Harry Nilsson, nato a New York il 15 giugno 1941, oggi avrebbe compiuto 80 anni come Bob Dylan, se solo non fosse morto nell’ormai lontano 1994 a causa di un problema cardiaco che lo perseguitava da tempo.
Purtroppo, spesso ci si ricorda di Harry Nilsson anche per altri motivi tragici, dato che, per una sfortunata coincidenza, nel suo appartamento londinese, situato al numero 9 di Curzon Place, morirono (a quattro anni di distanza) Mama Cass (The Mamas & The Papas) e Keith Moon (The Who).
Ma chi è Harry Nilsson?
Ecco, questa è una domanda che mi sono sentito fare spesso, o almeno ogni volta che mi è capitato di nominarlo in contesti extra nerd-musicofili. E in effetti ho imparato col tempo che si tratta di una domanda legittima, visto che se lo chiede persino il documentario del 2010 a lui dedicato e intitolato per l’appunto Who Is Harry Nilsson (And Why Is Everybody Talkin’ About Him)?
Ecco (e due), effettivamente è difficile credere che un talento del genere sia oggi così poco conosciuto, ma tant’è, prima o poi bisognerà pur arrendersi alla cosa – e invece no(!), infatti sono qui a scriverne nella speranza di portare ancora acqua al suo mulino.
In realtà, come diceva un vecchio articolo uscito su Vice-Noisey qualche anno fa, ogni generazione ha avuto il suo portale d’accesso mainstream verso il fantastico mondo di Harry Nilsson – che fu tanto pop negli intenti artistici quanto poco pop nei risultati, essendo stato sostanzialmente dimenticato dal grande pubblico. E ciò è accaduto nonostante alcuni singoli di enorme successo (Without You ed Everybody’s Talkin su tutti), un catalogo pieno zeppo di gemme preziose e un endorsement iniziale piuttosto importante da parte dei Beatles, che durante una conferenza stampa del ’68 gli fecero una vera e propria dichiarazione d’amore dicendo: “Harry Nilsson è il nostro artista americano preferito.” Anzi, pare che le parole esatte pronunciate da Lennon siano state: “Harry Nilsson è il nostro GRUPPO preferito”, seguite da “Harry Nilsson for President!”.
Può sembrare una cosa di poco conto, o persino ridicola, ma in realtà per un artista poco conosciuto come Harry Nilsson queste cose possono fare una differenza enorme: un po’ come quando Kurt Cobain disse che i Teenage Fanclub erano la migliore band del mondo o quando indossò la maglietta di Daniel Johnston agli Mtv Music Awards del ’92. Potenzialmente si tratta dell’equivalente odierno di un tag in una storia Instagram di Chiara Ferragni – e abbiamo visto tutti cosa è successo ai Maneskin da Sanremo in poi.
Midnight Cowboy
Ma al di là dell’endorsement dei Beatles, che in questo caso servì principalmente a dare fiducia al ragazzo e a fargli lasciare il suo lavoro in banca, la vera spinta verso i boomers di tutto il mondo gli fu data da Midnight Cowboy, il film del ’69 che rese celebre la sua versione di Everybody’s Talkin, scritta da Fred Neil e consegnata dalla voce di Harry alle famose “camminate da marciapiede” di Dustin Hoffman e Jon Voight.
Nel nostro Paese
In Italia, alcuni la ricorderanno anche per il suo utilizzo in un famoso spot pubblicitario, di cui non ci è rimasto quasi nulla se non l’attacco della canzone, con quel suo indimenticabile ”tunturuntuntun” incastrato per sempre nelle nostre sinapsi.
Provare per credere:
Fortunatamente la cosiddetta generazione X di couplandiana memoria ha avuto anche altri portali di accesso ben più nobili al repertorio nilsoniano, soprattuttograzie a due registi di caratura mondiale come Martin Scorsese e Quentin Tarantino, che si sono sempre distinti per l’uso innovativo della musica nei loro film.
