Il 27 agosto del 1990 perdeva la vita Stevie Ray Vaughan, uno dei migliori chitarristi blues della storia e forse l’ultimo vero guitar hero del rock.
Molti di voi avranno visto il film Sliding Doors, o magari avranno sentito parlare dell’Effetto Farfalla teorizzato da Edward Lorenz nel 1962; per chi non avesse confidenza con gli argomenti, sia il film che la teoria ipotizzano che da un insignificante evento possano scaturire grandi cambiamenti. Nella carriera di Stevie Ray Vaughan, forse molto di più che in altre, questa teoria assume particolare importanza.
La prima sliding door Stevie Ray la attraversa da ragazzino. Siamo nel Texas di fine anni ’50, un posto dove il blues è affare più che altro da neri e i ragazzi si interessano a cose tipicamente americane: le ragazze, le armi e il football. E il fratello di Stevie, Jimmie, è appunto una giovane promessa del football americano; quando ha un grave infortunio, che lo costringe a stare fermo per molto tempo, qualcuno gli regala una chitarra e apre senza saperlo la prima porta del destino di Stevie. Jimmie Vaughan si appassiona al blues e al rock’n’roll, tanto che ancora oggi è un bravissimo chitarrista con un ottimo passato coi Fabulous Thunderbirds e, cosa fondamentale, fa appassionare anche il fratello.
Presto la chitarra blues diviene ragione di vita per il giovane Stevie Ray, specie la Stratocaster del ’62 che acquista nel 1973. Con la sua band diventa subito una piccola celebrità in Texas, girando per i più malfamati locali dello stato a proporre il proprio infuocato stile. Ci sono molte registrazioni di live dell’epoca, basta ascoltarle per capire quanto Stevie Ray fosse già giunto a maturare completamente la sua cifra. Partendo dal compaesano Johnny Winter – da cui mutua anche il bassista Tommy Shannon – quanto a furore e voce graffiata, e dal semisconosciuto Lonnie Mack, Vaughan rielabora soprattutto il chitarrismo di Albert King. I fraseggi sono presi di peso da quelli del suo eroe, a cambiare è soprattutto il suono, molto più saturo ed effettato. In questo senso la musica di Stevie paga un pesante pegno anche alla rivoluzione di Jimi Hendrix, altro suo idolo.
Rimane famoso l’episodio in cui un giovane Vaughan, prossimo a suonare in un club di Austin, viene a conoscenza che in città si sta per esibire Albert King e pianta lì la serata: “Qui vicino suona Albert King! Io vado a sentirlo, e se capiste qualcosa, verreste anche voi di corsa!” – dice all’incredulo pubblico.
Stevie Ray è dunque un apprezzato guitar hero locale, tuttavia il grande successo non arriva, mentre Jimmie coi suoi Thunderbirds e il suo stile più secco se la cava alla grande. Il punk ha spazzato via il rock classico e i patinati anni ’80 sono iniziati, imponendo la disco music e uno scialbo pop elettronico da classifica. Per il blues pare non esserci più spazio.
È a questo punto che si apre la seconda sliding door. Mick Jagger lo nota dal vivo e, con l’apporto di Jerry Wexler dell’Atlantic, gli rimedia un prestigioso ingaggio per il Montreaux Jazz Festival, in Svizzera. Una serata della manifestazione è dedicata al blues e Vaughan, coi fedeli Double Trouble, è il primo musicista senza un contratto discografico a essere assoldato. Ma la porta sembra chiudersi pesantemente in faccia al nostro: come per Bob Dylan a Newport tanti anni prima, il tenore elettrico e furibondo della band non piace ai puristi del jazz di Montreaux e Stevie e soci vengono contestati a scena aperta. Pare la fine e un mesto ritorno ad Austin li attende. Ma in quei giorni al festival ci sono due noti personaggi: Jackson Browne e David Bowie.
Entrambi sono conquistati dal talento del texano e il primo mette a disposizione gratuitamente i suoi studi di Los Angeles, mentre il secondo lo vuole nelle registrazioni di Let’s Dance. Bowie lo vorrebbe anche in tour ma Stevie Ray declina, la musica del Duca Bianco ha un tasso di blues troppo basso. Dalle session negli studi di Browne viene fuori invece il primo album e l’agognato contratto con la Columbia. Nasce così Texas Flood.
Il brano che dà il titolo al disco è un oscuro slow blues in chiave maggiore di Larry Davis, che Stevie ha arrangiato facendolo completamente suo; rimarrà forse il brano paradigmatico del suo stile. Vanterà innumerevoli cover e imitazioni, divenendo banco di prova per una generazione di chitarristi da Jonny Lang a Derek Trucks. La voce di Vaughan non è da meno – John Lee Hooker dirà che era uno dei migliori cantanti di blues – e Texas Flood diventa il successo imprevisto che fa rinascere per l’ennesima volta il blues. Seguono Couldn’t Stand The Weather e Soul To Soul, album che replicano l’assetto del primo: strumentali infuocati, qualche slow e il vero punto debole, i pezzi originali.
Ma il successo porta con sé anche tutti gli stereotipi della rockstar; Stevie è osannato in tutto il mondo, torna da eroe a consumare la vendetta a Montreaux, finalmente può comprare tutte le chitarre che vuole senza che Lenny – la moglie – debba fare collette tra gli amici. Mancano solo l’alcol e la droga, ma ci vuole poco. Stevie Ray entra nel tunnel e, quando collassa su un palco, capisce che è ora di dire basta. Si disintossica e nel 1989 torna più in forma di prima con In Step, forse il suo miglior disco.
Per B.B. King il texano è l’unico chitarrista in grado di proporre assoli lunghissimi senza annoiare e Rolling Stone lo inserisce ai primi posti tra i migliori chitarristi di sempre.
Siamo al 1990; i più grandi festival e gli amici musicisti fanno a gara per collaborare con Stevie. E proprio a un grande raduno blues nel Wisconsin, tra le montagne, l’ultima sliding door attende il texano.
L’Alpine Valley Resort è un vero paradiso naturale ed è qui che il 27 agosto del ’90 si tiene un grande live blues. Ci sono Eric Clapton, Robert Cray e Buddy Guy. C’è Jimmie, suo fratello, ma è Stevie Ray Vaughan la vera star che ruba la scena a tutti. Una chitarra così non si sentiva dai tempi di Jimi Hendrix.
A fine concerto Stevie Ray è stanco, vuole tornare subito a casa. Clapton che è un signore e che in vita sua ha già eluso la Nera Signora mille volte, gli cede il posto sull’elicottero. Pochi minuti nella nebbia e poi lo schianto. La storia di Vaughan si interrompe bruscamente, assieme a quella del pilota e di tre collaboratori di Clapton. Stevie Ray muore a trentasei anni, lo stesso giorno in cui quattro anni prima era morto il padre.
Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?
Questo era il titolo di una conferenza di Lorenz sull’Effetto Farfalla; è curioso che Texas Tornado fosse uno dei soprannomi di Stevie Ray e che Texas Flood, il suo pezzo più celebre, parlasse di un’alluvione in Texas.
Non sappiamo se c’entrassero le farfalle brasiliane, ma certo Stevie Ray Vaughan fu un vero tornado per il Texas e per la storia del blues.