sfinimento, con una scaletta di venti brani come spesso accade oggi. No, spesso il gruppo entrava in sala di registrazione con un po’ di materiale, lo registrava e – nel giro di poche settimane – il lavoro era già nei negozi.

Così succede a Bayou Country, perfetta fotografia dei piccoli aggiustamenti di sound che i Creedence introducono dopo il debutto. Come a dichiarare gli intenti, il disco si apre con Born on the Bayou, cavalcata che si regge su un blando riff in tipico stile Creedence, alla Suzie Q, e soprattutto sulla voce di carta vetrata di Fogerty. Gli ingredienti sono i soliti e mescolati in modo sapiente.

Un po’ di bayou, un pizzico di voodoo, un assolo di chitarra piuttosto calmo e la prestazione eccezionale di John Fogerty. Il classico è servito, subito in apertura.

Bootleg ha un approccio più acustico e rende omaggio al rock’n’roll degli anni Cinquanta. La chitarra di John funge quasi da seconda voce e risponde colpo su colpo alle strofe declamate dal cantante. Non c’è una vera parte di chitarra solista, ma uno dei tipici intermezzi con accordi robustamente pennati che diventeranno proverbiali del suono Creedence.

Il primo lato è già in chiusura con la lunghissima Graveyard Train, oscuro blues alla maniera di Howlin’ Wolf. Si tratta di un pezzo ossessivo e ossessionante, non lontano da certe future cavalcate di Nick Cave. John la fa come sempre da padrone alla voce e alla ficcante chitarra, che pare evocare quella di Hubert Sumlin, fantastico e semisconosciuto strumentista di Howlin’ Wolf. In più, quasi a rimarcare la sua assoluta predominanza, Fogerty sfoggia anche una scintillante parte all’armonica.

Il lato B si apre con la cover di Good Golly Miss Molly di Little Richard.
La versione targata Creedence è più incline al blues di Chicago che al rock dei Fifties. John canta da par suo e infarcisce le strofe di preziosi riff di chitarra a cui attingerà anche il Clapton di Tore Down, venticinque anni dopo. L’assolo è uno dei più fulminanti di John, chitarrista poco considerato ma perfetto nell’ambito del sound proposto.

La chitarra di Fogerty è pulita e abrasiva a un tempo; non c’è mai una nota o un virtuosismo di troppo: chapeau.

Penthouse Paper è ancora un bel rock mid-tempo con una spruzzata di soul e la chitarra di Fogerty che propone un suono acuto, lancinante. Le parti alla sei corde sono in pieno campo blues, quello di Chicago in particolare. Un peccato che questo brano sia poco ricordato, non ha nulla da invidiare ai migliori della band.

Siamo al penultimo pezzo e i Creedence piazzano il capolavoro che dà la svolta alla loro storia. Un dimesso attacco di chitarra acustica introduce Proud Mary, cavallo di battaglia di Bayou Country e forse dell’intera carriera. Il brano, definito da Bob Dylan, il migliore del decennio (e parliamo dei Sessanta), sarà reso ancora più leggendario dalla versione di Tina Turner.

Il brano nasce da una bizzarra abitudine di John Fogerty, quella di segnarsi su un taccuino dei possibili titoli per canzoni. Quella volta John scrive Proud Mary e inizia a pensare alla canzone; quando guarda in televisione un episodio di Maverick, una vecchia serie western, gli viene in mente l’idea del battello a vapore. Il capolavoro è assicurato.

Proud Mary, col suo andamento irresistibilmente al confine tra country, rock e pop, arriva al secondo posto in classifica e sancisce la consacrazione della band.

C’è ancora spazio per Keep On Chooglin, un’altra lunghissima divagazione su un ossessivo ritmo rythym and blues. A guidare le danze è sempre John, tra voce, chitarra e armonica. La ritmica è quella che tornerà spesso nei brani dei Creedence, quasi uno sferragliante treno ritmico che non lascia scampo alle orecchie dell’ascoltatore.

La chitarra elettrica ricama un assolo acido e tagliente, anche se a tratti la tecnica di John mostra la corda e una certa ripetitività. Non bisogna nemmeno dimenticare, però, che Bayou Country è un album registrato in gran velocità, spesso improvvisando le lunghe parti soliste. Un atteggiamento naif che paga, specie se consideriamo che dall’altra parte dell’oceano sono i tempi di dischi prodotti maniacalmente come quelli dei Beatles e gli albori del progressive.

Bayou Country è però l’album perfetto per l’America e non solo di quel tempo, tanto da sancire il successo dei Creedence Clearwater Revival. Un successo che continuerà per poco tempo e – relativamente – tanti album. Un trionfo di creatività che sarà troncato solo quando John, pressato dai compagni, cederà a un malinteso concetto di democrazia.

Saranno i tempi di Mardi Gras, il disco dove ognuno dei quattro componenti compone alcune canzoni. La trovata riporterà il sound indietro, ai tempi dei Golliwogs, prima dell’arrivo di John. A quella band che non riusciva ad avere successo, proprio come la versione democratica dei Creedence, che non reggerà per più di un disco.

A quel punto, però, la leggenda del complesso sarà già scritta.

— Onda Musicale

Tags: Eric Clapton, John Fogerty, Tina Turner, Creedence Clearwater Revival
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