I Rockets, una band alternativa, fantascientifica, assolutamente fuori dal comune, una band rivoluzionaria. Siamo a fine anni settanta, il punk sta prendendo il sopravvento, soprattutto su quel vecchio rock progressivo tanto caro ai nostri cuori. Un periodo di grande cambiamento e innovazione.
E’ in questo contesto che un geniale produttore francese, Claude Lemoine, intravede in un gruppo di giovani ragazzi ancora adolescenti, il potere di ribaltare le sorti del panorama musicale dell’intero pianeta.
Pianeta, parola grossa quella usata. Esistono vari pianeti, varie dimensioni, chissà quanti universi paralleli…
Tranquilli, non siamo all’interno di un programma spaziale della NASA. Anzi, siamo saldamente con i piedi per terra, ma lontani anni luce da stili comuni e stereotipati, da galassie troppo scontate e uniformi, siamo molto vicini a scoprire i segreti di uno dei gruppi più audaci di sempre. Un gruppo straordinario formato da ragazzi coraggiosi e ambiziosi, capace di scalare in pochi anni le vette delle classifiche di tutto il mondo con dischi diventati veri e propri tormentoni a tutti i livelli.
I Rockets, esseri spaziali, esseri alieni. Personaggi a loro agio nel suonare chitarre e bassi a forma di sole o di stella, soggetti immersi in fumo e luci pirotecniche, esseri in grado di fare del paesaggio extraterrestre il proprio habitat naturale.
In un piacevole viaggio musicale, abbiamo incontrato uno dei leader del gruppo francese, il tastierista Fabrice Pascal Quagliotti, vera e propria anima qualitativa dei Rockets. Con lui andremo a scoprire la vera essenza dello space rock.
Fabrice, tra passato e futuro, ci ha illustrato inoltre il suo primo album da solista, lo splendido “Parallel Worlds”, progetto strumentale intenso e cinematografico, visionario e futurista, mai banale e mai scontato. Fabrice Pascal Quagliotti, rappresenta oggi il massimo della qualità synth, un musicista esperto e completo, un compositore eccellente capace di portare a livelli eccelsi il suono delle sue tastiere.
Ecco a voi il resoconto di questa intensa chiacchierata…
Ciao Fabrice, è un onore per me poterti ospitare tra le pagine del nostro giornale. I Rockets nascono in un periodo musicale assai complesso, segnato dal netto sorpasso del punk su tutti gli altri generi dell’epoca. Sai, è proprio questo il punto. Ascoltando e riascoltando i vostri successi, ho notato sempre di più la grande influenza del rock sulla totalità del vostro repertorio. Ho ragione?
“Ciao Alberto, assolutamente sì. In origine, quando il gruppo non era ancora perfettamente identificato, c’erano quattro ragazzi rock blues che ebbero la fortuna, nel 1976, di incontrare Claude Lemoine. Claude vedeva questi ragazzi in modo speciale, li vedeva rasati e arrivati dallo spazio, era la sua visione dell’extraterrestre. Fu così che nacquero i Rockets, di base un gruppo rock. In molti ci definiscono un gruppo elettronico, accostabile ai Kraftwerk, ma secondo me non entriamo minimamente in questo tipo di paragone. Amo molto i Kraftwerk, però noi siamo un gruppo rock, un gruppo rock con aggiunta di synth.”
“On the Road Again”, il vostro secondo album, siamo nel 1978. L’omonimo brano vi porterà in testa alle classifiche di mezzo mondo. E’ di fatto il tuo primo lavoro con i Rockets. A mio modestissimo parere, le tue tastiere portano una nuova linfa all’interno della musica del gruppo, una forte influenza progressiva.
“Alberto, tra i miei gruppi musicali preferiti ci sono i Genesis, si parla di uno dei gruppi prog più importanti di tutti i tempi. E poi David Bowie… Sono cose molto diverse. A 16 anni facevo parte di una band progressive, chiamata Sexagone. Nel repertorio Rockets ci sono vari brani a forte impronta progressiva, come Communication. A suo tempo, penso di aver portato all’interno del complesso delle armonie di questo stampo, armonie molto diverse dall’originale impronta musicale della band.”
