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Quanto rock ‘n’ roll c’era davvero nei Beatles?

L’enorme successo commerciale del rock ‘n’ roll fu anche la causa del suo decesso. Nato come movimento alternativo e sinonimo di ribellione, la sua diffusione a livello planetario lo categorizzò come di massa, scalfendo inesorabilmente la sua vena antiborghese.

Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, negli Stati Uniti d’America, v’erano ben tre correnti musicali meritevoli di menzione:

  • il rhythm and blues, diffuso presso le comunità afroamericane e oggetto di spunto per tutti coloro i quali intendevano incidere dischi rock;

  • il country and western, nelle zone texane (ma non solo), caratterizzato da melodie e strutture semplici piuttosto orecchiabili, derivazione chiara di certe tradizioni canore europee degli allora bianchi invasori;

  • la musica pop – abbreviazione di popular music -, molto commerciale, in voga tutt’oggi sebbene le dovute differenze stilistiche.

Oltre ai suddetti filoni occorre sempre tenere a mente il ritmo della rak, una danza nordafricana, molto diffusa in Marocco e presso le comunità sufi odierne, il cui scopo era ovviamente lo stordimento – anche mediante l’uso prolungato di sostanze stupefacenti – al fine di percepire Dio (o chi per lui).

Già mi sono espresso su certi prodromi di rock ‘n’ roll (leggi qui); occorre però evidenziare che, come sarebbe poi accaduto col rap ed Eminem, il massimo esponente del rock ‘n’ roll fu un bianco, Elvis Presley.

Costui, da semplice tuttofare, venne avviato a una carriera da cantante, non senza le difficoltà del caso. Partiamo dal presupposto che uno dei più grandi insegnamenti da trarre dalla storia personale di Elvis è che chiunque, con un po’ di fortuna e un bel po’ di passione, possa avviarsi a qualsiasi carriera, musicale o non.

Costui non voleva di certo ritrovarsi cantante, per di più solista. Dopo svariati lavori saltuari, trovò occupazione a tempo indeterminato presso una ditta di cavi elettrici. Così, durante una delle quotidiane commissioni, si fermò a registrare un EP personale presso una ditta di produzione che, a costo irrisorio, permetteva di strimpellare due note e di uscirsene con un vinile personale che nessun familiare avrebbe mai ascoltato (siamo nel periodo in cui nelle case non v’era granché, sebbene la narrazione storica consuetudinaria odierna parli di Boom Economico).

Ad ogni modo, il suo vinile venne ascoltato, per caso, dal titolare della casa discografica che decise di contattarlo. Ed ecco il mito di Elvis, un operaio prestato alla musica. Senza dubbio risaltano, ancor oggi, le sue doti canore e scenografiche, con particolare riferimento alle sue divise oggi esposte in molti musei musicali e Hard Rock Café. Ma, di più, è curioso il fatto che costui iniziò a dedicarsi ad un genere più vicino alla musica afro che altro.

La sua carriera venne interrotta dal servizio militare obbligatorio che, a sua detta, gli giovò molto dandogli modo di riflettere su alcuni valori della vita. Nel frattempo però le vendite dei sui dischi negli USA continuava ad aumentare grazie a una oculata operazione di marketing del suo produttore.

Elvis fu anche oggetto di contestazione. Oggigiorno possiamo rinvenire due tipologie di biografie: quelle che lo considerano antirazzista in quanto cresciuto con le musicalità afro, e coloro i quali gli additano l’espressione “I neri? Possono solo lustrarmi le scarpe e vedere come si fa musica.”

Insomma, veridicità o meno, occorre sempre contestualizzare (siamo in anni particolarmente complessi dal punto di vista sociale) per giungere a forme di comprensione del fenomeno quantomeno verosimili. Ma a noi delle ideologie politiche di Elvis non dovrebbe fregare molto. Fu la voce bianca del rock ‘n’ roll par excellance, e tanto basta.

La sua fine, però, merita d’esser ricordata. Durante un suo tour, in un periodo particolarmente difficile per il cantante che aveva messo su parecchio peso, venne ritrovato morto dalla sua compagna, in bagno, col sedere sulla tazza e la faccia a terra. Insomma, non un capolinea granché dignitoso. A prescindere da questo piccolo aneddoto sulla sua fine, occorre focalizzarci sul fatto che il rock ‘n’ roll riscosse grande successo e fruttò molti soldi alle case discografiche che lo esportarono/importarono in Europa.

Liverpool, 1961. John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Star pongono in essere le basi di un nuovo genere musicale, la musica beat, creando The Beatles, band che non credo necessiti di descrizioni.

Senza dubbio notevoli erano le differenze stilistiche con Elvis. Al cantante solista che occupa la scena e dà le spalle al pubblico si preferisce la band; la melodia prevale sul ritmo più “martellante” del rock ‘n’ roll; lo stile è sì anticonformista e antobnorghese, ma dal pompadour si passa al celeberrimo caschetto (che, per i genitori dell’epoca, già era una forma eccessiva di ribellione) e ai successivi capelli lunghi oltre la spalle.

A questo punto occorre domandarsi se il rock ‘n’ roll fosse già svanito e se si fosse commistionato ad altri generi continuando tutto sommato a vivere. A mio modesto parere, fu mero pretesto delle case discografiche. Salvo sprazzi in cui la rak si ode come in Don’t Let me Down, mi par di percepire uno stile del tutto nuovo nei Beatles, tipico dello stile britannico, capace di ramificarsi oltremodo in tutto il mondo. Sì: una british invasion.

  Daniele Martignetti – Onda Musicale

— Onda Musicale

Tags: Elvis Presley, John Lennon, The Beatles, Beat, Paul McCartney
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