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27 Ottobre 2018: gli Zombies seducono e conquistano Bologna

Ci sono amori che nascono a prima vista o – nell’ambito musicale – al primo ascolto: è il caso degli Zombies. La scoperta del loro capolavoro Odessey and Oracle nell’Aprile 2018, esattamente il giorno del cinquantesimo anniversario del disco in questione, è stato il punto di partenza di una passione che dopo pochi mesi era così salda da far sembrare il gruppo una mia conoscenza vecchia di alcuni anni.

Il decollo nell’interesse verso gli Zombies invece è iniziato in modo del tutto casuale e soprattutto normale. Grazie a Facebook.

3 Ottobre 2018. Mi trovavo a commemorare in un post su Facebook la scomparsa di Geoff Emerick, avvenuta solo il giorno addietro. (leggi l’articolo) Geoff non era uno qualsiasi. Era stato l’ingegnere del suono dei Beatles nel periodo 1966 – 1969 e degli Zombies nel loro memorabile diamante del 1968. Il botta e risposta creatosi in coda al mio post era meravigliosamente pacato, a maggior ragione sapendo che l’ambiente digitale è spesso infiammabile: ad un certo punto un utente mi fa notare che a fine mese gli Zombies sarebbero stati a Bergamo e a Bologna. La notizia mi spiazza. Vado a controllare e vedo che il 27 saranno al celeberrimo Antoniano, la sede consacrata da più di sessant’anni di Zecchino d’Oro.

Se il biglietto fu prenotato con la rapidità di un lampo, la mente – prima del corpo – giunse a Bologna alla velocità della luce. Quando arrivò il 27 Ottobre, faticavo a trattenere l’entusiasmo: sarei andato a sentire un gruppo di tutto rispetto! Emozioni del genere non si vivono ogni giorno, sicché bisogna trovarsi immersi in simili situazioni per rendersene pienamente conto.

La pur breve attesa del fatidico evento – fuori dall’ingresso del celebre teatro – sembrò più lunga rispetto alla realtà. I fan radunatisi per l’occasione non erano chissà quanti – segno che gli Zombies hanno un’audience davvero elitaria. Ingannai il tempo attaccando bottone con un simpatico ragazzo di Castel San Pietro: raccontandoci le rispettive passioni musicali entrammo subito in sintonia.

Gli ultimi secondi prima della performance durarono un’infinità. Ma, ad un tratto, giunse un membro dell’entourage ad annunciare che lo spettacolo poteva finalmente avere inizio. Dopo una breve presentazione, in cui il messaggio di benvenuto era stato tradotto in italiano con Google Drive (potete benissimo immaginare come), ecco comparire sul palco gli Zombies! Gli occhi mi brillavano così tanto che mi sembrava di vedere la Madonna! L’apparizione era ancor più eccitante per il fatto che ero seduto a poche fila di distanza dal gruppo. E l’eccitazione non sarebbe certamente diminuita durante l’esibizione.

Il mio primo concerto degli Zombies è da segnalare per un importante cambio di formazione: a Gennaio, non molti mesi prima, il bassista Jim Rodford – cugino di Rod Argent – era sfortunatamente deceduto in un incidente domestico all’età di 76 anni. Rodford militava negli Zombies dal 2004: in precedenza aveva suonato negli Argent (1969-1976) e nei Kinks (1978-1996) La sua importanza stava anche nel fatto che egli era stato di grandissima importanza nel favorire l’ascesa della band di suo cugino, nei primi anni Sessanta.

Nella formazione degli Zombies un segno della sua presenza restava, dal momento che – sempre a partire dal 2004 – alla batteria sedeva (e siede tutt’ora) suo figlio Steve. Altro cambio di rilievo è stato l’ingresso nel gruppo di Søren Koch, bravissimo musicista danese che ha preso il posto che fu di Jim. Un ruolo che, da quel che ho potuto constatare, ha onorato al massimo livello.

Per quanto riguarda gli altri membri, confermata era la presenza di Tom Toomey. Chitarrista di notevole abilità, dall’esecuzione molto pulita e precisa, Tom è di casa presso gli Zombies, dal momento che ne fa parte dal 2010. Non potevano mancare ovviamente i decani del gruppo, cioè l’inossidabile duo Rod Argent e Colin Blunstone, unici due membri attivamente impegnati a portare avanti il glorioso nome della band di St. Albans!

