È il 3 maggio 1972: nasce il primo album omonimo di quello che diverrà uno dei migliori gruppi della storia dello stivale, con quel salvadanaio in terracotta – dagli appassionati rinominato “Salvadanaio rock” – divenuto negli anni un autentico marchio IGP del progressive italiano nel mondo.
Dalla feritoia dell’edizione sagomata originale si estraeva una striscia di cartoncino con i volti dei membri del gruppo – una sorta di contraltare alla celebre banana di Andy Warhol, realizzata per i Velvet Underground – idea dello sconosciuto illustratore Mimmo Mellino talmente geniale da rendere quasi superflua l’aggiunta del nome del gruppo sulla copertina. Il Banco del mutuo soccorso rifugge atmosfere esterofile, evidenzia l’intento di non voler imitare i modelli stranieri e delinea un’impronta marcatamente personale contraddistinta da una ricerca timbrica molto oculata. Anche per l’importanza riservata all’elemento vocale il Banco prende le distanze da tanti altri gruppi contemporanei, concentrati quasi esclusivamente sulle composizioni strumentali.
Le combinazioni dell’album sono ispirate da un ideale contrasto tra lo slancio della fantasia e il dramma del reale. Una musica decisamente nuova, moderna – soprattutto per l’Italia – e fortemente evocativa, che abbandona definitivamente ogni retaggio beat e attraverso una scrittura tecnicamente competente dimostra di conoscere profondamente le tecniche compositive della musica classica facendone sapiente uso, le integra efficacemente con altri generi musicali. I virtuosismi tastieristici dei fratelli Nocenzi – ben supportati dalla chitarra di Marcello Todaro, dalla batteria di Pierluigi Calderoni e dal basso di Renato D’Angelo – le tessiture complesse e la voce potente e a volte sussurrata ma sempre densa di passione e grinta di Di Giacomo, conferiscono grande spessore musicale e suggestione ai pezzi. Autodidatta caratterizzato da curiosità, sensibilità e intelligenza – grazie a cui è diventato non solo la voce e la penna, ma la vera e propria anima del gruppo – l’imponente e carismatico Francesco Di Giacomo compone testi raffinati che sembrano rifarsi ai poemi cavallereschi e alla poesia, adagiati sapientemente su note mediterranee condite da echi operistici e liturgici.
La ricercatezza testuale propria dell’approccio italiano alla musica ha da sempre conferito valore aggiunto ed originalità ai dischi prodotti dalla band, che non sono solo da ascoltare, ma anche da leggere. Dopo questa straordinaria esplosione discografica, il salvadanaio dei Banco non “risparmierà” capolavori e produrrà altri due album consecutivi di notevole qualità: il concept evoluzionistico di Darwin ed il progressive illuminista di Io sono nato libero.
Darwin, pubblicato dopo soli sette mesi dal capolavoro d’esordio, si basa sulla teoria evoluzionistica della specie umana del celebre biologo inglese, ormai accettata da tutta la comunità scientifica, ma nonostante ciò – a causa di pregiudizi, di bigottismi religiosi e ideologie reazionarie – vittima di giudizi sdegnosi di chi col mondo della scienza non ha nulla a che fare. Appare quindi attualissima ancor oggi e centra in pieno quel conflitto profondo tra verità e pregiudizio, tra fede e scienza, tra prove scientifiche e religione.
Come capita nei concept più maturi, non si può approfondire l’album senza esaminare sia i testi che la musica. Parole sapienti e di grande spessore insaporite da un rock sinfonico controbilanciato dal gusto armonico proprio della musica classica barocca, il tutto abilmente connotato da un’intensa eleganza emotiva. Continua a delinearsi il suono caratteristico della band, fatto di chiaroscuri, momenti di grande intensità e ballate malinconiche.
La traccia introduttiva del disco sottolinea le incongruenze del creazionismo, delineando la storia dell’universo dal Big Bang, attraverso le creature più complesse fino ad arrivare all’uomo. Sulle note di un caleidoscopico drappeggio jazz/rock viene disegnata musicalmente una danza di dinosauri, evocando un ambiente preistorico e atmosfere cupe e primordiali. Tutto è frutto di un grandissimo percorso evolutivo mancante di una mente creatrice o – per citare il filosofo William Paley – di un orologiaio (la teoria dell’orologiaio di Paley era una di quelle più in voga tra i contemporanei contro Darwin e affermava che chiunque, camminando solo in un bosco trovasse un orologio per terra, non potrebbe mai pensare che quello potesse essersi formato da solo nei secoli, ma sarebbe assolutamente indispensabile immaginare una mente creatrice).
Io credo che questo genere di rock che chiamano progressive sia stato, quando è nato, un esperimento d’avanguardia, perché la musica è come qualunque cosa, va messa nel contesto in cui nasce. Se poi noi pensiamo ad esempio a Caravaggio come un classico, quando Caravaggio ha dipinto i propri quadri era una rivoluzione incredibile. Lui ha pensato alla luce elettrica, ai tagli teatrali di nero e bianco quattrocento anni prima che Edison scoprisse la lampadina. Se lo vediamo oggi come un classico, allora era avanguardia, un innovatore. Il Banco oggi è un classico, siamo stati però sicuramente avanguardia, profonda avanguardia. Chiaramente, questo ci ha reso la vita difficile per certi versi, ma ci ha dato un respiro lungo per altri” – Vittorio Nocenzi.
Probabilmente la punta di diamante dell’intera produzione del Banco – sicuramente uno degli Lp più rappresentativi dell’intera decade dei 70’s – grazie all’equilibrio eccellente tra musica, testi e respiro internazionale dell’operadi denuncia politica, Io sono nato libero è la storia di un condannato che aspetta l’esecuzione e che affida al suo canto il suo lascito. Piuttosto che raccontare un storia, il gruppo sceglie di procedere con una trattazione per episodi in cui il filo conduttore della libertà viene percepito quasi sottopelle. È necessaria una riflessione attenta e profonda durante e dopo l’ascolto per poter apprezzare a pieno il messaggio contenuto nell’album. Nel giugno del 2015 la rivista Rolling Stone ha collocato Io sono nato libero alla trentacinquesima posizione dei 50 migliori album progressive di tutti i tempi. È durante la registrazione che viene introdotto come ospite il chitarrista Rodolfo Maltese che poi prenderà il posto di Todaro nei dischi successivi. Non mi rompete è uno dei cavalli di battaglia durante i concerti, uno dei brani più orecchiabili utilizzato in questo frangente per stemperare un po’ il clima sofferente che scaturisce dall’ascolto della prima canzone.
La calda voce di Big Francesco riesce ancora una volta ad esprimere impeccabilmente il senso di sofferenza di colui che ha perso la propria individualità e scontrandosi con la dura realtà ne è rimasto amaramente segnato. Io Sono Nato Libero è un album di una bellezza inimitabile, così come è bella la libertà che qui è narrata alla pari di quella conquistata. Con ogni probabilità il Banco ha raggiunto l’apice della sua capacità compositiva: dopo i primi tre capolavori, infatti, continuerà con produzioni buone ma non all’altezza delle precedenti.
Una cosa è certa: il Progressive non è per tutti. Ma una volta che si lascia entrare, non si può più chiudere la porta.
Maria Laura Toncli