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Il Rock Progressivo italiano. Il nostro nuovo rinascimento

Nell’arte italiana, il Rinascimento è universalmente riconosciuto come un periodo di forti cambiamenti, di rotture, ma soprattutto di sconvolgimenti storico sociali che hanno costituito la cornice perfetta per questa era di rinnovamento.

L’influenza del contesto storico sulla creazione artistica è qualcosa di (quasi) scontato, un parallelo che impariamo a fare molto presto mentre sfogliamo assonnati i libri di letteratura e storia alle superiori.

Rinascimento musicale

Se vogliamo tradurre in musica questo concetto, io ritengo che il cosiddetto “rock progressivo” o “prog” (denominazione nata negli anni 90, visto che all’epoca questo genere veniva chiamato solo “pop”, impropriamente perché non era davvero assimilabile alla POPular music) sia il nostro nuovo rinascimento nell’ambito della storia della musica leggera italiana.

Il periodo di gestazione e di nascita del prog è circoscrivibile tra il 1969 ed il 1971, anni caldissimi con un sessantotto ancora “lungo da venire” per parafrasare Venditti e tanti piccoli e grandi sconvolgimenti sociali che stavano rendendo complesso quello che negli anni del boom economico sembrava di facile lettura.

I cantautori, altra realtà innovativa che stava emergendo, miravano al cuore del pubblico con poche ed affilatissime armi, una chitarra, qualche metafora astrusa, testi scomodi e bizzarri come fidanzati impresentabili in famiglia, ma soprattutto con la personalizzazione estrema del “politico”, presente ovunque come il pepe in certi ristoranti.

I gruppi “prog”

I gruppi prog invece no. Fatta eccezione per gli “Area”, la cui “mission” aziendale era la rivoluzione- Erano gruppi che attingevano alla grande tradizione classica e melodrammatica presente in Italia, rubacchiavano in modo spesso nobile ed originale qualche idea dai maestri d’oltremanica (l’Inghilterra è indiscutibilmente la patria del rock progressivo).

Filtrando tutto dentro alla nostra tradizione popolare e mediterranea e creavano un mix originale che a mio parere li pone di diritto sul trono alla destra del padre (Il prog anglosassone ca’ va sans dire).

I testi poi erano spesso fiabeschi, a tratti deliranti e se dovevano trattare temi apertamente politici usavano comunque un metro poetico elevato (la grandiosa “Canto nomade per un prigioniero politico” del Banco del Mutuo Soccorso ne è un fulgido esempio.).

Il rock progressivo

Nel rock progressivo dominava la tastiera (spesso i tastieristi di questi gruppi provenivano da studi classici prolungati come Keith Emerson, Rick Wakeman o i fratelli Nocenzi) e la sezione ritmica attingeva invece molti elementi dal free jazz, trascinando le musiche ariose degli strumenti melodici in poliritmie da girone dantesco.

