Il 4 agosto del 1975, sull’isola di Rodi, un’auto a noleggio sbanda improvvisamente; le strade della Grecia non sono certo famose per la loro sicurezza, spesso i guard-rail sono completamente assenti, e l’auto precipita in un dirupo. Per fortuna un albero blocca la macchina, ma l’urto è violento. Su quell’auto ci sono Robert Plant, la moglie Maureen, i loro figli e la figlia di Jimmy Page.
In quel momento Robert Plant è uno dei più grandi frontman del mondo del rock. Alla guida dei Led Zeppelin ha appena concluso un milionario tour mondiale e si appresta a iniziarne un altro. Per raccontare la sua leggenda, però, dobbiamo tornare indietro nel tempo, al 20 agosto del 1948.
Robert Anthony Plant nasce quel giorno a West Bromwich, nel West Midlands, una cittadina a 10 chilometri da Birmingham. Vicino, dunque, alla città dove nasce l’heavy metal, tradizionalmente, coi rivali Black Sabbath. Il padre è un ingegnere civile, ma il giovane Robert non pare troppo portato per gli studi.
La sua infanzia coincide con l’esplosione del rock’n’roll, di là dall’Oceano Atlantico; già a dieci anni Robert fa di tutto per somigliare al suo idolo, Elvis Presley. Un’attitudine che lo porterà verso il canto, con uno stile sicuramente diverso da quello del re di Memphis, ma non privo di influenze.
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Plant esce giovanissimo dal nido familiare, intorno ai sedici anni, per inseguire il suo sogno musicale. Abbandonati gli studi e messo da parte il rock’n’roll classico, Robert si lascia sedurre dal blues. Robert Johnson, Bukka White, Muddy Waters e Skip James sono I suoi nuovi eroi. Per sua fortuna, sono gli anni del British Blues e una voce come la sua non passa inosservata.
Robert Plant inizia così a suonare per una miriade di band; la Delta Blues Band e i Sounds of Blue, poi i New Memphis Bluesbreakers e i Black Snake Moan a Birmingham. Nei The Crawling King Snakes, nel 1965, suona con un ragazzone di campagna che pesta sulla batteria come un ossesso, John Bonham. Plant e Bonham si ritroveranno due anni dopo nella Band of Joy, l’ennesimo gruppo di Robert, e poi nei Led Zeppelin.
Nel frattempo, però, il giovane Robert si dà da fare per sbarcare il lunario; con l’impresa di costruzioni Wimpey lavora alla posa dell’asfalto e per un po’ trova impiego da Wollworth’s come commesso. I primi approcci in sala di registrazione avvengono a suo nome, con tre singoli che ottengono poca risonanza. Pochi sanno che uno di questi, Our Song, è la versione inglese di un pezzo italiano scritto da Umberto Bindi e Franco Califano, La Musica è finita.
Cantata da Ornella Vanoni a Sanremo, la canzone aveva avuto grande successo; fa sensazione pensare di accostare dei nomi, pur grandi, a quello di Robert Plant, futura stella mondiale in ambito ben diverso. Robert, comunque, si fa notare per la sua particolare vocalità che a tratti richiama quella degli hollers neri americani; Alexis Korner – pioniere del blues britannico – lo vuole con sé per un duo.
I due registrano vari brani insieme, ma l’unico pezzo che rimane delle session è Operator, un classico blues. La vera svolta per Robert Plant è però dietro l’angolo, ma ancora nessuno può saperlo. Jimmy Page, chitarrista di studio molto richiesto e – all’epoca – altrettanto inconcludente, sta pensando di ricostituire gli Yardbirds. Jimmy ha militato nel complesso dopo Eric Clapton e Jeff Beck, mettendosi in luce come chitarrista molto tecnico e dalle idee fin troppo anticonvenzionali.
La sua prima scelta come cantante è il virtuoso Terry Reid, a sua volta chitarrista, ma si trova davanti un rifiuto. Terry, poco dopo, rifiuterà improvvidamente anche la possibilità di diventare vocalist dei Deep Purple, divenendo famoso come il cantante dei grandi rifiuti. Va però detto che Terry Reid all’epoca aveva una promettente carriera solista avviata e un impegno in tour coi Rolling Stones, in apertura dei loro live.
La proposta di Page, oggi allettante, in quel momento è un vero e proprio salto nel buio; Terry, però, fa di più: oltre a rinunciare, consiglia a Jimmy di andare a sentire un live della Band of Joy. Il cantante, secondo Reid, potrebbe essere quello giusto, e così il batterista.
Page si trova così davanti metà dei futuri Led Zeppelin e non ci pensa due volte.
Qualcosa però non lo convince del tutto, in quel biondo vocalist che urla e si dimena sul palco, sfoggiando un falsetto e una gamma vocale mai sentiti. Subito Jimmy viene colpito dalla personalità prorompente di Robert Plant, al punto da convincersi che se non è ancora riuscito a ottenere il successo debba esserci qualcosa che non va.
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Page ospita per qualche tempo a casa sua Plant, per conoscerlo meglio ma anche per metterlo alla prova; i due legano immediatamente e Jimmy finalmente scioglie qualsiasi riserva. Assoldato un altro session man molto ricercato, il polistrumentista John Paul Jones, il volo del dirigibile può iniziare.
Sono anni di incredibili successi, fin da subito. Il ruolo di band più famosa del mondo passa automaticamente dai disciolti Beatles ai Led Zeppelin. I quattro inanellano un successo dopo l’altro, si spostano con un enorme jet privato e alimentano le tipiche leggende da rockstar, all’insegna di eccessi e grande musica.
