Ho voluto aspettare un po’ prima di dire la mia su questo disco ed in particolare sul brano “Louder Than Words”, contenuto appunto nel disco “The Endless River” dei Pink Floyd e uscito lo scorso 9 ottobre.
L’ho ascoltata e riascoltata centinaia di volte. In tutte le occasioni possibili e nei contesti più disparati. In cuffia, in macchina, dal telefonino, alla radio, con l’impianto mega-galattico del mio amico Giovanni. Insomma credo di essermi fatto un’idea piuttosto precisa. Già al primo ascolto è difficile non riconoscere lo stile gilmouriano. Il brano si apre con un arpeggio di chitarra che sembra uscito da “On an Island”. Segue un crescendo che arriva al refrain, intenso ed efficace ma per nulla banale. L’atmosfera è quella che si può apprezzare negli ultimi due album in studio dei Pink Floyd del dopo Waters ed in modo particolare in “The Division Bell”.
Pur senza la cupaggine dei testi di Waters, il messaggio contenuto in “Louder Than Words” si riferisce alla magica atmosfera creata in studio di registrazione fra Gilmour, Wright e Mason in occasione delle registrazioni di “The Division Bell“.
Più forte di qualsiasi parola. La traccia termina con un assolo di chitarra che più “alla Gilmour” di così non potrebbe essere. Davvero tanta roba.
“Louder Than Words“, così come l’intero disco, è un brano che nasce recuperando alcune sessioni di registrazione del 1993, realizzate in occasione della registrazione del disco “The Division Bell” ed un tributo a Richard Wright.
Si tratta quindi di materiale “creato” da David Gilmour, Nick Mason e da Rick Wright e senza Waters, che aveva abbandonato il gruppo nel 1985. Nella circostanza Roger definì la sua esperienza nella band “un colossale spreco di energie“.
Al materiale, già ricco di suo e che probabilmente non è nemmeno stato usato tutto, è stato aggiunto il testo scritto da Polly Samson, il “sesto Pink”, come l’ha battezzata qualcuno.
A proposito della canzone, David Gilmour ha dichiarato: “La musica è presa da quelle ultime registrazioni di noi 3 che suoniamo insieme all’Astoria (leggi l’articolo) con le stravaganti tastiere di Rick, che mi fanno pensare che non ci si rende mai conto di quello che si ha fino a che non lo si perde. Quando abbiamo iniziato a lavorare a questo nuovo album, ho chiesto a Polly di scrivere i testi. Ma, secondo lei, quello che le avevo fatto sentire non aveva bisogno di parole, che ascoltarci suonare era più interessante di qualunque testo. Alla fine ha scritto le parole solo di questa canzone che esprime, credo in maniera magnifica, la magia che si crea quando noi tre suoniamo insieme e che questa magia è più potente di ogni parola”.
Con questa canzone David ce lo dice chiaramente e solo chi non vuole capire non lo capisce. Nell’unico modo a lui congeniale, con l’unico linguaggio che lui conosce alla perfezione, il linguaggio della chitarra. David ci dice che i Pink Floyd sono definitivamente morti. Inutile sperare in quello che non succederà mai, specie dopo la morte di Wright.
Le note della sua Black Strat, lamentose e struggenti ma taglienti e incisive ci dicono esattamente questo. Ciò che è stato e che non sarà.
Mai più. Se non ci credete ascoltate il brano fino alla fine e lasciatelo andare per qualche secondo. Sentirete pronunciare le parole “Go to heaven Wright.“
Stefano Leto