Volete dieci minuti per cui valga la pena vivere? Appoggiate la puntina sul vinile di Maggot Brain e chiudete gli occhi.
Siamo nel 1971 ma potremmo essere nel 2021. La copertina parla chiaro: Maggot Brain era il sipario che scendeva su un’epoca intera. Aperta dalla prepotenza della beat generation e dalle utopie flower power, presto finite nei mari di sangue della sparatoria alla Kent University, di Kennedy freddato in diretta tv e di Martin Luther King assassinato. La denuncia dell’alienazione, della mediocrità e del materialismo del mondo (soprattutto quello americano) sono il leit-motiv di molte delle canzoni della band.
La chitarra di Hazel in “Maggot Brain” accompagnava le spoglie dei Marines rispedite a casa in una bara e le carcasse dei vietcong lasciate a decomporsi sulla strada. Rappresentava il giorno dopo. La conta dei danni, la paura e la sfiducia di ricominciare. Maggot Brain è la rabbia gridata quando siamo sommersi dai problemi e cerchiamo un colpevole, o almeno una soluzione.
La forma tipica della canzone viene totalmente destrutturata a colpi di suoni selvaggi, apparentemente senza meta, jam di decine di minuti o di pochi secondi, singoli anti-classifica in cui si prova tutto il possibile. Da devastanti deliri di chitarre distorte e bassi cavernosi, a messaggi urlanti come proiettili, si può precipitare in sedute in cui i membri in trance cantano e suonano senza schemi; solo con un motivo ricorrente che si ripete all’infinito. Spesso ci sono veri e propri viaggi interiori. L’uomo nero post-“What’s Goin’On” vuol far vedere quel che è, o forse quel che è sempre stato.
George Clinton nell’intro si identifica con un “nascituro figlio della Madre Terra” e si auto esorta: “I have to rise above it all or drawn in my own shit“
. Inizia così una lunga camminata senza commenti accompagnata da un lento arpeggio di chitarra, una batteria sottilissima e quasi impercettibile. Poi, quell’assolo, la voce dell’umanità sofferente.
A Hazel era stato detto: “Suona come avessi scoperto che tua madre è appena morta
“.
Clinton voleva che Hazel immaginasse quel giorno. Cosa avrebbe provato? Come avrebbe dato un senso alla sua vita? Come avrebbe preso una misura di tutto ciò che era dentro di lui?
Le note sono libere di fluttuare nello spazio. Libere, struggenti, a tratti mistiche. Nessun limite alla fantasia. Un tripudio di distorsioni ed effetti spaziali a dimostrazione di quanto le parole non siano così necessarie ad esprimere un flusso di coscienza così incredibile. Travalica i generi e prende forma nella musica “soul” nella sua più pura accezione, la musica dell’anima. La chitarra non è un semplice strumento musicale: si fonde in un tutt’uno con il corpo, la mente e il cuore di Hazel.
Le spettacolari intuizioni dei Funkadelic saranno fondamentali e preziose per il movimento black e per svariati gruppi: da Lil Wayne, Busta Rhymes ad Ant Banks, passando per Snoop Dogg, De La Soul e Massive Attack. Lenny Kravitz e Red Hot Chili Peppers devono loro praticamente tutto il loro successo.
Eddie Hazel morirà nel 1992 e Maggot Brain sarà suonata al suo funerale. Si era scritto l’elogio funebre con vent’anni di anticipo.