Robert Plant è un frontman degno dei più grandi di ogni epoca, da Mick Jagger a Freddie Mercury. Il suo modo di stare sul palco come se fosse nato per quello, la sua sicurezza e l’immagine selvaggia fanno scuola. La lunga criniera bionda, la magrezza quasi eccessiva, il torso nudo e i jeans attillati diventano presto la divisa di imitatori di qualità incerta.
Ma è la voce di Robert a fare la differenza; Plant ha uno stile che può risultare a tratti persino urticante, coi suoi vocalizzi, il falsetto e il continuo uscire dai binari della canzone. Eppure, forse il solo Ian Gillan dei coevi Deep Purple riesce a esercitare altrattanta influenza sui contemporanei e su uno stuolo di futuri urlatori metal. Plant, però, funziona benissimo in tutti i generi, grazie al suo approccio estremamente duttile.
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Se l’hard rock è il suo regno, quello dove si scatena in modo viscerale, nel blues riesce a essere altrettanto efficace; le puntate tra rock’n’roll e country lo vedono ancora a suo agio, tra innovazione e reminiscenze di Elvis. È però nei pezzi folk che Robert stupisce.
Forte di un background di appassionato di fantasy, Signore degli Anelli su tutti, riesce a essere efficace anche nella stesura dei testi e a sfoggiare una voce perfettamente pertinente al genere.
I primi quattro album dei Led Zeppelin sono altrettante pietre miliari del rock; tra qualche alto e basso e la stanchezza per i tour milionari in giro per il mondo, alla metà degli anni Settanta i Led Zeppelin sono i signori e padroni del rock duro. Ma la vita non può riservare solo gioie e la discesa agli inferi tipica di ogni eroe della narrativa si prepara anche per Robert Plant.
Le prime avvisaglie sono nel 1974.
Robert è un cantante istintivo, la sua voce roca e viscerale non ha mai conosciuto le tecniche delle scuole di musica e i risultati si fanno presto sentire. Lo sforzo a cui il frontman ha sempre sottoposto le sue corde vocali è tremendo; a presentare il conto sono sia la mancanza di tecnica che lo stile esplosivo, uniti agli sfiancanti tour e agli eccessi.
Il risultato è che Robert deve sottoporsi a un delicato intervento alle corde vocali. Il ritorno – col doppio Physical Graffiti – è abbastanza veloce, ma la sua voce non sarà più la stessa, pur rimanendo lo stesso valida. Ma i guai per Robert sono appena iniziati.
E torniamo a quel 4 agosto del 1975. I Led Zeppelin stanno per iniziare un tour mondiale per cui prevedono di girare tutto il mondo; i motivi sono le tante richieste, ma anche le tasse: per sfuggire al rigido regime britannico, i quattro non possono trascorrere più di trenta giorni l’anno in patria. Alla vigilia della partenza, Robert e Jimmy si concedono una lunga vacanza con le famiglie.
La passione di Page per l’esoterismo, condivisa seppur in maniera minore da Plant, è nota; molti, addirittura, vedono nell’incidente di Rodi una sorta di maledizione. Page, infatti, non segue inizialmente Plant e le due famiglie in Grecia perché si reca in Sicilia, a visitare Villa Santa Barbara di Cefalù. Nella località, all’epoca del fascismo, aveva vissuto – creando una comunità – Aleister Crowley, sorta di sedicente occultista e idolo di Jimmy Page.
Il chitarrista, su suggerimento del regista Kenneth Anger, occultista, si reca nella villa appartenuta a Crowley, l’Abbazia di Thélema, con l’intento di acquistarla. Negli stessi giorni avviene l’incidente di Robert Plant. Il collegamento tra le due case è ovviamente inesistente, ma l’incidente è comunque gravissimo.
Robert rimedia varie fratture, tra cui quella del bacino. Va peggio a Maureen, la moglie, che rimane tra la vita e la morte prima di riprendersi; i figli Karac e Carmen, assieme a Scarlet, figlia di Page, rimangono quasi illesi. Il tour mondiale è annullato e Robert è costretto per mesi sulla sedia a rotelle.
“Mi rendo conto che quella prospettiva, o fattore di spensieratezza che avevo, è sparita all’istante con l’incidente d’auto del 1975. Quel genere di attitudine sgangherata della serie posso conquistare il mondo era completamente andata.”
(Robert Plant)
Un momento ancora più difficile attende però Robert; il 26 luglio del 1977, mentre i Led Zeppelin stanno cercando di recuperare il terreno perduto, muore improvvisamente il piccolo Karac. Le circostanze non vengono chiarite del tutto, pare che la causa sia un’infezione intestinale. Robert e la band sono in quel momento a New Orleans; il cantante è devastato, il tour di nuovo annullato.
La band – forse anche per esorcizzare le tragedie – decide di non sciogliersi, dopo i primi tentennamenti. Purtroppo, un’altra sciagura darà loro il colpo di grazia: la morte di John Bonzo Bonham, il 25 settembre del 1980. Per i Led Zeppelin, stavolta, è la fine.
Da lì, molto lentamente, inizia la seconda vita di Robert Plant. Il cantante è quello che – tra i quattro componenti – si dedica più assiduamente alla carriera solista. Una carriera che prosegue con buon successo tuttora, ma questa è un’altra storia che, forse, vi racconteremo.