Vi scrivo qui alcune opere a mio parere imprescindibili se si vuole conoscere bene il progressive italiano:
  1. I primi tre album del Banco del Mutuo Soccorso, davvero innovativi sia nella veste grafica (la famosa copertina a forma di salvadanaio del primo disco) che nella proposta musicale (unico gruppo italiano con due tastieristi, i fratelli Nocenzi). La voce di Francesco “big” Di Giacomo è semplicemente la più bella del prog italiano;
  2. La discografia delle Orme dal 1971 al 1974, un prog romantico e solo in apparenza più facile. Con una grande attenzione all’uso dei tempi dispari nella ritmica (il bravissimo Michi Dei Rossi) ed impreziosito dalla presenza di Gian Piero Reverberi ad arrangiare e produrre;
  3. “Storia di un minuto” e “L’isola di niente” della Premiata Forneria Marconi, con la chitarra di Mussida a dettare legge, un bellissimo uso del Synth e la folle creatività di Mauro Pagani al violino (peccato manchi loro un cantante degno di questo nome!);
  4. Il Museo Rosenbach ed il loro “Zarathustra”, un album complesso e fantasioso, amatissimo in Giappone e che fece scalpore per la presenza del busto di Mussolini nel collage di copertina (ovviamente era solo una provocazione ma all’epoca non si era meno perbenisti e bigotti di oggi, solo che non esistevano i social.);
  5. I genovesi “Latte e Miele”, ed i loro primi due album “Passio secundum Matteum” e “Papillon”, due capolavori per i loro meravigliosi cambi di ritmo, le loro rivisitazioni orchestrali (Oliviero Lacagnina fa un bellissimo lavoro e molto interessante è la ripresa della “Patetica” di Beethoven) e per i loro testi poetici e commoventi;
  6. “Vietato ai minori di 18 anni” dei lombardi Jumbo, un disco difficilmente presentabile in prima serata su Rai uno e che sarebbe stato censurato anche oggi, testi espliciti che parlano di omosessualità, bullismo, prostituzione ed alcolismo. Il tutto con arrangiamenti quasi “hendrixiani” e pochi fronzoli.
Altri 6 brani da non perdere
  1. Il quasi hard rock del “Biglietto per l’inferno” con i feroci testi e la graffiante voce di Paolo Canali (oggi diventato frate francescano!) e molta chitarra in evidenza;
  2. Il prog romantico e stile Canterbury della Locanda delle Fate e del loro “Forse le lucciole non si amano più” del 1977, quindi fuori tempo massimo ma in realtà senza tempo come tutte le cose belle;
  3. Sulle corde di Aries”, il meglio del Battiato sperimentale del 1973 con un bellissimo uso del sintetizzatore analogico VCS3 suonato dallo stesso artista siciliano. Testi che rimandano alle origini di Battiato con un forte richiamo alla nostalgia;
  4. Almeno due album degli Area, “Arbeit macht frei” e “Crac” (1972 e 1975), forse il gruppo italiano più preparato ma più vicino alla sperimentazione jazz che al prog e con la voce di Demetrio Stratos come marchio di fabbrica, una voce capace di alchimie sonore inarrivabili, figlie del grande studio fatto dall’artista intorno alla tradizione vocale mediorientale e mongola;
  5. “L ‘uomo” e “Palepoli” degli Osanna, esempi perfetti della commistione tra prog d’oltremanica ed atmosfere mediterranee ed orientali, con testi impegnati ed un interessante richiamo alle atmosfere dei Jethro Tull grazie al flauto di Elio D’Anna;
  6. Ys” del Balletto di Bronzo, album che testimonia la genialità un po’ folle di Gianni Leone, giovanissimo tastierista molto avanti coi tempi (alcune atmosfere anticipano sonorità elettroniche anni 80) , molto attento alla moda ed al “personaggio”, aspetti che in anni così politicizzati erano decisamente un terreno minato.

Ritengo (parere strettamente personale) che il rock progressivo italiano sia poco al di sotto di quello inglese come qualità e coefficiente di fantasia creativa.

E questo soprattutto perché è variegato e ricco di suggestioni esattamente come lo è la tradizione musicale nostrana (un disco dei napoletani Osanna è completamente diverso da un disco dei milanesi PFM).

Capace di conservare uno scrigno di tradizioni sonore molto più eterogeneo di quello inglese e anche di quello tedesco (la Germania Ovest vedrà nascere sul suo suolo il cosiddetto “craut rock” una musica che proporrà un meraviglioso matrimonio con l’elettronica e che darà vita a quei gruppi denominati, non a caso, “corrieri cosmici” ed all’irripetibile avventura dei Kraftwerk. Ma questa è un’altra storia).

(a cura di Marco Giannini)

— Onda Musicale

Tags: PFM, Franco Battiato, Area, Banco del Mutuo Soccorso, Keith Emerson, Le Orme, Rick Wakeman, Osanna
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