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Norman Fucking Rockwell: la decadenza americana nel disco perfetto di Lana Del Rey

È uscito recentemente il quinto lavoro a firma Lana Del Rey della cantautrice di New York, un lavoro sontuoso e superiore alle attese.

A volte la differenza tra un artista normale e uno destinato a diventare un’icona la fa semplicemente il carisma. E Lana Del Rey, di carisma ne ha a palate. Fin dal debutto del 2012, complice una campagna efficacissima a livello di marketing, si è subito compreso come il personaggio fosse di un altro pianeta. Diverso dalle pop star canoniche, quelle Lady Gaga e Kate Perry che fanno i grandi numeri ma lasciano tiepida la critica, ma anche dalle cantautrici tout court alla Sharon Van Etten o Cat Power e quelle più all’avanguardia come St.Vincent. Lana Del Rey è sempre stata un oggetto misterioso: diva vintage dal fascino quasi reazionario ma sempre pronta a farsi valere su posizioni progressiste se non femministe. Norman Fucking Rockwell aggiunge un ulteriore tassello al suo identikit, forse quello più importante, emergendo di prepotenza come migliore episodio di una discografia comunque senza pecche, al cui confronto regge forse solo Ultraviolence.

Norman Rockwell, lo saprete, è stato un pittore e illustratore importantissimo per il novecento americano; le sue iconiche figure di ragazzini che giocano nel patio, di donne dalle gonne svolazzanti o di anziani che arrancano al tramonto, hanno segnato l’immaginario del sogno americano, arrivando addirittura a delinearlo esteticamente. Lana destruttura l’american dream, cantando la decadenza degli USA di oggi, nel pieno dell’incubo trumpiano, arrivando a farsi beffe di Kanye West e del suo endorsement al presidente.

Musicalmente il lavoro tocca vette ed esplora campi mai pervenuti nei precedenti album; non aspettatevi tracce facili e ritornelli da canticchiare mentre ascoltate la radio in macchina, Lana è ormai una musicista nella piena maturità e il suo ascolto richiede la massima attenzione. E tempo, visto che il disco dura più di un’ora e propone un singolo che dura oltre nove minuti, il capolavoro Venice Bitch. Si tratta di una sorta di suite psycho-pop e propone una lunghissima coda strumentale che rimanda alle atmosfere delLaurel Canyon, simbolo della controcultura americana di fine anni ’60. Ma tutto l’album è permeato da suggestioni west coast di quel periodo, tanto da far pensare più di una volta ai lavori di Jonathan Wilson e del recente Ray LaMontagne. Tutti artisti ben più maturi della trentaquattrenne Lana.

Ma, tornando alla musica, il termine Sadcore – tra i tanti da sempre associati alla sua proposta – mai si era rivelato così adatto; i pezzi sono tutti molto lenti, ideale tappeto per la voce quasi sussurrata ma pronta per qualche virtuosismo in più di Lana, e terreno di sconforto per l’ascoltatore meno avvezzo a questa qualità. Risulta perfino difficile citare qualche brano che si stagli sopra gli altri, essendo la compattezza uno dei punti forti del lavoro. Certo la title track non può essere ignorata, così come i rimandi a Neil Young in Mariners apartment complex, che cita anche Leonard Cohen; Di Venice Bitch abbiamo già parlato, mentre Doin’ Time è una riuscita cover dei Sublime, resa in salsa quasi trip-hop.

In Love Song, per un attimo, sembra aleggiare il fantasma di Wonderwall degli Oasis nella progressione degli accordi, mentre la bellissima The Greatest ricorda una giovane cantautrice che Lana deve aver ascoltato molto ultimamente, la sottovalutata Weyes Blood, e propone un suggestivo assolo di chitarra – sì, avete capito bene: un assolo di chitarra che ha ragion d’essere nel 2019 – oltre a una melodia davvero convincente.

Ogni traccia andrebbe analizzata a fondo, ma si rischierebbe di annoiare; vi invitiamo invece ad ascoltare questo Norman Fucking Rockwell, non solo per fruire di un lavoro di qualità eccelsa, ma per altri due motivi: il primo è che, ancora di questi tempi, si può assistere al miracolo di un album di musica che non cede a mode contingenti; il secondo è che, a volte, estetica, talento e contenuto possono procedere di pari passo.

Eccome, se possono.

 

— Onda Musicale

Tags: Lana Del Rey
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