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Un disco per il week end: “Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols” dei Sex Pistols

Siamo nella ribollente Inghilterra di metà anni ’70 ed un gruppo di giovani ragazzi ha deciso di imbracciare strumenti e microfoni per far sentire la voce di una gioventù britannica ormai disillusa e decisamente arrabbiata.

È il 1975 e questi ragazzi si fanno conoscere con il provocatorio nome Sex Pistols (leggi qui l’articolo). Tra le pietre miliari del punk inglese, assieme a colleghi come Clash, Buzzcocks e Damned, i Sex Pistolsinfiammano i palchi londinesi e non tardano ad arrivare le prime grezze registrazioni.

Passano pochi anni, è il 1977, e queste registrazioni prendono la forma dell’album “Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols” per il quale non pochi negozi di dischi rischiarono la multa solo per averlo esposto in vetrina. Tuffiamoci dunque nell’atmosfera roboante di quegli anni e diamo un’occhiata a quello che si potrebbe considerare come l’unico vero e proprio disco della band:

Holidays in the Sun: sopra al brusio si erge la chitarra di Steve Jonesche apre le danze sugli scatenati ritmi punk rock di fine anni ’70 mentre la polemica voce di un incazzatissimo Johnny Rotten canta a cheap holiday in other peoples misery! Pare che la band cominciasse ad avvertire una certa depressione, nonché ostilità, all’interno della natia Inghilterra e quindi optarono alla fine per un posto che rispecchiasse la decadenza che avvertivano.

Quale posto migliore se non la gettonatissima, anche oggi, Berlino durante il Muro? Tra paranoia, guardie comuniste, riferimenti al campo di Belsen e naturalmente al Muro, questa è stata decisamente la vacanza più economica di sempre all’interno della miseria più pura. Pare inoltre che Sid Vicious abbia suonato effettivamente il basso in questa canzone e nella successiva “Bodies”, per il resto ringraziamo Glen Matlock e Steve Jones!

Bodies: sgraziata ed inquietante come un cadavere che cammina il brano, decisamente controverso per l’epoca, parla dell’aborto di una ragazza di Birmingham di nome Pauline che viveva su un albero. Corale, arrabbiata e piena di urli ed insulti fila via che è un piacere come una macchina lanciata a mille in contromano sull’autostrada (ovviamente di notte e a fari spenti).

No Feelings: personalmente tra le mie canzoni preferite del disco, “No Feelings” si apre con degli accordi dissonanti ad opera di Jones che poi prosegue con la sua consueta ed efficace ritmica. Rotten canta poi di un’iniziale e quasi romantica storia d’amore, ma poi si sa che in fondo “non ho sentimenti per nessun altro eccetto che per il mio caro e bellissimo me stesso”. Amore, violenza, egoismo, narcisismo, nichilismo (il resto mettetecelo voi) si mischiano alla perfezione come in un potente veleno dagli effetti devastanti.

Liar: tra “blah blah blah” e “lie lie lie” il brano vede un più che divertito Rotten che gioca con la sua voce e le parole mentre il resto della band, in particolare Paul Cook alla batteria, danno tutta la loro energia senza perdere un colpo!

God Save the Queen: vuoi farti odiare dal Regno Unito ed amare da legioni di fan in giro per il mondo? Che ne dici allora di cantare come si sentono davvero gli inglesi a stare sotto il regime fascista della Regina? Conosciutissima in tutto il mondo questa canzone, scritta da un arrabbiatissimo Johnny Rotten, è uno dei simboli del punk inglese soprattutto per la parte del testo che recita nofuture. Una frase forte e disillusa nei confronti di un sistema politico, sociale ed economico sempre più opprimente per i giovani punk inglesi. Coinvolgente e rimatissima vede anche un assolo di chitarra, in stile vagamente Chuck Berry, firmato da un ispiratissimo Steve Jones.

Problems: non credo che servano molte altre descrizioni. Del resto molti pezzi non sono nati apposta per parlare dei problemi? Qualcuno ha per caso accennato a Trouble di Cat Stevens?

Seventeen: cori da stadio e tagliente come una stilettata al basso ventre questa canzone è il vero e proprio ritratto di una generazione disillusa che ha trovato nel punk, “we like noise, it’s our choice”, la soluzione oltre che un vero e proprio stile di vita.

Anarchy in the U.K.: alzi la mano chi non l’ha mai sentita! Si tratta di un altro brano simbolo del gruppo, oltre che primo singolo che scalò le classifiche e le censure, senza tempo.

Arrabbiata come poche verrà sempre ricordata per il trascinante ritornello, ma soprattutto per un profetico Rotten che recita I am an anti-Christ/I am an anarchist/Don’t know what I want/But I know how to get it/I want to destroy the passerby/’Cause I want to be anarchy”. Consiglio anche le versioni degli americani Megadeth e Mötley Crüe!

Submission: corale e allusiva potremmo definirla una “canzone d’amore” in pieno stile Sex Pistols. Particolarmente più lenta rispetto agli altri brani qui vediamo un Cook più preciso mentre gli accordi di Jones, ed i suoi riff, risultano più misurati e contenuti rispetto a qualche pezzo fa senza comunque perdere la sua grinta che gli ribolle dentro.

Pretty Vacant: come ha dichiarato lo stesso bassista Glen Matlock in un’intervista il giro di basso di questo brano è stato letteralmente “rubato” da SOS degli ABBA il che è abbastanza comico se ci pensate. I simboli del punk inglese che fregano un’idea a quelli del pop svedese. A tal proposito vi consiglio la versione degli Anarchy Arias!

Ritorna anche qui il tema della gioventù problematica che, parafrasando, canta la sua ribellione contro le illusioni a suon di siamo così carinamente disoccupati, ma non ce ne frega niente!

New York: scanzonata e senza alcuna remora la canzone prende in giro stereotipi americani e sessuali senza andarci giù leggera!

E.M.I.: come possiamo chiudere in bellezza un disco che attacca tutto e tutti? Semplice, una canzone contro quegli s*****i della E.M.I. che ci hanno silurato! Alzate il volume al massimo per quest’ultima accusa firmata Sex Pistols!

 

Giudizio sintetico: che siate o meno appassionati del buon vecchio punk inglese, o di quello più moderno, si tratta di una vera e propria pietra miliare in quella grande strada che è la musica

Copertina: capeggia la scritta nera su campo giallo con il titolo (tradotto alla lettera sarebbe sbattetevene i coglioni, ecco i Sex Pistols) mentre il nome della band è scritto come una lettera minatoria, a caratteri irregolari, in una sorta di bigliettino rosa

Etichetta: Virgin Records

Line – up: Johnny Rotten (voce), Steve Jones (chitarra, basso e voce), Glen Matlock (basso), Sid Vicious (basso) e Paul Cook (batteria)

 

— Onda Musicale

Tags: Chuck Berry, Cat Stevens, Motley Crue, Abba, The Clash, Johnny Rotten, Sid Vicious
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