Il talentuoso chitarrista Robben Ford, americano doc votato al blues ed al jazz, si racconta in occasione della sua imminente discesa nel nostro Paese (leggi l’articolo) tra musica, ispirazioni e collaborazioni con artisti del calibro di Joni Mitchell e Miles Davis.
Quale è la tua definizione di artista?
“Un artista è chiunque prenda qualcosa di basilare ed apra la sua mente ad altre possibilità. C’è un senso di audacia e di giocosità in tutto ciò.”
Spesso citi Sonny Rollins come uno dei più grandi improvvisatori di tutti i tempi. Quanto è importante l’improvvisazione per la tua musica? Come sono influenzati i tuoi concerti da questo tipo di approccio?
“C’è un’improvvisazione costante nelle nostre performance dal vivo. A dire il vero, a volte mi è difficile suonare nello stesso modo per due volte, anche una semplice frase. Quindi è essenziale per un concerto; una volta che la canzone è stata scritta può essere suonata in modi differenti.”
Quanto è cambiato il tuo modo di comporre durante tutti questi anni? Puoi riassumere due o tre fasi differenti nella tua carriera?
“Cominci a scrivere cose banali e poi, magari, comincia a sviluppare un “modo” di lavorare, un tipo di lavoro, un’etica o, comunque, un approccio. Ad un certo punto ho fatto un balzo nel buio ed ho cominciato a chiedere di più a me stesso. Il risultato è stato il mio album “Supernatural”. Ho spinto me stesso da allora, ma non in modo duro. A dire il vero più rilassato che mai, più godibile e contemplativo.”
Senti di aver migliorato qualche abilità particolare in questi ultimi anni?
“La composizione di certo, questa continua a migliorare.”
Recentemente hai ascoltato dei giovani artisti blues che meritano la nostra attenzione? Pensi che il blues abbia un futuro?
“C’è una coppia di bravi, e giovani, artisti che ho incontrato e mi sono piaciuti molto: Matt Tedder e Tyler Bryant. Danno quella sensazione che il blues non morirà mai.”
Quale è stata l’ispirazione dietro “Into The Sun”?
“Volevo realizzare un album che andasse oltre il lato meramente produttivo delle cose. Ho cercato di ottenere delle buone canzoni e performance, spesso mescolate in modo tradizionale. Abbiamo spinto le cose fino al massimo ed oltre per quanto riguarda suono e sentimenti.”
È difficile bilanciare le varie influenze come blues, r&b, jazz e puro rock n’ roll nello stesso contesto senza essere caotici o evanescenti?
“Non lo ritengo un problema.”
Quali sono i momenti chiave dell’album secondo te? E quali le canzoni che ti piacciono di più da suonare dal vivo?
“Rose of Sharon è la mia canzone preferita. “High Heels” è divertente in vari modi, con l’organo di fronte per esempio. Un sacco di humor.”
“High Heels and Throwing Things”reca la firma di Warren Haynes con il quale hai collaborato. Ci puoi dare più dettagli sulla tua amicizia con lui e su come è nata la canzone?
“Ho scritto la canzone e l’ho spedita a lui in modo da sovraregistrare la sua parte. Ho incontrato Warren con Phil Lesh nel 2000 e poi l’ho rivisto quando mi ha invitato a sedermi con la Allman Brothers Band a New York. Ci siamo seduti con le band di entrambi in molte occasioni. È stato veramente grande conoscerlo.”
Stai preparando qualcosa per i tuoi prossimi concerti in Italia? Ci presenteresti la tua band?
“Suoneremo mezzo repertorio tratto da “Into The Sun” ed il resto sarà qualunque tipo di musica ci sentiremo di suonare in un altrettanto vasto repertorio.”
Sei un collezionista di vinili? Quali sono le gemme della tua collezione?
“Non colleziono vinili nonostante io li ami ed abbia ancora, circa, metà della mia vecchia collezione.”
Qual è l’album in cui ti senti più fiero di aver suonato?
“Miles of Aisles di Joni Mitchell – racconta il chitarrista americano – disco del 1975.”
C’è stato un album in particolare che ti ha portato ad iniziare a suonare la chitarra?
“Il primo della Paul Butterfield Blues Band con Mike Bloomfield alla chitarra solista.”
È stato più strano e difficile suonare con George Harrison oppure con Miles Davis?
“Miles Davis di sicuro. George era una bravissima persona, ma Miles ti metteva sempre alla prova. Sostanzialmente lavorare con Miles era più gratificante, senza offesa per George. Non sono mai stato un chitarrista pop o rock, ma George era comunque un brav’uomo ed un bravo chitarrista.”
(realizzata con la collaborazione di Lunatik)