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“Listen To The Band”: la storia dei Monkees [Seconda Parte]

Riprendiamo da dove eravamo rimasti. L’arrivo di Chip Douglas, bassista dei Turtles chiamato da Nesmith, aveva finalmente consentito ai quattro di poter esprimere quella libertà creativa che sotto l’egida di Kirshner era stata loro vietata. 

La sua presenza nella squadra dei Monkees non si traduceva nel puro e semplice compito di produrre nuovo materiale di un gruppo che ora poteva avere il controllo sul processo creativo, ma contemplava anche una sua attiva partecipazione all’esecuzione dei brani (soprattutto per quanto riguarda le parti di basso) nonché alla guida del gruppo. Per tutto il 1967 Douglas Farthing Hatlelid – in arte Chip Douglas – fu a tutti gli effetti un membro dei Monkees. Sotto la sua direzione a Maggio 1967 usciva il primo disco in cui i quattro artisti finalmente assaporavano la libertà di muoversi, senza che vi fosse qualcuno a manovrarli dall’alto, a mo’ di marionette. Stiamo parlando di Headquarters, la cui copertina riproduce una fotografia in cui i quattro ragazzi sono disposti in una posa che ricorda un’elica e mostrano sorrisi e sguardi che sembrano rivelare la conquista della tanto agognata sicurezza nelle proprie capacità creative.

Ascoltando il disco in questione – rimasto per poco tempo al primo posto della classifica, prima di essere relegato al secondo posto da Sgt. Pepper’s – osserviamo un gruppo desideroso di esplorare territori musicali che erano in larga parte rimasti esclusi dai primi due dischi, confezionati nell’ottica di un pubblico composto da adolescenti (è il cosiddetto bubblegum pop, che non possiamo certamente considerare alla stessa altezza di quanto si produceva nello stesso periodo di tempo in Gran Bretagna, oltre che nella stessa America), nonostante vi fossero al loro interno rare eccezioni (lo stile country-rock di Nesmith). Tra le composizioni degne di nota all’interno di Headquarters non possiamo dimenticarci di “Randy Scouse Git”, pezzo in cui lo stesso Dolenz – a cominciare dal titolo – allude chiaramente (non sappiamo fino a che punto) alla sua esperienza inglese all’inizio del ‘67, quando conobbe i Beatles (“The Four Kings of EMI”) e fu ospite di McCartney. Il titolo, espressione tutt’altro che aristocratica (tipica dello slang di Liverpool), fu censurato in Gran Bretagna con il più neutro e anonimo “Alternate Title”.

Spostandoci verso gli altri pezzi, possiamo dire che “For Peter’s Sake” (a firma dello stesso Tork, ma cantata da Dolenz, posta a chiusura degli episodi televisivi), “You Just May Be The One” (interessante pezzo di Nesmith, introdotto dal banjo di Tork), “Shades Of Grey”, “Forget That Girl” e “No Time” vennero utilizzate come colonna sonora della serie. Ascoltando l’LP abbiamo l’impressione che i Monkees alzino il livello qualitativo della loro musica: non ci sbagliamo, dato che all’uscita del disco il Los Angeles Times ne aveva parlato in termini positivi (“None of the tracks is a throwaway… The improvement trend is laudable”).

Al di là del trionfo, Headquarters rappresentò un’effimera vetta nella coesione del gruppo: nelle settimane e nei mesi successivi all’uscita del lavoro Tork, Dolenz, Nesmith e Jones iniziarono a manifestare più chiaramente le rispettive inclinazioni musicali (Dolenz di fatto rinunciò al proprio ruolo di batterista; Tork – nonostante fosse il più propenso al lavoro di gruppo – verso fine anno iniziò a cimentarsi in progetti paralleli; Nesmith decise di approfondire la propria inclinazione per il country-rock, mentre Jones svoltò decisamente verso i pezzi in stile Broadway).

