In primo piano

Un disco per il week end: “L’ultima Thule” di Francesco Guccini

Nel 2012 Francesco Guccini pubblica L’ultima Thule quello che, purtroppo, si è rivelato essere il suo ultimo album dopo più di quarant’anni di carriera da cantautore.

Il Maestrone dunque, ormai stanco dopo tutto questo tempo, pubblica un album dal titolo che avrebbe già voluto usare come secondo disco dato che non era ancora sicuro della scelta all’epoca.

Come metafora di tutto il famoso cantautore ha scelto la Thule, l’isola leggendaria descritta dagli antichi viaggiatori, l’ultima meta di uno stanco capitano di vascello con la sua fedele ciurma.

Ciurma composta dai fedeli musici che hanno portato in tour l’album anche dopo l’abbandono del cantautore avvalendosi della voce di Danilo Sacco (ex – Nomadi). Curiosamente, tutto finisce da dove è iniziato, in un vecchio mulino a Pavana.

Detto questo, diamo un’occhiata alle tracce del disco:

 

Canzone di notte n. 4: un dialogo in dialetto in cui Guccini, come un bambino adulto, non vuole andare a dormire e sta a letto a leggere con la luce accesa causando il nervosismo dei due genitori.

La canzone, come facilmente intuibile, chiude un quadrato di canzoni cominciato anni or sono e delineatosi in altri tre dischi dove in Maestrone ha esaltato questo momento poetico. Un momento in cui si è soli con sé stessi, l’ultima sigaretta ed un bicchiere di rosso saggio mentre la mente vola via.

Va detto che anche questa canzone, in particolare l’ultima strofa, fa capire come Guccini sia arrivato ad un punto di arresto. “Ehi notte, che mi lasci immaginare/fra buio e luci quando tutto tace/i giorni per la quiete e per lottare/il tempo di tempesta e di bonacce/notte tranquilla che mi fai trovare forse, la pace”.

Ad ogni modo il brano, arricchito dal sassofono di Marangolo e dalclarinetto di Manuzzi, è uno dei pezzi più lunghi del disco arrivando a superare gli otto minuti di canzone.

L’ultima volta: un delicato arpeggio acustico, sostenuto da esili fiati, è la base dei ricordi sulla quale si snoda tutto il brano.

Una canzone per ricordare una dolce ragazza conosciuta in gioventù. Il testo vede un Guccini che oggi si ricorda comunque di lei e si chiede dove sia finita dato che gli anni sono passati per entrambi.

Un flebile amore giovanile perduto nelle pieghe del tempo il cui testimone è stato, come sempre, il tanto amato Appennino. Da notare gli interventi blues con l’armonica a bocca.

Su in collina: un adattamento in musica della poesia dialettale “Môrt in culéṅna” di Gastone Vandelli che parla di una triste vicenda partigiana.

Il gruppo deve portare la stampa clandestina agli altri compagni, ma lungo la strada qualcosa li paralizza perché vedono uno dei loro amici morto, mezzo svestito e con un cartello in mano con la scritta “questa è la fine di tutti i partigiani”.

È uno shock, ma l’unica cosa che rimane è sparare un colpo in aria per onorare il partigiano ucciso e seppellirlo in collina per poi far ritorno al comando e raccontare l’accaduto. A livello strumentale è molto interessante l’uso della ghironda, antico strumento medievale, di Simonazzi.

Quel giorno d’aprile: ritorna anche qui il tema della guerra, ma è un conflitto che per fortuna è finita. Non per niente il 25 aprile si festeggia, per l’appunto, la Liberazione.

È un brano delicato e commovente che descrive perfettamente le sensazioni che attraversarono i cuori e le menti degli italiani non appena finita la Seconda Guerra Mondiale. C’è felicità ovviamente, ma il ricordo dell’orrore visto in battaglia, Russia in primis, è difficile da cancellare.

Non manca però il periodo dell’immediato dopoguerra che viene riassunto perfettamente con la strofa “E l’Italia è una donna che balla sui tetti di Roma nell’amara dolcezza dei film dove canta la vita ed un Papa si affaccia e accarezza i bambini”.

Una strofa che, in poche parole, descrive la carezza radiofonica di Papa Giovanni XXIII e tutto il cinema neorealista italiano di quel periodo. Il breve assolo di Biondini poi esalta il tutto in maniera sublime.

Il testamento di un pagliaccio: stilettata gucciniana contro i politici disonesti, traeteli voi i nomi, in cui il Guccio si scaglia contro una classe dirigente più avvezza al vizio che al dovere assieme a tutti i lacchè che si portano dietro. Il tutto è proposto in una sorta di walzer da circo.

Molto particolare l’Inno di Mameli riproposto verso la fine in una versione da fanfara circense come ad evidenziare le condizioni assurde in cui versa l’Italia a livello politico.

Notti: delicati arpeggi tinteggiano un vero e proprio quadro di emozioni in cui ritorna, al pari della guerra, la tematica della notte. È il pezzo più commovente di tutto l’album, è magnifico e non servono le parole in questo caso.

Gli artisti: quasi come una filastrocca con sonorità da vecchi film francesi, il brano narra praticamente della vita e della definizione stessa di “artista” come in un libro. Molto interessante.

L’ultima Thule: ultima canzone dell’album in cui letteralmente esplodono tutti gli strumenti folk ed elettrici. Il testo narra di un capitano coraggioso che ha viaggiato ovunque nel mondo vedendo le mille meraviglie del globo, ma il tempo passa anche per lui ed è ormai stanco.

Come avrete capito è una metafora di Guccini per riferirsi a sé stesso. Il brano si chiude con una sorta di epitaffio, “l’Ultima Thule attende e dentro il fiordo si spegnerà per sempre ogni passione, si perderà in un’ultima canzone di me e della mia nave anche il ricordo”, per poi spegnersi in un tuono lontano.

 

Giudizio sintetico: forse si sarebbe potuto scegliere una conclusione migliore, come hanno detto in molti, ma comunque a me è piaciuto lo stesso anche perché scorre che è una bellezza

Copertina: una nave veleggia tra i freddi ghiacci del Polo Nord. La foto deriva da alcuni vecchi scatti che un amico di Guccini aveva fatto durante un suo viaggio ed il cantautore aveva subito individuato il potere simbolico di questi anche se comunque ha ammesso di annoiarsi a vedere tutto quel ghiaccio

Etichetta: Capitol/EMI

Line up: Francesco Guccini (voce), Juan Carlos “Flaco” Biondini (chitarra e mandolino), Pierluigi Mingotti (basso, contrabbasso ed oboe), Ellade Bandini (batteria), Vince Tempera (pianoforte), Paolo Simonazzi (ghironda), Vittorio Piombo (violoncello), Roberto Manuzzi (fisarmonica, armonica a bocca, tastiera, sax soprano, flauto, synth, clarinetto e organo Hammond) ed Antonio Marangolo (sax tenore, sax soprano semicurvo e percussioni)

 

Vanni Versini – Onda Musicale

 

{loadposition testSignature}

— Onda Musicale

Tags: Francesco Guccini, Nomadi, Antonio Marangolo, Vince Tempera
Sponsorizzato
Leggi anche
Jeff Porcaro: oggi lo storico batterista dei Toto avrebbe compiuto 63 anni
La strana storia dietro “A day in the life” dei Beatles