Correva l’anno 1999 e la stretta attualità erano i conflitti nei territori della ex Jugoslavia… Roger Waters e Halfdan Rasmussen non si conoscevano, ma le questioni relative ai diritti umani erano importanti per entrambi.
Il 9 novembre 1989 a Berlino era crollato il muro che divideva la libertà dall’oppressione; 9 mesi dopo Waters lo ricostruì in Potsdamer Platz per abbattere definitivamente i macigni sui diritti dei popoli dell’Est. A proposito di diritti umani…
A parte quel “The Wall Live in Berlin”, Waters non faceva tour dal 1987, da quel “Radio K.A.O.S.” che aveva subito l’ingombrante concorrenza del “Momentary Lapse of Reason” tour dei redivivi Pink Floyd.
Ma a proposito di muri, quello scritto da Roger e targato Floyd era uscito nel 1979; nello stesso anno in Danimarca la sezione locale di Amnesty International aveva pubblicato una piccola antologia (ISBN: 87-980852-2-0) di poesie sui diritti umani. Ne faceva parte una poesiola dal titolo “Ikke Bødlen” (‘Non il torturatore’, n.d.t.) scritta da Halfdan Rasmussen.
Halfdan Rasmussen
Nato nel 1915 a Copenhagen, Rasmussen apparteneva alla generazione degli anni ’40. Le sue prime poesie – “Soldat eller menneske” (1941, ‘Soldato o essere umano’) e “Digte under Besaettelsen” (1945, ‘Poesie durante l’occupazione’) – composizioni di protesta pubblicate illegalmente durante l’occupazione tedesca della Danimarca, documentano le sue diverse esperienze negli anni della guerra.

In “På knae for livet” (1948, ‘Inginocchiarsi alla vita’) e Den som har set september (1949, ‘Chiunque abbia visto settembre’) rifiuta tutti i sistemi politici e ideologie e parla a favore del diritto e della necessità dell’individuo di dissentire e dubitare. A proposito di attenzione per i diritti umani…
“In the Flesh” Tour
Intanto, dopo 12 anni Roger Waters decide di rimettersi in gioco, di fare una tournée. La intitola “In the Flesh”, come il tour del 1977 con i Pink Floyd di “Animals”. Come il brano di apertura dell’album “The Wall” del ’79.
Un titolo che si ripete non per caso: l’incipit del ‘Muro’ riprende il titolo del tour di “Animals” nel corso del quale Roger concepì l’idea di “The Wall”. L’idea di un muro che rappresentasse la distanza che avvertiva da un pubblico “senza volto” che riempiva le arene “tanto per esserci”, non per ascoltare musica.

L’idea del muro che Waters avvertiva tra sé e quello spettatore al quale sputò in faccia a Montreal il 6 luglio 1977 nell’ultima replica del tour “In the Flesh”.
“Nella carne”, ‘mischiarsi’, ‘mescolarsi’: “In the Flesh” diventa il titolo del tour del ritorno perché Waters vuole tornare a mescolarsi tra la gente. “Nella carne”, appunto. Dopo il fiasco di “Radio K.A.O.S.”, i promoter americani hanno qualche remora; Waters non ha neppure un disco nuovo da promuovere.
La guerra ancora fonte d’ispirazione
Ma Roger ha un canzoniere ricco e prestigioso dal quale attingere; inoltre l’ispirazione torna, l’attivismo politico ed umanitario lo spinge ad intervenire ancora sul tema della guerra. Una ferita sempre aperta nel suo cuore per via di quel padre caduto ad Anzio nel 1944 quando lui aveva appena 5 mesi di vita. Ferita che torna a sanguinare come sanguinano le ferite di Sarajevo, Srebrenica, nel cuore dell’Europa.
Poesie in musica
Alle prove generali del nuovo show, a Milwaukee, Waters porta due nuove composizioni: “Flickering Flame” e “Each Small Candle”. Sono due poesie messe in musica. Ne scriverà altre in seguito; in qualche intervista dichiara pure che prima o poi potrebbe pubblicarne una raccolta che, purtroppo, finora non è stata mai data alle stampe.
Nel 2004 pubblica “Leaving Beirut”, addirittura un racconto musicato lungo oltre 12 minuti; è il 2021 quando presenta “The Bar”, composizione per voce e pianoforte – parole e musica – di circa 16 minuti. Ma anche “Déjà Vu” e “Is This The Life We Really Want?” dall’omonimo album del 2017 avevano liriche molto più lunghe prima dei drastici tagli imposti dal produttore Nigel Godrich.