“Plasteroid” è stato un lavoro fantastico. Suoni ricercati, melodie originali e facilmente assimilabili, un mix di fattori che porta i Rockets a un livello di notorietà mai visto prima. Disco d’oro, disco di platino… Secondo il tuo punto di vista, questo progetto può considerarsi l’apice della vostra carriera?
“Il nostro album di maggior successo è sicuramente “Galaxy”, è molto raffinato. Ed è anche quello che preferisco. “Plasteroid”, dal mio punto di vista, è invece il lavoro più ricercato e differenziato, per me è molto interessante a livello di ricerca suoni. Poi tutto varia a seconda dei gusti.”
So che ho toccato un punto dolente… I tuoi dischi d’oro e di platino sono stati rubati parecchi anni fa. Recentemente alcuni media hanno messo in dubbio il furto. Come ti senti? Penso che non sia stato un momento particolarmente piacevole…
“Non è stato assolutamente un bel momento. Quando ti gettano nel fango per il nulla, per un qualcosa che non esiste, non è mai piacevole. Ho vinto e stravinto tutte le cause, ma sono stato male per almeno un paio di mesi. Mi vergognavo ad uscire di casa, sono una persona molto sensibile, certe cose sono veramente brutte. All’inizio, quando c’è la notizia, sono tutti pronti a spararti contro. Si vede che in quel momento i media non avevano di meglio da fare.”
Ascoltando “Parallel Worlds”, il tuo primo album da solista, non ho potuto fare a meno di notare la tua grande vena romantica. In particolare mi riferisco alla terza traccia dell’album, Princess. Si sa, lo space rock dei Rockets non ha mai contemplato elementi particolarmente amorosi. Si tratta della nascita di un nuovo Fabrice Pascal Quagliotti?
“Non si tratta assolutamente di un nuovo Fabrice, sono sempre stato così. Princess è un brano nato quattordici anni fa, quando ho conosciuto mia moglie Paola. In quel momento ho pensato non c’entrasse nulla con il progetto Rockets, quindi ho riposto questo brano nel cassetto. Quando ho deciso di intraprendere questo percorso da solista, solo strumentale, ho rispolverato quel cassetto, portando alla luce diverse cose del passato.”
In questo personale viaggio attraverso i mondi paralleli, a cosa ti sei ispirato?
“Diciamo che la mia fonte d’ispirazione sono stati i 14 temi che compongono il progetto. Diversamente dal solito, dove partendo da un brano si arriva a un titolo, in questo lavoro partendo dal titolo si arriva al brano. Mi ha ispirato la figura di Tovarisch Gagarin, perché nel 1961 il primo uomo nello spazio è stata una cosa pazzesca. David Bowie è stata un’altra fonte di ispirazione. Direi che in questo disco, ogni titolo porta direttamente al proprio brano di appartenenza. Harem è uno di questi. E’ la mia visione di questa gabbia dorata, simbolo della repressione dell’uomo sulla donna, dove la donna purtroppo si trova sempre a dover far la parte della prigioniera. Il mio pensiero, sempre, è che siamo tutti uguali.”
“Parallel Worlds”, un lavoro intenso e ricco di elementi sonori ricercati e all’avanguardia. Che peso ha avuto la partecipazione al progetto del tuo amico e collega Frederick Rousseau?
“Guarda, con Frederick c’è prima di tutto un discorso sentimentale. Siamo molto amici, dai cinque anni in su siamo sempre stati culo e camicia, per dirla all’italiana! C’è una grande collaborazione di Frederick a questo progetto, un grande lavoro, un percorso musicale parallelo. Ma in primis Frederick è la mia infanzia. Sono molto fortunato, ho amici che condividono il mio lavoro e le mie passioni. Rosaire Riccobono dei Rockets, ne è un altro esempio.”
