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Battiato e gli esperimenti del suo folle laboratorio negli anni ’70

Cinque capolavori nascosti che (forse ancora) non conoscete dell’eclettico poeta della musica. Viaggiatore anomalo tra le frontiere dei linguaggi musicali. Curioso e attento Artista. Ma anche molto di più. Scavando nelle sperimentazioni di Battiato degli anni 70 c’è ancora tanto per cui stupirsi.

Nel 67 Franco Battiato arriva a Milano come il chitarrista di Ombretta Colli in tour. «Era una città piena di fermenti. C’erano le comuni, il teatro d’avanguardia e ovviamente la musica. Solo che non era mai musica leggera!». Il maestro siciliano si apre alle strade della più pura contaminazione sonora attraverso VCS3 e svariati sintetizzatori analogici. Cercando sempre una connessione spirituale, ancor più che stilistica, con un mondo che lo stava segnando intellettualmente. Quale terreno migliore per permettergli di spaziare dal prog alla musica leggera, passando per quella contemporanea? Battiato è un unicum, inimitabile.

Tra il 1968 e il 1971 cambia pelle. Nel 68 opta per una sperimentazione dal sapore classicheggiante con folate pop che uscirà su un 45 giri solo nel 71. Per la prima volta si occupa anche degli arrangiamenti: si tratta della rielaborazione con organo Hammond di un tema dal “Concerto n.1 per pianoforte e orchestra in Si bemolle maggiore Op. 23” di Pëtr Il’ič Čajkovskij. “Vento Caldo” riporta alla mente “il profumo” dei Procol Harum, in una chiave ancor più nostalgica e struggente.

Siamo sempre a Milano, ma nel 72. Battiato registra in una sola settimana con l’amico chitarrista Renato (Pi)Rolli – noto con lo pseudonimo Genco Puro & CO“Area di Servizio”. La mano del Maestro in “Nebbia” è inconfondibile. Si percepisce dagli interventi strumentali del VCS3. La sua voce in “Giorno d’estate”, così poetica e suggestiva, apre spazi a luoghi delicatamente immaginati. “Poi senza meta andare per strade sconosciute//antichi luna park e le terrazze al mare//si accendono le luci// è tempo di tornare” oggi può sembrarci quasi un testamento spirituale.

Dopo quattro dischi di grande avanguardia, nel 78 Battiato torna a scrivere una canzone con il violino, con l’aiuto del suo celebre maestro Giusto Pio. Esce così in 45 giri “Astra”, che sarà anche lo pseudonimo dei due artisti. In copertina è fotografato il figlio di Giusto Pio, Stefano, vestito con un completo bianco e una spilla gialla con l’immagine del Budda. I due protagonisti sono ben decisi a non apparire in pubblico, così Stefano comparirà in alcuni playback televisivi per la promozione del singolo. Dentro “Adieu” c’è il ritmo motorik scandito da basso e batteria, minimali alla kraturock. C’è un testo francese che racconta di vecchi hotel di periferia e di Einstein che suona il violino.

Su commissione della Rai per un film tv su Brunelleschi, Battiato inizia a comporre “Jukebox” nel 78. Le composizioni minimali per violino e pianoforte, complessivamente meno radicali delle precedenti, vengono tuttavia rifiutate dalla produzione perché inadatte. Il Maestro decide di pubblicarle lo stesso. Particolarmente evocativa “Agnus”. L’apertura dei violini accompagnata dalla splendida Alide Maria Salvetta crea un morbido tappeto sonoro. Juri Camisasca, che recita l’Agnello di Dio, riesce a trasformare il canto in un suggestivo belato ancestrale che ben si adagia, quasi sospeso misticamente in un aura impalpabile.

Insieme a Giusto Pio e Alfredo Cohen nel 79 scrive “Valery”, una decadente canzone d’amore dedicata alla transessuale Valérie Taccarelli che Cohen aveva conosciuto a Bologna. Le sonorità ricordano vagamente Summer on a solitary beach; il pianoforte inaspettato sorprende e ci fa sognare dopo “Scubert”, ma il synth riporta subito alla realtà. L’affascinante decadentismo fuso all’elettronica con sapiente fluidità rende Valery unica. Diventerà poi, rimaneggiata nel testo, Alexander Platz cantata da Milva nel 1982.

— Onda Musicale

Tags: Franco Battiato
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