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Tears for Fears: reunion dopo 17 anni e nuovo album

Tears for fears

Oggi 25 febbraio esce “The Tipping Point”, il primo album di inediti dei Tears for Fears da 17 anni a questa parte.

Dopo circa venti anni di silenzio, esce a sorpresa un nuovo album dei Tears for Fears, “The Tipping Point” che è stato anticipato a gennaio dal singolo “Break The Man”. Ritorna il sound degli album storici del duo composto da Roland Orzabal e Curt Smith.

Nelle parole di Curt Smith, il singolo “Break the Man” è ispirata all’idea di una donna forte: «capace di rompere con il patriarcato. Ritengo che gran parte dei problemi che affliggono la società sia riconducibile al predominio maschile. Questa è una canzone su una donna forte che vince sull’uomo. Questo per me potrebbe essere la risposta a molti problemi in tutto il mondo. Un maggiore equilibrio fra donne e uomini».

La reunion dei Tears For Fears

30 milioni di album venduti nel mondo e numerosi singoli di successo. Questa è in sintesi la storia dei Tears for Fears. Eppure per realizzare “The Tipping Point” ci sono voluti anni per riappacificarsi. L’input è partito su richiesta del management precedente, ma come spiega Orzabal alla rivista “Classic Pop”: «Tutta quella tensione accumulata stava finendo non solo con il creare divisioni tra noi e il management, ma persino tra noi due». Il duo ha deciso, così di cambiare management che ha infine approvato 5 dei brani su cui i due musicisti concordavano. È come se il duo avesse ritrovato qualcuno che fosse in grado di capire l’idea del progetto: «Qualcuno che si è schierato dalla nostra parte». E, così, dopo molti anni, per la prima volta hanno ritrovato il piacere di fare qualcosa insieme.

Tra i collaboratori, figurano vecchie conoscenze di fiducia come Charlton Pettus e i compositori e produttori: Sacha Sharkbek e Florian Reutter

Smith parlando del rapporto con Orzabal dice: «Quando ci si conosce da così tanto tempo come noi due, e come noi due si è lavorato insieme per tanto tempo, si crea un legame forte, come essere in famiglia. È una forma diversa di amicizia e diversa da un matrimonio. Letteralmente, è come avere a che fare con un fratello. Quel tipo di legame che non puoi rompere sul serio. Magari può essere messo da parte, per periodi più o meno lunghi, ci si può separare – cosa che ritento personalmente salutare – poi però, alla fine, è come se ci cercassimo l’uno l’altro»

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L’album The Tipping Point

Il primo album di inediti dopo 17 anni dall’ultimo del 2005 è ispirato a una serie di “punti di svolta” – tipping points, appunto – sia personali che professionali. Uno di questi è stato la tragica morte della moglie di Roland Orzabal nel 2017. Il duo si è ritrovato e ha dato fondo alle proprie insicurezze e paure. Ciò farebbe premettere a un album “tetro”, ma in realtà c’è un’apertura e un respiro che va oltre la consapevolezza dei propri limiti. E il sound è squisitamente anni ’80, e quel synth beat che è il loro marchio di fabbrica.

Il primo brano “No small thing” ha un inizio alla Johnny Cash o alla Bob Dylan. Inizia con ritmi quieti per poi costruire un coro sempre più pomposo, quasi un inno con un finale alla “Sergeant Pepper” dei Beatles.

La traccia che da il titolo all’album “The Tipping Point”, invece, parte con quel synth beat che ricorda molto “Everybody wants to Rule the World”, pur non toccando i vertici “epici” di quel brano. Il singolo “Break the Man” mette in luce le caratteristiche vocali del duo: il falsetto di Smith contrapposto ai toni baritonali di Orzabal.

Forse il brano più malinconico è “Please, be Happy”, con quegli accordi di piano che accompagnano il racconto di una persona cara dipendente dall’alcol, “rannicchiata sulla sua sedia”, eppure si apre a un finale “ottimista”: «I still believe this love can grow».

Nel complesso, pur rimanendo fedeli all’onestà e all’emotività trasmesse dai loro hit di maggior successo come “Shout” e “Everybody wants to rule the world”, l’album abbraccia senza nostalgie quel loro album di debutto del 1983, “Hurting”. Si riconoscono il trademark dei cori, i testi riflessivi e non banali, che strizzano l’occhio al loro passato, ma si percepisce l’attualità e il riflesso di una band di esperienza, maturata nelle difficoltà. Anche una certa voglia di seguire il mainstream, sulle tracce dei vari Coldplay e Keane.

I Tears for Fears in breve

Costituitosi nel 1981, il duo è stato l’emblema della new wave britannica. Riuscirono a entrare nelle hit parade mondiali con singoli come “Shout” che li catapultò nel mainstream, ma anche “Sowing the Seeds of love” e “Everybody wants to rule the world”.

Il nome del duo è curioso. Curt Smith lo spiega in termini letterali come “lacrime al posto delle paure” e l’idea deriva da un trattamento psicoterapeutico elaborato dal dott Arthur Janoy, il quale induceva i pazienti a rivivere le prime esperienze e sensazioni in fase perinatale: meglio dar sfogo alle lacrime che soccombere alla paura.

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Le prime difficoltà e il distacco

Dopo la pubblicazione di “The Seeds of Love”, il duo subì una battuta di arresto che finì per circoscrivere il loro successo al decennio degli anni ’80. Il loro sodalizio artistico si concluse. Le cause della “separazione” furono imputate a divergenze tra i due, all’approccio di Orzabal alla produzione in modo macchinoso e al rigetto di Smith per il mondo della musica pop in cui erano stati inquadrati. Si aggiunsero anche problemi familiari e il divorzio di Smith. Negli anni ’90, il duo trascorse più tempo a punzecchiarsi tramite la stampa e le rispettive carriere da solisti piuttosto che concentrarsi sulla musica.

Smith si trasferì a New York per “smaltire” la sbornia del successo e ritrovare una dimensione più umana della notorietà. Iniziò, nel 1995, un sodalizio con Charlton Pettus, con il quale fondò i Mayfield. I brani si basavano sulla composizione di melodie semplici con l’uso del solo equipaggiamento analogico. Da lì cominciò una carriera parallela.

La prima reunion

Per una serie di obblighi burocratici, nel 2001, Orzabal e Smith tornarono a incontrarsi e a parlarsi per la prima volta dopo dieci anni. Le controversie furono appianate e composero un nuovo album di inediti: Everybody Loves a Happy Ending, dodici brani nuovi che inizialmente dovevano essere editi con la Arista Records nel 2003, ma il passaggio di etichetta alla New Door (ramo della Universal) la data di pubblicazione slittò fino al 14 settembre 2004, finché uscì definitivamente a febbraio 2005 per la Gut Records. Seguì un tour europeo di discreto successo e poi nuovamente il silenzio.

Dopo 17 anni, i Tears for Fears tornano con nuovo slancio e nuova consapevolezza. E questa volta sembrano essere arrivati davvero a … un punto di svolta.

— Onda Musicale

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