Nella seconda metà del 1967 si tennero le sedute di registrazione di Pisces, Aquarius, Capricorn And Jones Ltd (quarto disco in poco più di un anno). Anch’esso, come il precedente, fu prodotto da Chip Douglas e si piazzò al primo posto della Billboard 200 (cioè la classifica discografica statunitense). Il disco segnò un leggera inversione di rotta rispetto al percorso intrapreso all’inizio dell’anno, dal momento che il gruppo tornò a fare affidamento ai cosiddetti turnisti (session musicians). L’LP – pubblicato il 6 Novembre – si caratterizza per sonorità psichedeliche rese con il sintetizzatore Moog (che possiamo sentire in brani come“Daily Nightly” e “Star Collector”), oltre che per la preminente presenza di Nesmith come interprete (cinque brani su dodici): ne deriva il fatto che alcune canzoni (come “What Am I Doing Hangin’ ‘Round?”) si presentano con un’inconfondibile sfumatura country-rock, territorio che lo stesso Nez avrebbe voluto esplorare maggiormente nelle sue potenzialità di espansione.

La punta di diamante di Pisces è il brano – a firma Carole King“Pleasant Valley Sunday”. Dalle sessioni per il disco emersero altri due brani – “Daydream Believer” e “Goin’ Down” – entrambi pubblicati come singolo a fine Ottobre, ma dei quali solo il primo fu incluso nel disco successivo, pubblicato all’inizio del 1968.

Con il nuovo anno la storia dei Monkees conobbe una svolta radicale.La serie tv in cui recitavano – il motivo principale per cui era nato il gruppo – giunse al capolinea a fine Marzo: il format (come diremmo noi) di Rafelson e Schneider continuava a mantenere invariata la propria struttura, e la cosa mal si conciliava con i quattro ragazzi, stanchi di dover recitare sempre lo stesso copione (in tutti i sensi). Il tentativo, da loro messo in atto, di trasformare gli episodi in una specie di spettacolo televisivo con ospiti celebri (un David Letterman ante litteram?) incontrò la resistenza della casa produttrice: la contrapposizione delle parti condannò quindi il prodotto al suo naturale tramonto. Immaginiamo che la chiusura della serie sia stata vissuta come una liberazione dai quattro artisti, ma il vuoto da essa lasciato doveva ora essere riempito con criterio, senza cadere nell’anarchia. La prima metà dell’anno fu dedicata a due progetti, uno discografico e l’altro cinematografico: in sala di registrazione i Monkees si misero al lavoro per la realizzazione di quello che sarebbe stato il loro quinto disco, cioè The Byrds, The Bees And The Monkees.

Il lavoro in questione è stato definito da alcuni commentatori come il frutto della fase da “White Album” nella storia del gruppo, per via del fatto che le sedute in studio videro spesso i quattro lavorare in momenti separati (più o meno come nel caso dei colleghi di Liverpool), producendo un lavoro caratterizzato da eterogeneità di stili. I singoli tratti da esso furono due: il già citato “Daydream Believer” / “Goin’ Down” nonché “Valleri” / “Tapioca Tundra”; sul set invece i Monkees si cimentarono nella recitazione di HEAD, un film scritto da Bob Rafelson insieme a Jack Nicholson: nella pellicola il nesso tra le scene è dato dalla musica incidentale nonché dalle canzoni del gruppo. La stessa struttura “fluttuante” del film la troviamo nella sua omonima colonna sonora, pubblicata il 1 Dicembre 1968: per la nostra sensibilità il disco risulta “anomalo”, dato che le canzoni (stilisticamente eterogenee come nel precedente LP) sono intervallate dalla già citata musica incidentale nonché da spezzoni di dialogo.

Poco più di due mesi prima della pubblicazione di HEAD si tenne la quarta tournée la quale vide i Monkees esibirsi in Australia e Giappone. Nessun dubbio sul fatto che l’impegno dei concerti influì nell’acuire lo stress interno al gruppo. La goccia che fece traboccare il vaso fu l’impegno nella registrazione dello speciale televisivo 33⅓ Revolutions Per Monkee, programma in cui il gruppo era affiancato da numerose celebrità del mondo della musica. Affermando di averne abbastanza, Peter Tork dichiarò di voler abbandonare i Monkees e scelse di rescindere il contratto con il quale era scritturato dal 1966.

Il biennio finale della storia del gruppo nato sulla falsariga dei Beatles lo affronteremo nella terza e ultima puntata. Non mancate.

    Massimo Bonomo – Onda Musicale

— Onda Musicale

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