Siamo in Svezia nel 2003 e gli Opeth, ormai reduci da quel capolavoro che è Blackwater Park del 2001, si possono dedicare tranquillamente alla loro attività di musicisti senza dover più ricorrere ad altri lavoretti per pagare le varie spese di produzione ed incisione degli album.
Già nel 2002 la band aveva pubblicato un altro album, Deliverance, che aveva mostrato il lato più aggressivo e death metal del combo svedese. Combo che decide di mostrare il suo lato più malinconico ed acustico con Damnation.
Tutte le tracce del disco, ad esclusione di Death whispered a lullaby, portano l’inconfondibile firma di un ispiratissimo Åkerfeldt che oggi, soprattutto dopo l’uscita di Lindgren, è il leader affermato di una delle formazioni più interessanti e conosciute all’interno del progressive odierno. Detto questo diamo un’occhiata alle tracce dell’inquietante Damnation.
Windowpane: delicati e malinconici intrecci di chitarre, basso e tastiere aprono le danze di questo cupo album. La voce di Åkerfeldt narra di un anonimo uomo che guarda fuori dalla finestra, ma al suo interno si cela il dolore dei suoi fantasmi e della noia esistenziale. Il testo di questa prima traccia inoltre, abbastanza breve, viene allungato magistralmente dagli interventi strumentali della chitarra e dagli spettrali cori finali.
In my time of need: l’estate e l’amore sono finiti ormai da tempo e tutto ciò che rimane è il dolore ed un ricordo che continua a sbiadire mano a mano che il freddo attanaglia il corpo ed il cuore.
Le chitarre e le voci, leggermente effettate, mantengono un inquietante atmosfera acustica per poi passare ad un registro decisamente più etereo verso metà del pezzo. Verso la fine poi è possibile ammirare il fantastico lavoro delle tastiere che conferiscono al brano quel tocco di tristezza in più che lo rende così dolorosamente bello.
Death whispered a lullaby: parole, voce e tastiere portano l’inconfondibile firma del produttore del disco Steven Wilson (leader dei Porcupine Tree e genio assoluto del prog contemporaneo) che, appoggiandosi alle sonorità acustiche, dà al brano l’inquietudine metafisica che solo la morte che sussurra una ninna nanna può dare.
Il geniale artista inglese si scatena letteralmente alla fine con il suo mellontron creando dei giochi di delay, riverberi ed impressionanti, e spettrali, picchi sonori.
Closure: delicati strumming acustici e voci all’unisono mantengono una placida, ed oscura, calma fino al terzo minuto dove l’elettricità prende il posto delle tranquille sonorità iniziali soprattutto grazie al lavoro dietro le pelli di Lopez. Peculiare l’interruzione finale quando la cavalcata di note è praticamente al suo apice.
Hope leaves: le fotografie sanguinano come le ferite del passato che diventa ogni giorno più pressante e doloroso in un’atmosfera ancora più eterea grazie ai giri di basso di Mendez.
To rid the disease: piccoli intarsi di note e lunghi silenzi dolorosi cantano il tentativo di sbarazzarsi della sofferenza, servirà davvero a qualcosa o è solo un altro inutile tentativo?
Qui l’intreccio vocale è uno dei più belli di tutto il disco, I have lost all trust I had in you, e vi farà voglia di riascoltare quel passaggio grazie soprattutto allo spettacolare lavoro di chitarre firmato Åkerfeldt – Lindgren.
Ending credits: un fantastico strumentale di circa tre minuti e mezzo che dimostra tutta la bravura del combo svedese che firma ancora oggi in questo modo la maggior parte dei suoi album.
Weakness: l’ultima trasformazione del dolore dove le parole si perdono all’interno di lunghe nenie strumentali.
Giudizio sintetico: circa 50 minuti di dolore, tristezza e malinconiain una stupenda cornice che mischia alla perfezione le sonorità acustiche con quelle eteree in onore dei gruppi prog degli anni ’70 osannati dalla band. Tassello imperdibile per i fan e per chi adora il genere (Tool, Katatonia, lo stesso Steven Wilson e così via).
Copertina: il visionario artista Travis Smith (Death, Bloodbath, Iced Earth, Katatonia, Nevermore, Overkill, Devin Townsend e tanti altri) firma la spettrale copertina dove appare una bambina sbiadita, forse uno spettro, all’interno di una stanza scarsamente arredata.
Etichetta: Music for Nations
Line up: Mikael Åkerfeldt (chitarre e voce), Peter Lindgren (chitarre), Martin Mendez (basso), Martin Lopez (batteria e percussioni) e Steven Wilson (tastiere e voce in Death whispered a lullaby).
Vanni Versini – Onda Musicale
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