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Droghe e musica: “Revolver” dei Beatles

Continuiamo questo nostro viaggio alla ricerca di alcuni dischi storici che, più o meno giustamente, sono stati accostati all’uso di droghe da parte di chi li ha realizzati.

Come abbiamo scritto nell’articolo precedente (leggilo a questo link) siamo contrari all’uso di qualsiasi droga e sconsigliamo chiunque voglia farne uso. Tuttavia, è inutile negare come, specie negli anni ’70, erano molto usate droghe sintetiche come LSD o altro ed è, purtroppo assodato, come molti musicisti abbiano pagato con la propria vita la loro scelta di farne uso. Ci riferiamo, ad esempio, a tutti coloro che sono morti di overdose o di patologie connesse all’uso di sostanze stupefacenti. (leggi l’articolo)

Questa volta vogliamo parlare di “Revolver” dei Beatles, il settimo album del gruppo musicale britannico pubblicato nel 1966 e prodotto da George Martin; viene messo in commercio nel Regno Unito il 5 agosto 1966.

In esso si ritrovano, per la prima volta nella discografia del gruppo di Liverpool, elementi di rock psichedelico che diventeranno predominanti nell’album “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” (leggi l’articolo) dell’anno successivo. È unanimamente considerato uno dei capolavori dei Beatles, nonché uno tra i dischi più importanti della musica pop: la rivista Rolling Stone lo ha inserito al 3º posto della lista dei 500 migliori album mentre la rivista New Musical Express lo posiziona al 2º posto nella sua analoga classifica dei migliori 500 album; compare anche nel volume 1001 Albums You Must Hear Before You Die.

In origine fu il Preludin, una pillola dimagrante a base di anfetamine, che Paul McCartney e John Lennon usavano ai tempi di Amburgo per non avvertire la stanchezza dei concerti ravvicinati e che fu la cosa più vicina a una droga nei primi anni da Beatles. L’incontro con la marijuana (grazie a Bob Dylan) avvenne nel 1964, un anno prima di scoprire l’LSD, che fu fondamentale nell’incisione di Revolver.

She Said She Said prese ispirazione da un viaggio con la droga psichedelica nel bel mezzo di un party con molte celebrità, tra cui Peter Fonda, che sconvolse gli stonati John Lennon  e George Harrison ripetendo loro in continuazione di “sapere cosa vuol dire essere morto”.

Doctor Robert raccontava di Robert Freymann, di cui Lennon era cliente e che era solito iniettare ai suoi pazienti cocktail di vitamine e anfetamine. Ma il pezzo che più di tutti rappresentava la nuova passione dei Beatles (o, almeno di quasi tutti, visto che McCartney si rifiutò a lungo di assumere LSD) fu “Tomorrow Never Knows”. Scritta appositamente per ricreare l’esperienza indotta dall’allucinogeno, la canzone utilizzò effetti sonori che riproponevano il salmodiante canto dei monaci e aveva un andamento ipnotico che rese su nastro la visione disturbante, ma allo stesso tempo serena, del trip da LSD.

Secondo una bizzarra teoria fu il dentista John Riley a far scoprire a George Harrison, a sua moglie Patti Boyd, a John Lennon e alla moglie Cynthia, il potere della LSD. Dopo avergliela messa nel caffè, Cynthia iniziò a vedere la stanza diventare grande, George sembrava “essersi innamorato di tutto“. Non è chiaro se il dentista agì di sua spontanea volontà o furono George e John a chiedergli di somministrargli quella dose. Nella “The Beatles Anthology” l’evento è ricordato così da Harrison: “La prima volta che prendemmo l’LSD fu un errore. Fummo vittime innocenti di un dentista pazzo“.

— Onda Musicale

Tags: John Lennon, The Beatles, Paul McCartney, George Martin, George Harrison, Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, Revolver
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