“Radici“ è il quarto album del cantautore Francesco Guccini che, solo pochi giorni fa, ha compiuto 76 anni (leggi l’articolo). Nato a Modena pochi giorni dopo l’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, il piccolo Guccini si rifugia con la madre a Pavana, paesello natio del padre chiamato alle armi, nella casa dei nonni paterni.
Trascorrendo qui l’infanzia, Francesco Guccini trova l’ispirazione per le sue canzoni, “Piccola città” per esempio, ed i suoi romanzi ambientati sull’Appennino Tosco – Emiliano.
Proprio la nostalgia e la ruralità sono i temi del disco di questo weekend, “Radici”, del 1972. Si tratta di un album molto interessante perché contiene una delle sue canzoni per eccellenza, “La locomotiva”, che il cantautore era solito usare come chiusura dei suoi concerti ed anche per “Il vecchio e il bambino” e “La canzone della bambina portoghese” riprese da I Nomadi.
Il disco, inoltre, ha ancora dei vaghi echi di progressive rock grazie alle tastiere di Maurizio Vandelli (Equipe 84) e Vince Tempera, la batteria di Ellade Bandini ed il basso di Ares Tavolazzi (Area).
Bandini e Tempera (autore anche di colonne sonore per film e cartoni animati) sono tra i musicisti che hanno militato fino all’ultimo album, “L’ultima Thule” del 2012, così come al giorno d’oggi.
Questi ultimi tre, in particolare, suonavano insieme nei Pleasure Machine assieme a Gigi Rizzi, chitarrista che ha collaborato con Francesco Guccini, Antonello Venditti e Claudio Lolli.
Il prog, grazie a composizioni come “Radici”, era già presente nella musicalità gucciniana già dal disco precedente, “L’isola non trovata” del 1971, in cui c’erano sia i Pleasure Machine che Franco Mussida, la futura mente e chitarra della PFM.
La parte folk dell’album si distingue per la chitarra fingerpicking, il flauto ed il banjo di Deborah Kooperman, musicista americana trapiantata in Italia, che aveva già collaborato con Lucio Dalla ed aveva conosciuto i big del folk americano come Woody Guthrie, Pete Seeger e Bob Dylan.
Ovviamente, nonostante la bravura di tutti i musicisti accuratamente scelti, è sempre il Guccio a rivestire gli abiti di autore di testi e musiche.
Tra ruralità, nostalgia, sentimento ed anarchia questo è uno degli album fondamentali della discografia di Guccini. Ma passiamo ora alla tracklist dell’album:
1) Radici: le tastiere, leggermente distorte e con gli echi, sono l’introduzione a questo capolavoro del Guccio la cui voce si erge al di sopra del tappeto sonoro. Una canzone in cui le tastiere di Vandelli e Tempera danno il meglio di loro assieme ai cori ed al banjo della Kooperman.
Il testo di Guccini, invece, esplica appieno il significato dei ricordi e delle origini, “radici”, appunto. “La casa è come un punto di memoria, le tue radici danno la saggezza e proprio questa è forse la risposta e provi un grande senso di dolcezza”
2) La locomotiva: una delle canzoni più famose, e lunghe dato che si parla di ben 8 minuti, dell’album e dell’intero repertorio di Guccini.
Scritta di getto in circa 20 minuti la canzone narra della vicenda realmente accaduta del macchinista anarchico Pietro Rigosi che, nel luglio di fine ‘800, si diresse a tutta velocità con la sua locomotiva verso la stazione di Bologna, ma venne deviato su un binario morto.
Oltre alla tematica del “mito di progresso” la canzone parla anche di “un’altra grande forza spiegava allora le sue ali, parole che dicevano ‘gli uomini son tutti uguali’” che altro non era che “la fiaccola dell’anarchia”.
Famosa anche per la cover dei Modena City Ramblers, con la partecipazione dei Gang ed arricchita dai riff dei Pogues e dell’irish in generale, questa è la canzone con cui il Guccio avvisava gli spettatori che il concerto era finito
3) Piccola città: un’altra delle canzoni riguardanti la nostalgia, vero e proprio tema ricorrente dell’album, in cui Guccini ci narra il suo periodo d’infanzia nella piccola, ma fondamentale per la sua crescita come cantautore, Pavana.
L’intro folk tra chitarra, armonica e banjo rende perfettamente l’idea così come il testo, soprattutto l’inizio, “piccola città, bastardo posto”, che descrive la vita ed il ritorno in questa piccola realtà rurale.
Nella canzone è presente inoltre un verso, “correva la fantasia verso la prateria, fra la via Emilia e il West” che Guccini ha usato per intitolare il suo live del 1984, “Fra la via Emilia e il West”. Di stampo più jazz la versione dei Nomadi contenuta nell’album “I Nomadi interpretano Guccini” del 1974
4) Incontro: una delle canzoni più intime e malinconiche dell’intero album. I delicati arpeggi e la voce di Guccini ci narrano dell’incontro, dopo anni di lontananza, con una sua vecchia amica che era innamorata di lui.
La storia d’amore non andò mai in porto perché, a detta del Guccio, lei “aveva poche tette e io ero molto sensibile all’argomento”. Errori di gioventù sommersi dagli anni e dai vari amori successivi, ma che non muoiono come i sentimenti.
Evocativo l’inizio “e correndo mi incontrò lungo le scale, quasi nulla mi sembrò cambiato in lei, la tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due”. Nel finale possiamo sentire anche i vaghi accenni al prog come detto all’inizio
5) Canzone dei dodici mesi: canzone abbastanza lunga anche questa, 7 minuti, e con accenni al prog grazie all’intreccio di tastiere. Qui si narrano le vicende di tutti i mesi che compongono un anno.
Tra le varie evidenzio il compleanno del cantautore in giugno, “in un tuo giorno, sotto al sole caldo, ci sono nato io”, e dicembre nei cui “giorni dai profeti detti nasce Cristo la tigre”
6) Canzone della bambina portoghese: voce leggermente distorta, rumori marini e banjo per questa triste ballata sulla vita.
Guccini si fa critico dei troppo sicuri, come i sessantottini, e filosofo della vita. Vita come un “qualcosa di grande che non riusciva a capire, che non poteva intuire”
7) Il vecchio e il bambino: l’intro palesemente prog sfocia negli arpeggi e nel suono delicato del flauto a scandire i passi di un vecchio e un bambino che “si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera” per il confronto di due generazioni, l’una a fianco dell’altra, che chiude il disco
Giudizio sintetico: un album fondamentale per comprendere appieno la discografia, la poetica e la musica di Francesco Guccini. Un album che contiene molte sue canzoni famose (“La locomotiva”, “Incontro” e “Piccola città” in particolare) in cui parecchi di noi si sono rispecchiati almeno una volta nella vita
Copertina: una vecchia e semplice fotografia ingiallita che raffigura la famiglia di Guccini. Una famiglia contadina che rispecchia il concetto delle origini e, perciò, delle “radici”
Etichetta: EMI italiana
Line up: Francesco Guccini (chitarra e voce), Deborah Kooperman (chitarra, banjo e flauto), Gigi Rizzi (chitarra), Ares Tavolazzi (basso), Vince Tempera (tastiere), Maurizio Vandelli (moog e mellotron) ed Ellade Bandini (batteria)
Vanni Versini – Onda Musicale