Siamo in America nella seconda metà degli anni ’80, più precisamente il marzo del 1986, ed i Metallica sono tra le band di punta del metal di allora al pari di Megadeth, Anthrax, Slayer e tanti altri ancora.
Naturalmente i Four Horsemen sono tra i più conosciuti, ancora oggi, ed il 1986 è decisamente il loro anno perché pubblicano un autentico capolavoro, il loro terzo album per intenderci, “Master of Pupptes”. Dopo i fantastici “Kill ‘Em All” (1983) e “Ride the Lightning” (1984) la band mette a segno un centro pazzesco anche se la tragedia è praticamente dietro l’angolo.
Pubblicato a marzo è subito un successo e la diretta conseguenza è un tour mondiale di presentazione, ma purtroppo sarà in una buia strada svedese che i Metallica perderanno un autentico genio, il bassista Cliff Burton il 27 settembre del 1986.
Detto questo diamo un’occhiata alle tracce che compongono questo grande album
Battery: cupi accordi ed arpeggi acustici che s’intrecciano tra di loro costituiscono l’apertura della prima traccia prima che la batteria e le chitarre elettriche prendano il sopravvento.
Inizialmente melodico il pezzo sfuma verso il thrash metal più classico e martellante che ha distinto la band nei primi anni ’80. La voce di Hatfield canta poi di rabbia, follia e violenza ingiustificata a spese dei più deboli.
Il pezzo, distorto e martellante, vede poi il vorticoso assolo di Kirk Hammett (ex allievo di Joe Satriani) prima di sfumare nel secondo brano, tra i più famosi della discografia dei Metallica, che dà anche il titolo all’album.
Master of Puppets: riff secchi ultra distorti, con il basso di Burton, ben in evidenza e belli cacciati sono le basi della title track del disco. Brano molto particolare, ripreso anche dai Dream Theater, per i suoi intervalli acustici e melodici che lo rendono praticamente ipnotico prima del ritorno all’elettrico. Otto minuti e mezzo di follia che scorrono via che è un piacere prima della lugubre risata finale.
Tra le ipotesi più accreditate riguardo questa canzone, vero e proprio classico del metal, vi è senza dubbio l’abuso di droghe che tengono in pugno lo sfortunato consumatore vittima dei fili tenuti dal “mastro burattinaio”. Stringe, soffoca, uccide, ma la vittima continuerà a volerne ancora visto che la sua mente è ormai spezzata irrimediabilmente.
The Thing That Should Not Be: se si parla di follia e menti che implodono su loro stesse alla vista dell’impossibile e dell’ultraterreno è impossibile non citare il grande scrittore H. P. Lovecraft, già citato dalla band in “The Call of Ktulu” nel precedente “Ride the Lightning”, vero e proprio maestro.
Atmosfere cupe ed eteree aprono le danze mentre la batteria di Ulrich sembra scandire l’avvicinamento di un qualcosa di orribile. Il brano è infatti ispirato alla novella Lovecraftiana di “La maschera di Innsmouth” dove si parla di uno sventurato viaggiatore che ha avuto la sciagura di imbattersi in una città che ha stipulato un patto con antiche creature marine demoniache.
Ritorna anche qui il perfetto alternarsi tra pulito e distorto anche se va detto che il testo è piuttosto breve e diretto, ma colpisce con la stessa forza di un pugno in faccia!
Welcome Home (Sanitarium): tintinnii ed echi, sostenuti da un trascinante ed ipnotico riff di chitarra e basso in pulito, aprono le porte ad un riff decisamente più distorto.
Ritorna anche qui il tema della follia con l’edificio simbolo di tutto ciò, il manicomio, in cui è rinchiuso il protagonista del brano. Solo e arrabbiato sente il crescere di una lucida follia che lo porterà ad usare la violenza per liberarsi e stare finalmente da solo.
Inquietante anche la parte in cui viene descritto il suo sogno ricorrente e l’apparente immobilità della situazione. Che la violenza gli sia di aiuto per evadere? Il pezzo, inoltre, è leggermente meno distorto rispetto alle tracce già ascoltate in precedenza, ma non per questo è meno piacevole e coinvolgente.
Disposable Heroes: riff granitici e wah wah a volontà per un pezzo che urla in faccia alla guerra per più di otto minuti. Narra infatti di un giovane soldato ucciso, come tanti altri, sul campo di battaglia e talmente condizionato dall’esercito, “I was born to dying”, che non gli importa di morire o uccidere.
Leper Messiah: come si sa i soldi non fanno certo la felicità, ma di certo comprano parecchie cose inclusa la salvezza eterna ed il Paradiso. O, almeno, è così che fanno credere alle persone (“Heaven you will meet/make a contribution/and you’ll get a better seat/bow uo to Leper Messiah”) quando dietro si celano ben altri tipi di interessi. Lasciatevi dunque prendere dai riff assassini e ragioniamoci su bene. Pezzo leggermente più breve delle altre canzoni, ma che centra il punto con precisione chirurgica.
Orion: uno degli strumentali più famosi della band e di tutta la storia del rock e del metal direttamente dalla geniale mente di Cliff Burton, a livello tecnico e teorico era il più preparato dei Metallica e fu lui stesso ad insegnare loro le armonizzazioni, che dimostra tutta la sua maestria. Alzate il volume al massimo per godervi i suoi fantastici giri di basso.
Damage, Inc.: aperture a metà tra l’etereo e l’orchestrale aprono le danze di quest’ultima traccia prima della consueta aggressività thrash metal con chitarre e batteria indiavolate e lanciate al massimo. Degna conclusione di un disco ineccepibile!
Giudizio sintetico
Come ho detto prima “Master of Puppets” è davvero un disco ineccepibile, un vero e proprio classico e pietra miliare per i fan del metal e, soprattutto, dei Metallica. È uno dei loro lavori meglio riusciti e più famosi in grado di mostrare il perfetto bilanciamento dei due volti della band, melodico e aggressivo, e non deve mai essere dimenticato al pari del grande Cliff Burton.
Copertina
Lunghe file di croci bianche, si vedono anche un elmetto e delle piastrine, giacciono su un campo. Tutte queste però sono rette dai fili del “mastro burattinaio” le cui mani provengono direttamente dal cielo, a voi le interpretazioni.
Etichetta: Elektra
Formazione
James Hetfield (chitarre e voce), Kirk Hammett (chitarre), Cliff Burton (basso e cori) e Lars Ulrich (batteria)