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“Axis: Bold As Love”, il viaggio spaziale di Jimi Hendrix

Il 1967 non fu un anno tranquillo per Jimi Hendrix e la sua band, gli Experience. Il complesso si era formato l’anno prima, per volere di Chas Chandler, e la sua irruzione era stata un fulmine nel cielo nemmeno troppo sereno del rock britannico. Il 1° dicembre uscì “Axis: Bold As Love”, opera seconda confezionata a tempo di record.

“Are You Expercienced?”, il debutto del trio, era uscito il 12 maggio e il suo clamore era esploso dopo la leggendaria e infuocata – nel senso letterale – esibizione al Monterey Pop Festival. Il contratto con la Track Records prevedeva l’uscita di due dischi in quello stesso 1967, – altri tempi, senza dubbio – e l’impegno assumeva i contorni dell’impresa, considerando gli infiniti impegni live in seguito al primo album e lo stile di vita non certo claustrale di Jimi e dei suoi compagni di band, Noel Redding e Mitch Mitchell.

Le registrazioni iniziarono a giugno e, tra varie disavventure, si arrivò alla pubblicazione giusto in tempo per approfittare del redditizio periodo delle festività di fine anno. Negli States, dove l’opera prima era uscita in agosto, “Axis” fu rilasciato a gennaio, per non influire sulle vendite del predecessore, ancora ben presente in classifica.

“Axis: Bold as Love” è un disco che è tradizionalmente rimasto un po’ schiacciato tra l’importanza storica del debutto e la maestosità del seguito, il doppio “Electric Ladyland”; per un lungo periodo è stato un album poco considerato, in molte biografie e analisi della discografia di Hendrix gli vengono addirittura dedicate poche righe, e spesso solo per ricordare “Little Wing”, l’iconica ballata presente nella raccolta. Tuttavia, il disco ebbe buon successo alla sua uscita, in un mercato affamato di nuovo materiale, sia di vendite che di critica.

“Rolling Stone” scrisse: “In ‘Axis’ Hendrix mostra di essere ormai diventato uno dei più grandi chitarristi rock grazie alla padronanza dello strumento e alla perfetta conoscenza di tutti i trucchi possibili e immaginabili del mestiere” arrivando a definire il disco come il miglior album “Voodoo” della storia del rock, qualsiasi cosa la definizione volesse dire.

Anche le altre principali testate musicali furono d’accordo: era una disco sicuramente più sperimentale, spaziale e avveniristico del primo, e la qualità era sopraffina.

Oggi “Axis” è in genere il disco di Jimi che piace di più agli appassionati di tecnica, non solo quella strumentale nuda e cruda, ma anche quella di registrazione, essendo il lavoro quasi pionieristico nell’utilizzo di una serie di tecniche allora agli albori, il “reverse recording” e il “phasing”, per dirne un paio.

La registrazione avvenne a Londra, agli Olympic Studios, con la fida produzione di Chas Chandler e Eddie Kramer come tecnico del suono. A testimonianza di una certa svagatezza di Hendrix, c’è un famoso aneddoto: a missaggio completato, il chitarrista di Seattle dimenticò i preziosi nastri del lato “A” in un taxi; nastri che non furono mai più ritrovati, imponendo un nuovo missaggio a tempo di record, che lasciò sempre leggermente insoddisfatti Hendrix, Chandler e Kramer.

La copertina, ormai divenuta quasi di culto, è un esempio di kitsch psichedelico religioso, un pastrocchio poco riuscito che attirò qualche problema di censura e che non fu mai approvata e digerita dallo stesso Hendrix. Pare che Jimi avesse chiesto qualcosa che riportasse la sua immagine alle sue origini che ibridavano la cultura afroamericana con quella dei nativi americani: forse per un bizzarro malinteso, il lavoro di Roger Law e David King finì per tracciare un improbabile collegamento tra l’Experience e la cultura indiana, – nel senso dell’India – dando a Jimi e compagnia le fattezze di Visnù, divinità induista dalle molte braccia. In Francia il disco uscì con una copertina diversa, mentre addirittura nel vicino 2014, la grafica è stata tardivamente censurata in Malesia.

Passiamo alla parte che però più ci interessa, la musica.

Se “Are You Experienced” era un disco fortemente legato alle radici blues (“Hey Joe” e “Red House”) e al furore chitarristico di Hendrix (“Fire”, “Manic Depression”, “Foxy Lady”), con “Axis” il musicista mancino pare quasi volerne prendere le distanze, preso dall’altra sua grande passione, quella per la sperimentazione in studio di registrazione.
Pare quasi che la band volesse dimostrare la sua abilità compositiva, e di non essere solo l’appendice per le evoluzioni chitarristiche dell’indiscusso leader.

In maniera quasi programmatica, il disco si apre con una breve traccia tra la sperimentazione pura e quasi rumoristica e il testo recitato, “Exp”, in cui viene ripresa e alterata una vecchia intervista in cui Jimi parla di alieni e vita extraterrestre.

Il brano fa quasi da introduzione alla prima vera canzone del lavoro, nonché unico singolo estratto, la bella “Up From the Skies”. Il pezzo, che ebbe buoni riscontri di vendita ma non all’altezza dei precedenti, narra la storia proprio di un alieno che torna dopo secoli a visitare la Terra, rimanendo deluso da come gli umani l’abbiano ridotta; sicuramente un tema ancora attuale ai giorni nostri. Il tappeto sonoro è fortemente jazzato, con Mitchell che “spazzola” con innegabile talento per il groove, Redding che sottolinea con le sue linee da chitarrista prestato al basso e Hendrix che si sbizzarrisce con un uso ritmico dell’amato “wah-wah”. Non ci sono virtuosismi, nemmeno nel miagolare finale della chitarra: un pezzo che non è rimasto tra i più celebrati ma decisamente ben riuscito.

