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David Gilmour, la lunga storia di un mito della chitarra

David Gilmour

Nell’estate del 1965 un giovanissimo ragazzo inglese – non ha nemmeno vent’anni – insegue i suoi sogni di rock’n’roll in giro per l’Europa. A volte l’accompagna qualche amico, autostop, una chitarra e le canzoni dei Beatles suonate dove capita. Dorme in giro e mangia quando ce n’è: una volta l’arrestano per vagabondaggio, un’altra lo ricoverano per malnutrizione. Quel ragazzo è David Gilmour.

Sono passati poco più di dieci anni da quando David, ragazzino, acquista il suo primo 45 giri: Rock Around the Clock di Bill Haley. Per il colpo di fulmine, però, non basta, quello arriverà con Heartbreak Hotel di Elvis Presley. L’amore per la chitarra sboccerà definitivamente ascoltando Bye Bye Love degli Everly Brothers. A quel punto David si fa prestare una chitarra da un vicino di casa e inizia – con un libro di esercizi e tanta buona volontà – a esercitarsi. Quella chitarra David non la restituirà più. E menomale.

La famiglia di Gilmour, secondo la sua definizione, appartiene ai nuovi ricchi del dopoguerra; Sylvia Wilson, la madre, fa l’insegnante e successivamente lavora anche per la BBC, come montatrice. Il padre, Douglas Gilmour, è un affermato docente di zoologia all’Università di Cambridge. Tutti e due lo incoraggiano nella sua passione per la musica.

Come ogni buona storia, quella di David Gilmour prevede la sua bella discesa agli inferi, nella sfortunata avventura tra Francia e Spagna, ma anche incontri che paiono quasi miracolosi. David si iscrive alla Perse School: l’ambiente non gli piace per nulla, ma è lì che conosce Syd Barrett, un coetaneo bello, dotato per tutte le arti ed estremamente carismatico. Tra un corso e l’altro passano il tempo a esercitarsi con la chitarra.

David – che intanto ha iniziato a studiare lingue – entrerà nei Jokers Wild, una delle tante formazioni di rock blues che non avrà gloria; Syd, invece, fonda un’altra band e, dopo qualche moniker poco azzeccato, decide di chiamarla Pink Floyd, unendo i nomi di due oscuri bluesmen americani.

David, intanto, coi suoi Jokers Wild, pare spiccare il volo: incidono un album e qualche singolo, tutta roba che rimane sempre confinata a tirature limitatissime, ma dura poco e la band si scioglie. Nel 1967 il giovane ci riprova in Francia, con Rick Willis e Willie Wilson, già con lui nei Jokers Wild. Ora si fanno chiamare Flowers e intraprendono un breve tour pieno di speranze. Potrebbe essere il momento del riscatto, dopo la sfortuna di due anni prima, e invece anche stavolta il trio non ha nessun successo. Sono talmente in bolletta che non hanno nemmeno i soldi per la benzina e al ritorno devono spingere il tour bus per farlo scendere dal traghetto.

David nel frattempo ha imparato a parlare fluentemente il francese, anche se non completerà mai gli studi, è diventato bello come un dio greco e lavora a volte come modello. Ha anche affinato la tecnica alla chitarra, anche se i giorni della gloria sono ancora lontani, e si sorprende non poco quando torna a casa e ritrova Syd Barrett.

Quel giovane carismatico sta riuscendo a imporsi nella Swingin’ London coi suoi Pink Floyd. Con lui altri ragazzi che David conosce bene: Roger Waters, Richard Wright e Nick Mason. Il loro è un suono che non si è mai sentito, psichedelico e sopra le righe, poetico e delicato allo stesso tempo. I loro spettacoli sono i più seguiti nel mondo underground e stanno incidendo – spalla a spalla coi Beatles – il loro primo album ad Abbey Road. E se i Fab Four stanno scrivendo la storia del rock con Sgt. Pepper, i giovani Pink Floyd stanno gettando i semi del loro mito.

Qualcos’altro però sorprende David: l’amico di sempre Syd è cambiato, fatica perfino a riconoscerlo. La malattia mentale, unita allo smodato consumo di acidi, sta minando irrimediabilmente l’equilibrio di Barrett. Passa qualche mese e Syd diventa ingestibile; è tanto geniale nel creare quanto inaffidabile sul palco e in sala di registrazione. Non si presenta o è sempre in ritardo, pronuncia frasi sconnesse e a volte rimane immobile sul palco senza suonare le sue parti di chitarra.

