Siamo nel pieno degli anni ’60 e molti giovani americani, come Bob Dylan e Joan Baez, hanno preso in mano la chitarra per quella che fu definita musica folk o musica di protesta. La stessa ispirazione viene anche ad giovane ragazzo canadese, Leonard Cohen, che comincia ad incidere dei reading di poesia.
La sua musica infatti, più colma di riferimenti mistici e religiosi, è molto più poetica e meno immediata sotto il punto di vista dei testi e di alcuni passaggi strumentali. La sua poetica musicale prende definitivamente forma nel suo primo album del 1967 intitolato “Songs of Leonard Cohen” decisamente meno allegro e scanzonato rispetto ai toni di allora e , soprattutto, di oggi.
Suzanne: celebre canzone ripresa anche dal nostrano Fabrizio De André che la rispetta in tutto e per tutto, accordo per accordo, che narra di un amore platonico nei confronti della ballerina Suzanne Verdal. Cohen stesso andava a trovare lei ed il marito, lo scultore Arman Vaillancourt, che gli offrivano tè e arance cinesi come narrato dai toccanti versi. Non mancano inoltre i vari riferimenti religiosi, “e Gesù fu marinaio finché camminò sull’acqua”, evidenziati perfettamente dai cori in sottofondo. Cori che conferiscono alla canzone, una delle più note del cantautore canadese, una valenza quasi mistica.
Master Song: una delle canzoni più enigmatiche dell’intero disco. Vista la sua difficile interpretazione, parla comunque di un Maestro quindi i significati religiosi si sprecano, Cohen ha affermato che trattava della Trinità intesa come tre persone distinte.
Winter Lady: i toni sono più romantici e richiamano al Bob Dylan più soft mentre la voce, e la chitarra, di Cohen narrano di questo incontro con una strana viaggiatrice durante una fredda notte d’inverno.
The Stranger Song: gli arpeggi si accavallano uno sull’altro in un curioso gioco di suoni che si rincorrono. I temi sono decisamente più malinconici visto che, stando ai versi, siamo tutti degli stranieri in questa vita intenti a giocare il poker dei nostri giorni.
Come nel gioco si può aumentare la posta oppure abbandonare il tavolo e questo è come il bivio descritto da Cohen. Un bivio con due cartelli. Il primo indica di fermarsi mentre l’altro incita ad andare avanti, voi quale scegliereste?
Sisters of Mercy: brano da cui prende il nome il gruppo gothic rock inglese dei Sisters of Mercy. Nella canzone teneri arpeggi, tintinnii ed una fisarmonica tenue come una piccola fanfara fanno da sottofondo musicale al tributo che Cohen ha voluto fare a due ragazze con cui ha diviso una stanza d’albergo durante una tempesta di neve ad Edmonton.
Successivamente Cohen ha specificato come quella fosse“l’unica canzone che ho scritto in una sola sessione. […] Ricordo che a mia madre piacque molto”.
So Long Marianne: un’altra delle canzoni obbligate del cantautore canadese. Famosissimo pezzo in cui si narra del rapporto con una dolce ragazza, la norvegese Marianne Ihlen, con la quale Cohen visse assieme negli anni ’60.
Prima che lei morisse, nell’estate del 2016, Cohen riuscì a mandarle un messaggio dove le rivelava che anche lui sentiva che presto sarebbe arrivata la sua ora e quindi, finalmente, avrebbero potuto stare assieme come un tempo. Da ricordare che è stata usata anche per il film “I Love Radio Rock” di cui vi ho già parlato qui (link).
Know that I am so close behind you that if you stretch out your hand, I think you can reach mine … Goodbye old friend. Endless love, see you down the road”.Ascoltatela mentre provate ad immaginare quella persona del vostro passato.
Hey, That’s No Way to Say Goodbye: “ti ho amata al mattino. I nostril baci profondi e caldi, la tua testa sul cuscino come una quieta tempesta dorata”. Una delle canzoni più delicate e romantiche dell’intero disco che non mancherà di diventare subito la vostra preferita perché credo che anche voi siate d’accordo sul fatto che è veramente difficile dire addio ad una persona. Ascoltatela la versione in duetto con Julie Felix e poi con Judy Collins.
Stories of the Street: brano più folk nella sua accezione più pura dove Cohen sembra essere una sorta di Dylan canadese. Qui il cantautore descrive un mondo al collasso dalla guerra e dalla stupidità umana e l’unica soluzione è la fede, viene nominata anche un Stella di David, rafforzata dall’amore. Da ricordare la cover eseguita dal cantautore anti – folk per eccellenza, l’americano Beck.
Teachers: melodie vagamente orientali mischiate a blues e folk, questo è uno dei brani più importanti a livello ritmico e strumentale di tutto l’album. Anche qui emergono angoscia e riferimenti mistici per una critica che potrebbe essere sia riferita al sé stesso ai tempi del disco o anche al sé stesso del futuro.
One of Us Cannot Be Wrong: quanto può essere distruttivo ed angosciante un amore? Ascoltare per credere.
Giudizio sintetico: se vi piace il cantautorato ovviamente non potete non conoscere Cohen! Un album imperdibile poiché è il primo di una lunga serie di successi e trasformazioni stilistiche del grande cantautore canadese.
Copertina: una foto semplice, quasi da documento, di Cohen da giovane che sembra guardare direttamente negli occhi l’ascoltatore.
Etichetta: Columbia Records
Line up: Leonard Cohen (chitarra e voce), Jimmy Lovelace (batteria), Nancy Priddy (voce), Willy Ruff (basso), Chester Crill, Chris Darrow, Solomon Feldthouse e David Lindley (strumenti folk)