La successiva “Spanish Castle Magic” ci riporta quasi alle atmosfere del primo disco, quasi una sorella minore di “Foxy Lady” e “Purple Haze”. Il testo è decisamente psichedelico, un viaggio a cavallo di un drago volante, tra nuvole di zucchero filato e altre visioni probabilmente suggerite da sostanze lisergiche, oltre che dalla fantasia galoppante del musicista. Lo “Spanish Castle” era in realtà un locale di Des Moines, cittadina non lontana da Seattle, dove Hendrix si era esibito più di una volta.

La sezione centrale e finale propongono delle parti di chitarra molto calibrate, dove Jimi pare forse meno vulcanico del solito ma segue linee tipicamente psichedeliche con uno stile pulito ed efficace, quasi sulla scia del Clapton più psych, quello del coevo periodo Cream. Da segnalare anche la prestazione vocale, molto centrata.

“Wait Until Tommorrow” è un passaggio sicuramente non memorabile, con la voce di Jimi in primo piano in una sua incarnazione soul che di tanto in tanto faceva capolino, e i coretti in falsetto dell’Experience. Una canzone a metà tra Otis Redding, a testimonianza di un grande amore di Jimi per le sue radici più black, e la psichedelia.

La successiva “Ain’t No Telling” propone ancora atmosfere fortemente black, nel ritmo terribilmente sostenuto e con la chitarra che doppia a tratti la voce, per poi avventurarsi in frasi brevi e secche, con un suono pulito quasi da bluesman. Una traccia molto breve che prepara il campo al momento storico del lavoro: “Little Wing”.

Cosa dire a proposito di questo brano, vero archetipo della rock ballad, genere che allora – è bene ricordarlo – praticamente non esisteva? L’introduzione, riproposta da centinaia di epigoni – anche molto illustri, da Clapton a Stevie Ray Vaughan – è da brivido, con la chitarra che scivola tra ritmica e solista come solo il buon Jimi era in grado di fare. Il suono è cristallino e la voce carezzevole, il testo romantico e fiabesco. L’assolo finale è forse tra le cose più spettacolari mai suonate da Jimi e forse del rock intero; rimane un po’ il rimpianto per la durata assai breve e per la parte di chitarra che va sfumando nel finale.

Poco da dire: “Little Wing” è il pezzo che mette d’accordo tutti e fa da spartiacque tra prima e dopo. Un capolavoro irripetibile e indiscutibile.

La seguente “If 6 Was 9” è un altro lascito fondamentale di “Axis: Bold as Love”. Celebre anche per il suo inserimento in “Easy Rider”, allude nel titolo al tempo dispari di 6/9 utilizzato, e parla metaforicamente del conflitto tra sistema e controculture, allora di grande attualità. Alcuni studiosi si sono spinti – in modo forse un po’ avventuroso – a cercare un collegamento tra le parole “if the mountains fell into the sea” e la mitologia dei nativi americani Hopi, da cui Hendrix, che però faceva parte dei Cherokee, era forse influenzato. Musicalmente il pezzo è complesso, diviso tra una parte iniziale totalmente blues nelle atmosfere che presto lascia spazio a una lunga cavalcata psichedelica.
Nel brano c’è anche un curioso contributo di Graham Nash: suo, assieme ad altri, è il suono dei passi che si sentono a un certo punto.

Si va avanti con “You Got Me Floatin’”, pezzo in cui il basso di Redding è in grande evidenza e che scorre via senza lasciare particolari impressioni, lasciando spazio a un’altra celebre ballata, “Castles Made of Sand”, in cui Jimi rievoca la sua infanzia.

Come nella canzone precedente c’è un uso disinvolto del “reverse sound”; il canto di Hendrix è estremamente pulito e l’assolo di chitarra è breve e straniante.

Il disco prosegue con un pezzo cantato da Noel Redding, “She’s So Fine”, una ballata beat psichedelica che sembra presa di peso dal canzoniere dei Cream, con la voce di Noel, sicuramente più educata e canonica rispetto a quella del frontman. Un cambio d’atmosfera che non dispiace, in un disco che tutto sommato risulta forse un po’ troppo lungo: probabilmente rinunciando a due o tre pezzi l’efficacia del risultato sarebbe stata maggiore.

C’è infatti ancora spazio per “One Rainy Wish”, ballata non proprio memorabile, per “Little Miss Lover”, con un attacco di batteria che pare quello del futuro anthem “Immigrant Song” dei Led Zeppelin, ma si evolve ancora dalle parti di un robusto soul rock, con la voce di Hendrix più ringhiante del solito e una serie di parti chitarristiche che anticipano la Band Of Gypsys.

Il finale è per “Bold As Love”, ennesima rock ballad del disco, memorabile soprattutto per il lungo assolo centrale, una delle cavalcate più belle e pulite mai suonate su disco da Hendrix.

“Axis: Bold As Love” è un album che, al di là dei capolavori che cela, è un disco che ancora oggi sorprende per l’incredibile quantità di sperimentazioni che racchiude. Un simbolo della creatività senza limiti di un’era irripetibile per la musica rock e per la società.

  Andrea La Rovere – Onda Musicale

— Onda Musicale

Tags: Chitarra, Eric Clapton, Led Zeppelin, Jimi Hendrix, Rock, Blues, Experience
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