A dicembre è Mason ad avvicinare David e a proporgli di affiancarsi a Syd come chitarrista. L’idea è semplice, Gilmour dovrà coprire i buchi sempre più larghi nelle esibizioni di Barrett, che dovrebbe rimanere soprattutto a livello compositivo il leader. Meno chiaro è il successivo svolgersi degli eventi, fatto sta che Syd è sempre più in un suo mondo parallelo e presto viene estromesso dalla band. Quel che è certo è che il senso di colpa dei suoi compagni segnerà molta della discografia successiva. All’inizio è David, il nuovo arrivato, a patire di più; la sua sofferenza nel suonare al posto dell’amico è sotto gli occhi di tutti. Alla lunga la vicenda segnerà però in profondità la psiche di Roger Waters.

In ogni caso, siamo alla svolta. Orfani del genio impazzito di Barrett, i Pink Floyd faticano a darsi una direzione precisa. Lo stile chitarristico di Gilmour, ancora acerbo, è già molto diverso da quello schizzato di Syd, meno all’avanguardia ma più lirico e suggestivo. La sua tecnica non è strabiliante, basata com’è sulle scale pentatoniche del blues e priva dei virtuosismi che allora imperano. Sono i tempi del blues ad alti ottani di Eric Clapton, di quello selvaggio ed esplosivo di Jimi Hendrix e di quello virtuoso ed eclettico di Jimmy Page. La chitarra di David, in confronto a quei mostri, pare troppo timida e sfumata.

Gilmour però, ha qualcosa che gli altri non hanno. La passione per la tecnologia, intanto, che lo porta a elaborare settaggi di effetti e amplificazione sempre più accurati e che gli regalano un suono unico e riconoscibile dalla prima nota. E in più David ha un feeling tutto suo, dalla sua chitarra paiono uscire non solo note ma vere e proprie immagini. Le atmosfere che riesce a evocare con poche note tirate allo spasimo, coi suoi bending e coi suoi settaggi misteriosi, risultano evocative come mai prima nel rock.

David però è anche un cantante di prima categoria, capace di alternare il timbro delicato e quasi folkeggiante a uno più strappato e rabbioso, sempre intonatissimo ma più adatto al rock dirompente di certi episodi. La timidezza vocale di Wright e il timbro roco e un po’ sgraziato di Waters sono perfettamente complementari, ma non c’è dubbio: in un gruppo che non ha un vero frontman, la star vocale e strumentale è David.

Per anni la nuova band di David Gilmour fatica a trovare una sua dimensione. In A Saucerful of Secrets è ancora forte l’impronta di Barrett; in Ummagumma i quattro tentano di dividersi i compiti geometricamente, ma non funziona tutto a dovere. Tra colonne sonore e infiniti tour, i Pink Floyd abbracciano il nascente rock progressivo con Atom Heart Mother e il successivo Meddle. Lo fanno a modo loro, ibridando il tutto con la psichedelia e lasciando da parte alcune complessità del genere. La struttura dei brani rimane semplice – elementare, per i loro detrattori – ma gli arrangiamenti orchestrali di Atom e la lunga suite Echoes, stupenda, fanno appartenere in pieno i lavori al prog.

Specie in Echoes David Gilmour pare trovare finalmente la strada giusta; le sue parti di chitarra diventano sempre più dilatate ed evocative, un vero viaggio per l’ascoltatore. Ascoltando con attenzione alcuni lavori minori, come le loro colonne sonore, si scorge già la direzione che David e tutta la band prenderà di lì a poco. In Obscured by Clouds, in particolare in una composizione di Gilmour, Childhood’s End, il suono è già praticamente quello che ascolteremo in Dark Side of the Moon. La voce di David è perfettamente matura e a punto, la chitarra a tratti pare quasi funkeggiare nella ritmica e regala un assolo che pare il prototipo di quello che il chitarrista suonerà per tutto il resto della carriera. Tra scale blues e improvvisi squarci melodici, con un suono che misteriosamente è riconoscibile da subito, Gilmour ha trovato la sua cifra.

Nel frattempo, però, qualcos’altro è emerso chiaramente: il vero leader compositivo è Roger Waters. Il bassista, tanto limitato come strumentista e spesso nella voce, è l’unico capace di scrivere testi profondi e di portare avanti i concetti che staranno alla base dei più grandi successi. Messi da parte dispersivi esperimenti, i Pink Floyd entrano nella parte più importante della loro parabola. In The Dark Side of the Moon ognuno è perfettamente al suo posto, come non accadrà più. Roger compone un concept senza difetti, Wright e Mason contribuiscono ognuno come meglio sa fare, ma le luci della ribalta sono soprattutto per David Gilmour.

Sono passati appena otto anni da quando aveva patito la malnutrizione nell’improvvisato tour, e ora David è sul tetto del mondo. I suoi assoli in Money e in Time fanno la storia del suo strumento, ma anche il lavoro negli altri brani è encomiabile. Forse nessuno avrebbe scommesso su quel ragazzo dai capelli lunghi e la carnagione chiara, bravo con la chitarra ma tanto lontano dai virtuosismi dell’epoca. E invece David Gilmour diventa uno dei pochi, veri miti della chitarra elettrica.