“Each Small Candle” e “Ikke Bødlen”
Ma queste sono altre storie watersiane; torniamo al tour di “In the Flesh” del 1999. Torniamo alle nuove composizioni e, soprattutto, a “Each Small Candle” che getta un ponte con un altro poeta e un’altra sensibilità. Ma si sa: la poesia unisce le anime lontane.
La prima strofa di “Each Small Candle” riprende integralmente l’intera poesia dal titolo “Ikke Bødlen” del poeta danese contemporaneo Halfdan Rasmussen. Nell’inconsueta lingua danese il testo è: Ikke bødlen gør mig bange / Ikke hadet og torturen / Ikke dødens riffelgange / Eller skyggerne på muren / Ikke nætterne, når smertens sidste stjerne styrter ned / Men den nådesløse verdens blinde ligegyldighed
Che nella versione inglese di Waters diventa: Not the torturer will scare me / Nor the body’s final fall / Nor the barrels of death’s rifles / Nor the shadows on the wall / Nor the night when to the ground / The last dim star of pain, is hurled / But the blind indifference / Of a merciless, unfeeling world
Che in italiano si può rendere così: Non mi spaventa il torturatore / Né il crollo finale del corpo / Né le canne dei fucili di morte / Né le ombre sul muro / Né la notte in cui viene scagliata a terra / L’ultima pallida stella di dolore / Ma la cieca indifferenza / Di un mondo senza pietà e insensibile
Roger Waters e Halfdan Rasmussen non si conoscevano, ma le questioni relative ai diritti umani erano importanti per entrambi. E si sa: la poesia unisce le anime lontane. L’empatica sensibilità dell’ultimo verso della poesia ha unito questi due poeti.
L’iniziale misunderstatement
Li unisce nonostante un fraintendimento. Nel presentare la canzone, inizialmente Waters presenta in pubblico la canzone raccontando come la prima strofa fosse tratta dalla poesia di una vittima di tortura in Argentina, riportata in Europa da un giornalista italiano di un quotidiano fiorentino. Salvo poi a correggere il tiro quando gli viene fatta scoprire la vera fonte di quei versi: la poesia “Ikke Bødlen” di Halfdan Rasmussen.
Waters rimane entusiasta alla notizia e chiede di incontrare Halfdan Rasmussen. Purtroppo, il desiderio non si realizza: il poeta danese muore il 2 marzo 2002 a 87 anni.
“Each Small Candle” oltre “Ikke Bødlen”
I versi di Rasmussen sono solo la premessa di un testo di straordinaria profondità. Il London Times aveva pubblicato un articolo che raccontava l’episodio, durante la guerra del Kosovo, di un soldato serbo (“un uomo di cuore e fierezza”) che, vista una nonna albanese ferita (“una vecchia babooshka”) in un edificio bruciato, rompe le righe; va verso la donna che tiene in mano un bambino in lacrime.
La conforta, le dà dell’acqua e prova a calmare il bimbo che piange. La vecchietta benedice il soldato, lo assolve dall’orrore della guerra. Il soldato riprende la marcia salutando ancora la nonnina col gesto della mano.
L’episodio narrato in poesia e musicato da Waters apre alla speranza che “Each small candle / Lights a corner of the dark”: “ogni piccola candela può illuminare un angolo di buio” della mente umana.
“Each Small Candle” live e su disco
Nonostante i timori dei promoter, il tour di “In the Flesh” in Nord America fu un successo nel 1999. Tanto che fu replicato l’anno dopo e approdò nel 2002 in Europa. Fu l’inizio del grande riconoscimento di Roger Waters come uno dei massimi artisti prodotti dalla cultura rock.
“Flickering Flame” e “Each Small Candle” si alternarono tra i brani di chiusura dello show lungo tutti i tre anni del tour. “Each Small Candle” è stata pubblicata nel CD/DVD “In the Flesh” (2000) che documenta il tour del 1999, e nella raccolta “Flickering Flame – The Solo Years vol.1” (2002).
Roger Waters e Halfdan Rasmussen: due poeti per una canzone; due poeti con una visione.
Voglio stare nella trincea della vita. Non voglio stare al quartier generale, non voglio stare seduto in albergo da qualche parte a guardare il mondo che cambia; voglio cambiarlo io. Voglio essere impegnato. In un modo che mio padre forse approverebbe.
Parole di Roger Waters dal DVD “The Story of Wish You Were Here”; what else?