Nella Storia della Musica, di plagi – veri o presunti, involontari oppure intenzionali – se ne contano parecchi, alcuni di questi divenuti particolarmente celebri.
Uno dei più famosi è senza dubbio quello che vide George Harrison citato in tribunale per aver violato il copyright di una canzone scritta da Bobby Mack nel 1962 per il gruppo femminile delle Chiffons. L’accusa sosteneva infatti che “He’s So Fine” presentasse troppe somiglianze con “My Sweet Lord” (leggi l’articolo), straordinario singolo dell’artista britannico pubblicato nel 1970, pochi giorni prima dell’uscita statunitense di All Things Must Pass, suo colossale esordio, dato che si tratta di un’opera importante anche nelle dimensioni, trattandosi di un triplo LP.
La questione “Harrison vs Chiffons” si concluse nel 1976 (leggi l’articolo), dopo che l’ex-Beatle fu costretto a risarcire la parte lesa, lesa con un plagio che era stato sinceramente involontario (le Chiffons, per parte loro, l’anno precedente avevano registrato un’interpretazione di “My Sweet Lord”). Harrison, in ogni caso, ironizzò sulla vicenda giudiziaria scrivendo un gran bel pezzo dal titolo “This Song” (contenuto nell’album Thirty Three & ⅓).
Al di là della vicenda, All Things Must Pass costituisce l’esordio vero e proprio di Harrison, poichéi dischi Wonderwall Music (1968) ed Electronic Sound (1969) erano progetti sperimentali ai quali si era dedicato in modo estemporaneo finché era ancora membro dei Beatles. Oltretutto non si trattava di dischi di canzoni, poiché il primo conteneva la musica strumentale (largamente influenzata dal fascino dell’India) a colonna sonora dell’omonimo film, mentre il secondo era un’opera sperimentale composta utilizzando uno dei più celebri sintetizzatori dell’epoca, il Moog.
Vediamo brevemente la genesi del triplo LP. Il magnum opus del chitarrista inglese era come un edificio che si era materializzato – mattone dopo mattone – in un arco di tempo che giungeva a ritroso sino al 1966. Sulla condizione di molte canzoni non penso ci si possa esprimere, cioè affermare se fossero rimaste a livello di testi vergati su carta, oppure fossero state registrate a livello amatoriale o professionale (almeno, al giorno d’oggi non è ancora saltato fuori materiale d’archivio in merito). Delle canzoni registrate come demo, una di esse la possiamo ascoltare nel secondo cd del terzo volume della Beatles Anthology, uscita nel 1996. Mi riferisco a quella che diventerà la title-track del futuro disco, cioè “All Things Must Pass”.
Il documento è del 25 Febbraio 1969, giorno in cui oltretutto cadeva il 26° compleanno di Harrison. In quel particolare frangente sappiamo come il lavoro sul progetto Get Back fosse stato momentaneamente accantonato in favore dei primi abbozzi di quello che sarebbe stato l’ultimo disco del quartetto, cioè Abbey Road. La composizione di Harrison era stata scartata per l’inclusione nell’eventuale nuovo disco dei Beatles: non era la prima volta che succedeva. Nella complessa struttura dei rapporti interni al gruppo, dove la coppia Lennon-McCartney deteneva intatto il predominio nel canzoniere del gruppo, l’esclusione di canzoni a firma Harrison dalla scaletta dei nuovi dischi – tenendo conto che egli stava compiutamente fiorendo come autore di tutto rispetto, esattamente come i suoi compagni – alla lunga si rivelava una mossa poco saggia, utile solo nel favorire frizioni e nello spingere il chitarrista a cercare appagamento e piena realizzazione in progetti esterni al mondo dei Beatles.
Tra i compagni con cui Harrison trovò l’intesa per dare forma a nuove idee, possiamo certamente riferirci soprattutto a Billy Preston – la cui associazione con i Beatles e in particolare con lo stesso George ebbe effetti benefici sul decollo della sua carriera – nonché a Bob Dylan, con cui egli iniziò una proficua amicizia subito dopo l’uscita del White Album, a Novembre 1968.
L’idea di realizzare il disco che sarebbe divenuto noto come All Things Must Pass iniziò a prendere corpo durante le difficili sedute nei Twickenham Studios, a Gennaio 1969. Prese maggior consistenza con la fine dell’anno, ma fu solo quando McCartney annunciò la sua uscita dai Beatles che Harrison trovò la spinta per mettere in cantiere il suo progetto. Figura chiave nel plasmare la fisionomia del nuovo lavoro, soprattutto sotto il profilo del suono, fu il produttore americano Phil Spector, che nel Gennaio 1970 aveva prodotto “Instant Karma”, nuovo singolo della Plastic Ono Band, guidata da Lennon.
Spector, pochi mesi più tardi, avevadato una forma coerente e un aspetto presentabile al travagliato progetto Get Back, il quale nel frattempo era stato pubblicato con il titolo di Let It Be. Nello stesso periodo il bizzarro produttore – che durante le sedute di registrazione di All Things Must Pass avrebbe dato prova del suo comportamento erratico e imprevedibile – ebbe il privilegio di poter ascoltare in anteprima le canzoni che il chitarrista inglese aveva accumulato negli anni precedenti, rimanendo sbalordito – a detta sua – dalla quantità e dalla qualità del materiale che aveva davanti.
[prosegue nella seconda puntata]