Il 1969 è sicuramente un’annata fondamentale per decine di avvenimenti, dallo sbarco sulla luna a Woodstock, ma è anche l’anno di alcuni episodi minori che pure avranno un grande impatto a posteriori.
È l’anno, ad esempio, in cui irrompe sulla scena musicale Iggy Pop, personaggio destinato alla leggenda e che, al debutto coi suoi Stooges, si fa chiamare Iggy Stooge.
Detroit è la Motor City americana per eccellenza, sede principale di Ford e General Motors. Ma Detroit è anche, proprio in virtù delle industrie, grande oggetto di immigrazione nera – fatto che sarà alla base di non poche tensioni negli anni sessanta – e, di conseguenza, di una scena blues molto attiva; il nome di John Lee Hooker su tutti.
E proprio il suo boogie ossessivo e ipnotico sarà alla base del sound di Detroit di Mc5 e Stooges, che oggi è etichettato come proto punk.
Detroit città prevalentemente industriale, quindi, e non deve stupire che nel pieno del periodo hippie americano, da qui venga un movimento rock che sta dalla parte opposta: nichilismo, sesso, droga e autolesionismo sono i tratti essenziali dell’esordio senza titolo degli Stooges. Iggy Pop si chiama ancora James Newell Osterberg, ha un solido background blues, poco più di vent’anni e il soprannome di iguana – dal suo precedente gruppo The Iguanas – gli rimarrà appiccicato per tutta la vita. L’incontro con i fratelli Asheton, Ron e Scott, e con Dave Alexander, è alla base della nascita prima degli Psychedelic Stooges, poi semplicemente Stooges.
Le loro performance dal vivo – con Iggy che si dimena oscenamente e arriva a tagliarsi sul palco – creano al gruppo una solida fama di band estrema, prima ancora di pubblicare qualcosa, tanto che per il loro debutto si scomoda John Cale dei Velvet Underground. Il musicista della scuderia di Andy Wharol è in rotta coi Velvet e si sta guardando intorno. Il disco è registrato in appena quattro giorni e esce nell’agosto del ’69, proprio mentre qualche centinaio di chilometri più in là, Woodstock celebra pace, amore e libertà.
Molto si è almanaccato sul lavoro come primo disco punk della storia, o comunque proto punk; la realtà è che il movimento era ben di là da venire e i punti di contatto – nemmeno così tanti – sono piuttosto incidentali. La dicitura originale di Psychedelic nel nome della band, invece, dice qualcosa di più. Iggy voleva probabilmente seguire il sound psichedelico del momento e la prova maggiore ne è la litania ipnotica di We Will Fall. Siamo di fronte a psichedelica pura, con la viola di John Cale che fa da bordone per tutto il pezzo, mentre un salmodiante Iggy recita oscure formule e la chitarra di Ron Asheton sottolinea con un wah-wah liquido e indolente.
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Con Ann, ballata psycho, sono gli unici due momenti in cui è permesso prendere fiato in un lavoro altrimenti tiratissimo. E sono proprio i pezzi più duri quelli che faranno entrare l’esordio degli Stooges dritto tra le pietre miliari del rock. 1969 è l’opener – nulla a che fare ovviamente con l’omonimo pezzo di Achille Lauro – di questo sabba a base di puro elisir di rock’n’roll, un sound tiratissimo che chiarisce subito l’approccio nichilista del buon Iggy: It’s another year for me and you another year with nothing to do – recita l’iguana. Se l’approccio anticipa il punk, la musica è ben ancorata al periodo; un’urticante e abrasiva base ritmica che ancora deve molto al mitico Bo Diddley e una chitarra col wah-wah sparato a mille e un suono nel solo che più acido non si può. I Wanna Be Your Dog è un altro rock’n’roll furente che rimarrà nel futuro repertorio di Iggy.
Encomiabile di nuovo il lavoro di Ron Asheton alla chitarra, con un suono saturo e pieno di riverbero che avrebbe fatto invidia al Clapton dei Cream. No Fun è l’altro anthem dell’album; Iggy sembra più che mai una versione infinitamente più perversa di Mick Jagger e di nuovo la chitarra solista mena le danze con un suono acidissimo. Più che il punk viene in mente quel capolavoro sconosciuto che uscì nel 1968 a nome Sam Gopal, Elevator, suonato e cantato da un giovanissimo Lemmy Kilmister.
Anche un pezzo minore come Little Doll è simbolico dell’approccio degli Stooges: una base che di nuovo ricorda Bo Diddley in versione lisergica ma con la stessa, primordiale energia. Il suono è in sostanza un garage rock, vagamente psichedelico e dominato dalla chitarra acida di Asheton e dall’istrionismo in nuce di Iggy Pop.
Il disco vendette poco per l’epoca, 35mila copie, e gli Stooges non durarono molto anche a causa degli eccessi di Iggy Pop, ma furono comunque alla base di una carriera leggendaria, grazie anche all’intervento di David Bowie. Ma, come si dice, questa è un’altra storia.