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Keith Moon: genio e follia di uno dei più grandi batteristi della storia del rock

Il batterista Keith Moon

Leggendo alcune biografie, in particolare quelle interamente dedicate alla vita di diversi celebri musicisti, chiunque di noi potrebbe sentire la necessità di interrogarsi sull’esistenza o meno di quel legame che incatena, da sempre, arte e sofferenza psichica.

È quasi come fosse una costante, una maledizione, un lato oscuro che si ripropone ciclicamente e che regolarmente ci riporta alla memoria tutti i casi più tristi della storia del rock, da Brian Jones a Janis Joplin, da Layne Staley degli Alice in ChainsKurt Cobain dei Nirvana, fino ad arrivare alla più recente vicenda della povera Amy Winehouse (solo per citarne alcuni).

Sembra quasi, che “fare arte” per alcune persone sia da considerarsi una necessità, un modo per riuscire a conquistarsi un po’ di serenità, la scoperta di quell’angolino fuori dal mondo dove si può stare bene in sospensione tra le molle della creatività. L’arte come una sorta di medicina? Un unico modo per dare un senso alle proprie angosce? Forse si!

Il tormento del talento

Ed ecco che, sotto quel mondo di paillettes e riflettori, si scoprono sempre le stesse cose. Drammi vissuti in età adolescenziale, violenze psichiche, fisiche, sessuali, l’eterna mancanza di autostima, l’uso smodato di droghe e di alcol e di quant’altro. Tra tutti i molti esempi di artisti dotati di grande talento e di scarso equilibrio psichico, il più particolare è forse quello di Keith Moon, indimenticabile batterista degli Who, celebre gruppo rock di origine britannica.

Keith John Moon, che è mancato a soli 32 anni nel settembre del 1978, venne descritto bene da una famosa frase di Alice Cooper, che disse : “ Tutto ciò che avete sentito su Keith Moon è assolutamente vero, ed è solo un decimo di ciò che ha fatto davvero”.

Quello che nel 2011, venne considerato dai lettori della rivista musicale Rolling Stone,secondo solo a John Bonham, nella classifica dei migliori batteristi di tutti i tempi, a quanto pare, fin dall’età di 17 anni, aveva già le idee chiare in fatto di “arte autodistruttiva”. Infatti fin dal 1964, non appena entrato a far parte degli Who,  Moon cominciò subito a far esplodere o a distruggere a calci la sua batteria.

Nel famoso video dell’esibizione del gruppo inglese allo show televisivo “ The Smothers Brothers Comedy Hour “ del 1967, sul finire del brano My Generation, mentre Pete Townshend come di consueto è impegnato nella distruzione sul palco della sua chitarra, si vede Keith Moon azionare con il piede un dispositivo collegato a dell’esplosivo, che fa letteralmente saltare in aria la batteria travolgendo tutti i presenti, compresi i cameramen degli studi della televisione americana CBS.

“Moon the Loon”

Presto, così, Keith Moon si guadagnò il soprannome di “Moon the Loon”, ovvero “Moon il Matto” per la sua propensione a vivere la vita come in una favola, facendo il buffone per divertire il prossimo, arrivando anche a concepire e a realizzare scherzi di cattivo gusto con l’utilizzo di detonatori ed esplosivi molto pericolosi, devastando hotel di lusso, sacrificando costosi strumenti musicali ed ogni cosa a lui vicina.

Tra i peggiori scherzi di cattivo gusto ideati dal celebre batterista ci fu quello nel quale saltò in aria la tastiera del povero Andy Bown, tastierista degli Herd, la band di Peter Frampton, mentre in un’altra occasione sempre Keith Moon nascose una vera testa di maiale tra le lenzuola del letto di Barry Whitwam il batterista degli Herman’s Hermits, un noto gruppo beat originario di Manchester nel Regno Unito.

Ma la follia di Keith Moon risultò ormai conclamata, quel giorno in cui, superando ogni limite imposto dal buon senso, ebbe il coraggio di travestirsi da ufficiale nazista e con tanto di saluto a mano tesa indirizzato alla gente che nel contempo era rimasta a bocca aperta, riuscì ad attraversare il centro di Londra, rischiando il linciaggio.

E ancora, il giorno del suo ventunesimo compleanno, nel corso di una festa improvvisata con gli amici in un hotel del gruppo Holiday Inn, dopo vari tuffi fatti nella piscina dalle altezze più improbabili, tra esplosioni varie, riuscì perfino a far precipitare un’automobile Lincoln sul fondo della vasca.

Nel 1970, Moon uccise involontariamente il suo autista edassistente personale, Neil Boland, investendolo con la sua Bentley, nel tentativo di sfuggire a un gruppo di giovani teppisti, (leggi l’articolo) mentre nel 1973 durante un concerto della band in California svenne più volte sul palco, costringendo Pete Townshend ad assoldare un batterista tra il pubblico per terminare il concerto.

Amico di Alice Cooper, Keith Richards, Ronnie Wood, John Lennon, Ringo Starr e Paul McCartney, fu proprio dopo una cena trascorsa con quest’ultimo che quella sera era insieme alla moglie Linda, che Moon una volta tornato a casa per dormire non si risvegliò più. Era il 7 settembre del 1978.

Autodidatta, fuori da ogni limite o parametro, fece suo uno stile inimitabile e del tutto personale, introducendo la doppia cassa della batteria e inserendo tra una battuta e l’altra una sua creatività straordinaria.

— Onda Musicale

Tags: Pete Townshend, Ronnie Wood, Keith Moon, Alice in Chains, Paul McCartney, Alice Cooper, Ringo Starr, John Bonham, Brian Jones, Kurt Cobain, Amy Winehouse, Nirvana, John Lennon, The Who, Keith Richards, Janis Joplin
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