Veniamo ora alla scaletta del concerto: partenza a bomba con un classico come “Road Runner”, nato dalla penna di Bo Diddley. Già da questa canzone, pezzo posto ad apertura del primo disco degli Zombies – Begin Here – si aveva una prova completa dell’estensione vocale di Colin, ancora in grado di ancheggiare come un ragazzo pur avendo 74 anni! La classe, quando ce l’hai, non la perdi manco se vuoi.

A seguire, “I Want You Back Again”, originariamente un singolo del 1965 e che ritroviamo nell’ultimo disco del gruppo (2015). Il pezzo riceve nuova linfa e robustezza anche grazie al tocco di Tom, confermando di essere una composizione davvero interessante e che il tempo fa maturare al punto giusto.

“I Love You” è anch’esso un brano uscito nel 1965 come singolo. Ricordate il fatto che la capacità compositiva degli Zombies veniva puntualmente frammentata in singoli per essere piegata alla logica dominante del mercato discografico di allora? Ecco uno dei motivi del loro scarso successo!

“Moving On” e “Edge of The Rainbow” sono anch’essi due pezzi tratti dall’ultimo disco, nuovi di zecca; non mi sembra compaiano in dischi precedenti. Il primo è un inizio grintoso per un disco: un pezzo rock tutt’altro che estremo, ma che sa farsi rispettare con i suoi accordi affondati in sequenza con piglio deciso; “Edge of The Rainbow” è un classico esempio di blues dove la voce familiare di Colin e il coretto di sottofondo ti fanno sentire a casa.

Anche con “Tell Her No” (1965) troviamo un altro esempio di come un classico possa trovare nuova energia dopo più di cinquant’anni, energia che ridà vigore ad un originale che già di per sé aveva classe nella sua semplicità.

“You Really Got A Hold On Me / Bring It On Home To Me” è il fedele rifacimento di due singoli del 1962, usciti uno a nome dei Miracles (guidati dal mitico Smokey Robinson) e l’altro di Sam Cooke (che una tragica fatalità fermerà nel 1964).

“Care of Cell 44”, “A Rose for Emily”, “This Will Be Our Year”, “I Want Her She Wants Me” e “Time of The Season”: cinque pezzi tratti dal celebratissimo Odessey and Oracle. Un’esecuzione così fresca e luminosa non avrebbe potuto essere miglior omaggio a quel disco che – paradossalmente – si era rivelato un successo dopo lo scioglimento del gruppo e che nei decenni successivi era stato progressivamente riconosciuto nella sua vera grandezza. Io, come potete immaginare, ero al colmo della felicità.

“Old and Wise”: grande pezzo a firma Alan Parsons, (leggi la nostra recente intervista) compare nel suo disco del 1982 Eye In The Sky. All’epoca fu cantato proprio da Colin Blunstone e conobbe un grandissimo successo. Quando Colin si cimenta in capolavori del genere, la sua voce raggiunge il massimo della seduzione e dell’eleganza.

“Hold Your Head Up” è, senza timore di sbagliarsi, il successo colossale degli Argent. Anno 1972. La canzone è un treno che avanza a tutta velocità, la sua architettura poggia su solide fondamenta e la vetta del tutto è il lunghissimo e dionisiaco virtuosismo di Hammond che permette a Rod di dimostrare tutta la sua inarrivabile abilità con i tasti. Spettacolare e memorabile!

Ultime curve prima del traguardo: tocca al classico per eccellenza del gruppo, il loro singolo d’esordio, “She’s Not There” (1964). Quando la Storia si ripete davanti ai tuoi occhi. Meraviglioso!

A conclusione di un concerto che ha inanellato una notevole sequenza di canzoni molto belle, il pezzo “The Way I Feel Inside” (contenuto nel primo album del gruppo). La voce di Colin, accompagnata dal solo Hammond, interpreta la timidezza di un sentimento bellissimo e non facile da confessare alla donna amata.

L’esperienza bolognese, oltre ad avermi permesso di stringere una nuova amicizia, mi ha lasciato il ricordo indelebile di una nobilissima città – Bologna – e l’esperienza ultraterrena di un gruppo che, a ragione, è annoverato tra i Grandi della Musica Mondiale. Viva gli Zombies!

— Onda Musicale

Tags: The Beatles, Kinks, Bo Diddley, Rod Argent, Geoff Emerick
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