Nel caso specifico, il primo ha optato per il brano più feroce dell’intero catalogo nilsoniano, una Jump Into the Fire – che non avrebbe sfigurato nella discografia degli Stones – assolutamente perfetta per accompagnare Ray Liotta in Quei Bravi Ragazzi del 1990:
Il secondo invece ha preferito seguire la sua rinomata estetica del contrasto tra ritmi scanzonati e violenza, inserendo la più bizzarra Coconut sui titoli di coda de Le Iene del 1992:
La scelta hollywoodiana di questa due canzoni, così distanti tra loro, è anche una perfetta sintesi dell’ampiezza del registro musicale del nostro, capace di cantare praticamente qualsiasi cosa, con un’estensione vocale di tre ottave e mezzo, l’equivalente di 42 tasti del pianoforte; un vero e proprio strumento musicale umano che per via delle frequenti sovraincisioni di più tracce vocali possiamo considerare anche una vera e propria one man band. Anzi, a giudicare da certe vette di perfezione pop raggiunte soprattutto nei primi dischi degli anni ’60 (Pandemonium Shadow Show del ‘67 e Aerial Ballet del ‘68) dovremmo dire un vero e proprio One Man Beatles, come lo sarà soltanto Emitt Rodhes dopo di lui o, per certi versi, già il Brian Wilson di Pet Sounds.
Qualcuno lo chiamerà anche The Fab “One” giocando col titolo di uno dei suoi brani migliori: One, appunto, un brano unico ripescato anche da Paul Thomas Anderson per le sequenze iniziali di Magnolia e capace, forse insieme a I Said Goodbye To Me, di giocarsela alla pari con i brani migliori della coppia Lennon-McCartney.
Anche qui, guardare per credere:
In realtà, la vicinanza con i Beatles si era palesata fin da subito con due bellissime cover, You Can’t Do That e She’s Leaving Home, talmente apprezzate dalla stessa band di Liverpool da spingerla a volerlo incontrare di persona e ad ulteriore conferma, nel ’71, Nilsson realizzerà persino quello che può essere in un certo senso considerato il suo Yellow Submarine, ovvero un film di animazione intitolato The Point – in italiano Oblio e il paese degli uomini dalla testa a punta – in cui un bambino di nome Oblio nasce con la testa tonda in un paese in cui tutto è a punta, comprese le teste dei suoi abitanti.
Musicato dallo stesso Nilsson e nato da un suo trip a base di LSD e Flatlandia, il film è esso stesso un viaggio psichedelico nella “foresta senza punte”, dove Oblio scoprirà “altri mondi” e “altre realtà” capaci di arricchirlo e di fargli capire che anche uno senza punta può comunque puntare a qualcosa o avere un suo senso (the point). Ad accompagnare il protagonista in questo viaggio/gioco di parole ci sarà anche il suo cane “Freccia”. E se avete un animo troppo arido per guardare un cartone animato da bambini, che in realtà è anche da adulti, fidatevi e almeno una di quelle frecce lasciategliela scoccare: potrete stare sicuri che Me and My Arrow arriverà dritta al cuore.
Nilsson e i Beatles
La scintilla dell’ammirazione reciproca tra Nilsson e i Beatles porterà anche ad alcune collaborazioni non particolarmente brillanti – come l’album di Nilsson Pussy Cats o quello di Ringo Starr Goodnight to Vienna – e a una forte amicizia tra Lennon e Nilsson che purtroppo degenererà nell’abuso di alcol e droghe durante il famoso lost week-end lennoniano del ’73-’75. I due finiranno anche per farsi cacciare definitivamente dal leggendario locale di Los Angeles Troubadour durante un concerto degli Smothers Brothers. Non che la cosa potesse in qualche modo turbare più di tanto il buon Harry che aveva sempre avuto il terrore di esibirsi dal vivo a dispetto della sua voce pazzesca, una voce che purtroppo andrà deteriorandosi a causa dei vari abusi di sostanze che finiranno persino per fagli rompere una corda vocale e sputare sangue sul microfono (altro che Blood On The Tracks!).
Ma ciononostante la sua musica rimane uno scrigno di meraviglie abbandonate sul fondo del mare che puntualmente trovano il modo di ritornare a galla.
Per la generazione dei millenials l’occasione è arrivata grazie alla serie Netflix Russian Dolll in cui la protagonista muore ripetutamente e rivive ogni giorno la stessa giornata come in un eterno Ricomincio da capo, con l’attrice Natasha Lyonne che si risveglia al posto di Bill Murray e Gotta Get Up di Harry Nilsson al posto di I Got You, Babe di Sonny and Cher: è la circolarità della vita legata alla circolarità della musica; come un disco in vinile che gira sul piatto, anche se il piatto non c’è più e i dischi oggi si appendono al muro, la musica resta e, magari non tutti, ma di sicuro qualcuno ne sta ancora parlando.
Se la pietra scalciata da Dylan continua a rotolare lungo la strada, quella lanciata da Nilsson continua a rimbalzare sull’acqua creando dei meravigliosi cerchi concentrici.
Sailing on summer breeze
And skipping over the ocean like a stone