Dal lato oscuro della luna in poi, la strada pare in discesa. Le quattro note all’inizio di Shine on you Crazy Diamond – tratte da un vecchio stacchetto radiofonico – e gli splendidi assoli nello stesso pezzo; l’intro folk di Wish you were here e la parte di chitarra acustica; il lavoro sopraffino nel sottovalutato Animals e – soprattutto – The Wall, croce e delizia della storia del gruppo.

Il dominio di Waters all’interno del gruppo è ormai diventato tossico: Wright viene licenziato e le liti con l’amico David Gilmour sono all’ordine del giorno. Il percorso del complesso è alla fine, ma come in ogni splendida storia che finisce, c’è ancora spazio per lampi di magia. Parliamo soprattutto dell’insuperabile assolo di Comfortably Numb.

A quel tempo Gilmour sente già l’aria mancare dentro al gruppo, tanto che nel 1978 pubblica il suo esordio solista, intitolato col suo nome. Non fa in tempo, però, a inserire un brano che ha appena composto; poco male, tornerà buono per il nuovo disco con la band madre. Quel pezzo è proprio Comfortably Numb, arricchito dal testo di Waters. (leggi la storia della sua genesi)

L’assolo del brano è spesso indicato come il migliore della storia del rock. Le parti di chitarra sono in realtà due, e sono i momenti forse più alti del David Gilmour strumentista, specie quella finale. Suonando una Fender Stratocaster del 1970, un distorsore Big Muff, un pedale Electric Mistress e un amplificatore Hiwatt collegato a delle casse Yamaha R-A 200, David riesce a fare qualcosa di miracoloso. Una serie di fraseggi sempre più intensi, ancora oggi studiati nota per nota da qualsiasi chitarrista, dal neofita al fuoriclasse.

I contrasti con Waters si fanno a quel punto insanabili, sanciti da The Final Cut, disco da molti ascritto al solo Roger. Anche qui, però, David Gilmour trova modo di inserire uno splendido assolo dei suoi, nella title-track. Un assolo che, col senno di poi, suona quasi come un malinconico addio.

Gli anni successivi, con le beghe legali e un ritorno senza Waters che pare più una ripicca che un progetto artistico, sono un lungo tramonto. I Pink Floyd senza Waters trovano definitivamente in David il leader assoluto; ma è una leadership monca, senza nerbo. A Momentary Lapse of Reason e The Division Bell sono album piacevoli ma che scivolano via senza grossi sussulti; dal vivo invece il gruppo funziona ancora come ai bei tempi, riempiendo i palchi di mezzo mondo con effetti e suggestioni immutati.

L’ultima reunion, felice e malinconica, per il Live 8. Un’eccezione unica e consapevole, purtroppo resa irripetibile dalla morte dell’amico Richard Wright.
Sui motivi dell’unica reunion, David dirà:

Per molte ragioni. La prima era ovviamente aiutare la causa. La seconda è che io e Roger abbiamo avuto pessime relazioni e questo è uno spreco d’energia e anche una brutta cosa da portare nel cuore, per cui avevamo voglia di fare qualcosa per scacciare tutta quella spazzatura. La terza è che se non l’avessi fatto forse l’avrei rimpianto per sempre.

David è oggi un ricco signore che vive la vita tranquillamente e – con calma – si occupa di tante cose. Di beneficenza, molta, e di dischi solisti, pochi. Di una messe di figli avuti da due matrimoni felici, a loro modo; quello con Ginger prima, e quello con l’onnipresente Polly Samson poi. Negli anni David ha collaborato con una pletora infinita di musicisti, si è dedicato alla grande passione per gli aerei pilotando personalmente e fondando una compagnia di volo, poi ceduta.

I fan e Roger Waters sembrano ogni tanto voler rinfocolare qualche vecchia polemica, ma David pare ormai pacificato. Con la saggezza della sua età vola in alto come le note dei suoi formidabili assoli, troppo in alto per le miserie delle beghe che hanno chiuso la storia dei Pink Floyd, consegnandoli dritti alla leggenda. A proposito dei Pink Floyd e di possibili riunioni, nel 2006 David ha chiuso a ogni possibilità:

Penso di averne avuto abbastanza. Ho 60 anni. Non voglio più lavorare tanto. È un’importante parte della mia memoria, ho avuto enormi soddisfazioni, ma adesso basta. È molto più confortevole lavorare per conto mio.

— Onda Musicale

Tags: David Gilmour, Roger Waters, Comfortably Numb, Syd Barrett
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