Nell’album sono presenti anche diverse venature orientali non indifferenti…
“Riguardo a questo, sappi che io amo molto il Giappone. Il budo, la scrittura, il modo di vestire… Sono affascinato dal Giappone. Japanese Tattoo, l’ottava traccia del disco, è il frutto maturo della mia passione verso questo straordinario paese.”
Cosa rappresenta per te “Parallel Worlds”? Siamo a un punto di partenza o a un punto di arrivo?
“Io da grande vorrei scrivere musiche da film, come si evince da quest’album. E’ un punto d’arrivo nel senso che io ora vado avanti con la mia carriera da solista. Con i Rockets continuerò a fare concerti, ma non più dischi. Quando uscì “Wonderland”, dissi subito che quello sarebbe stato il mio ultimo album con i Rockets, con quello si chiudeva un cerchio. Sai, nella vita tutto inizia e tutto finisce. In quel momento mi sono sentito autorizzato da me stesso a portare avanti una carriera da solista.”
Fabrice e l’Italia. Si può dire che da noi tu sia di casa! C’è un episodio, un ricordo, un qualcosa che ti porti nel cuore del nostro paese?
“Io mi sento europeo, il mio legame con l’Italia è fortissimo. Considero l’Italia il più bel paese al mondo, abbiamo i mari, le montagne. Le Dolomiti sono un’opera d’arte, a mio parere il patrimonio culturale e di bellezza dell’Italia non ha paragoni e forse dovrebbe essere sfruttato meglio. Gli italiani rappresentano un popolo fantastico, io amo l’Italia. Tra l’altro sono seguito da una stilista italiana d’eccezione, Cinzia Diddi, che ha completamente disegnato gli outfit del pianeta “Parallel Worlds”. Un lavoro impressionante che porteremo anche nei concerti. Direi che l’Italia fa parte del mio cuore.”
I costumi dei Rockets, i loro stili, hanno fatto storia. Pensi di portare avanti questa innovazione anche con questo nuovo progetto?
“Con Cinzia stiamo lavorando in modo minuzioso al look che sforneremo anche ai live. Il modello Rockets andava sicuramente bene a quei tempi, ora è tutto molto diverso. Faccio un determinato tipo di musica, stiamo studiando dei costumi molto interessanti, uno in particolare sarà una vera figata, composto da un tessuto luminoso davvero intrigante.”
Da quello che mi racconti, si prospetta anche un tour…
“Certo, Covid permettendo. Il periodo è molto difficile, forse sarei dovuto uscire con l’album questa primavera, non pensavo a una situazione simile. Ma ormai siamo qui e dobbiamo vivere questo momento. Intendiamoci: il mio intento non è mai stato e non è quello di vendere dischi, ma quello di fare buona musica. Il mio è un disco di nicchia, la ricerca del suono è notevole. La cosa che mi rende felice è ricevere un sacco di complimenti proprio da gente del mestiere. “Parallel Worlds” è sicuramente un lavoro pazzesco, dove non mi sono posto paletti, dove sono stato libero di seguire la mia ispirazione.”
Quali sono i tuoi progetti futuri? Ci sarà un seguito di “Parallel Worlds”?
“Sì sì, questo è certo. Ho già steso due o tre brani nuovi, in generale tutto quello che mi viene in mente lo suono! Sai, “Parallel Worlds” non è un disco modaiolo, spero che duri parecchio e che resti nel cuore di chi lo ascolta.”
Caro Fabrice, il nostro tempo volge al termine. Ringraziandoti per la disponibilità, non posso che augurarti il meglio per il proseguimento della tua carriera.
“Grazie Alberto, vorrei finire quest’intervista citando il mio mago, il mio ingegnere del suono, Michele Violante, colui che mi permette di avere una qualità del suono così eccelsa. “Parallel Worlds” non è semplicemente un album da solista, ma un immenso lavoro di squadra.”