Il settimo album da solista del frontman dei Porcupine Tree è uscito lo scorso 29 settembre. Steven Wilson è molto orgoglioso di questo disco, appena apriamo il sito The Harmony Codex appaiono queste parole:
My seventh album The Harmony Codex is a real trip, a beautiful and experimental 65 minute labyrinth of a record, with almost every one of its 10 tracks taking a different musical approach. I really hope you will all get to hear the album as intended – a continuous musical journey or a piece of ‘cinema for the ears’.”
(Il mio settimo album The Harmony Codex è un vero e proprio viaggio, un disco labirintico di 65 minuti, bello e sperimentale, con quasi tutti i 10 brani creati secondo un diverso approccio musicale. Spero davvero che tutti ascolterete l’album così com’è stato pensato – un continuo viaggio musicale o un’opera di “cinema per le orecchie”.)
Ci troviamo di fronte a un’opera poliedrica tanto quanto il suo creatore
Quando gli chiedono perché produrre un disco così multiforme in questo momento, lui risponde che negli ultimi tempi sentiva il bisogno di scrivere qualcosa che fosse privo di etichette. Non voleva fare un disco pop, né un classico del prog-rock, ma concentrare tutte le sue personalità musicali in un’unica opera. Voleva mostrarsi senza filtri, anche a costo di cadere in trappole infide mischiando novità e tradizione.
Ed ecco che invece nasce un progetto perfettamente coeso e sensato dall’unione di vecchio e nuovo, passato e presente, secondo un processo di creazione totalmente libero da schemi. Wilson l’ha ideato durante il lockdown, inviando qualche traccia a vari musicisti che hanno contribuito con le loro idee, Ninet Tayeb, Adam Holzman e Nate Wood, per citarne alcuni. Wilson ha preso le parti che ha apprezzato di più e ha strutturato le canzoni. Solo una mente geniale come la sua poteva riuscire a dare tanta coesione a un progetto nato così spezzettato.
Le canzoni
Il viaggio inizia con Inclination, un brano con tinte industrial dal ritmo incalzante. Il testo, in accordo con la musica, sembra provocante, dalle punte quasi sarcastiche. La voce di Wilson s’intreccia a una voce femminile, quindi potrebbe trattarsi di un botta e risposta tra un uomo e una donna, una discussione concitata di coppia. «Non trattenerti, di’ semplicemente cosa pensi davvero. Ah, una cosa per volta, per favore. Risparmiami» dice il narratore, protagonista della scena.
La canzone successiva è What Life Brings. Quasi una canzone folk, è composta principalmente da un arpeggio di chitarra acustica e una melodia che s’imprime subito nella memoria. È una canzone nostalgica, ci dice Wilson, ed è l’unica che ha scritto nel modo tradizionale, con la sola chitarra in braccio. In principio non voleva inserirla perché la riteneva troppo vecchia, e sappiamo bene quanto Wilson si sia spinto sempre in avanti e mai indietro. Alla fine, però, è diventata una delle sue preferite. È un pezzo basato sull’idea che la vita è piena di sorprese, che forse stare al mondo significa proprio questo: sfruttare al meglio ciò che non ci aspettavamo accadesse. Spesso infatti le cose che non ci aspettiamo finiscono per diventare le più speciali.
È una canzone positiva ma dall’atmosfera nostalgica, e ho interpretato questa sensazione chiedendomi: cosa rimane e cosa si perde? La vita è fatta di momenti, una volta che li abbiamo vissuti finiscono, e vanno ad aggiungersi al bagaglio dei ricordi passati che non si ripeteranno. La nostalgia, d’altronde, nella definizione della Treccani, è proprio questo: uno stato d’animo causato dal desiderio di una cosa non più posseduta, dal rimpianto di condizioni ormai passate.
Economies of Scale è stato il primo singolo. Steven Wilson sostiene di amare questo pezzo per la sua struttura. A uno scheletro elettronico s’intrecciano le parti vocali armoniose, nasce infatti – e parte – con un loop di synth di Adam Holzman. Da qui Wilson ha creato il resto della canzone, e la scelta di sfruttarlo come singolo sembra dipendere dal fatto che incarna benissimo il concept dell’album. Il nuovo insieme al vecchio, la sperimentazione elettronica unita al modo tradizionale di cantare di Steven.
Per Impossibile Tightrope, Steven Wilson vuole un suono jazz per la batteria che sia anche elettronico. Dopo una lunga ricerca trova l’americano Nate Wood e riesce a creare esattamente quello che aveva ideato. Anche questa, come Economies of Scale rispecchia alla perfezione l’idea di base dell’album. Impossibile Tightrope è un vero viaggio musicale anche presa singolarmente ed estrapolata dal contesto. Si muove dal jazz, al prog al piano, fino a una ballata al pianoforte e un assolo di piano elettrico di Adam Holzman, su cui Wilson ha fatto varie prove vocali alla ricerca di una melodia che si incastrasse con la musica. È una canzone che mescola sapientemente suoni organici ed elettronici, con una parte centrale costituita solo da piano e voce che dà un po’ di respiro al brano più lungo dell’album.
Rock Bottom, il duetto con l’artista israeliana Ninet Tayeb, è una ballata pop-rock dalla melodia cullante ma anche un po’ triste, sui toni più acuti di Tayeb (autrice del brano). La parte vocale è quasi totalmente affidata a lei, una scelta azzeccatissima per dare più intensità al pezzo. L’assolo di chitarra elettrica era già abbastanza straziante, con quelle note tenute e trascinate, ma la voce affascinante di Tayeb aggiunge una sfumatura spirituale. È un pezzo che ha del sovrannaturale, trascina l’anima e l’eleva al di sopra della realtà. Il testo sembra raccontare una relazione difficile, forse già finita. Eppure, interpretando il video, i due non riescono a separarsi e tentano di superare insieme il momento di crisi.
L’atmosfera si fa sempre più oscura e surreale man mano che ci avviamo al finale. Il viaggio continua con Beautiful Scarecrow, The Harmony Codex e Actual Brutal Facts, creando una climax ipnotica che ci fa volare al di sopra la Terra e ci guida tra le galassie, alla ricerca di sogni che il protagonista sembra aver dimenticato. E noi con lui.
Con Time Is Running Out si torna alle origini. Il brano è costruito con una traccia di piano che si ripete, la voce si unisce e subito dopo compaiono sintetizzatori e suoni digitali. Il risultato è un prog alla Porcupine Tree che non risulta affatto fuori luogo, anzi, è una piacevole coccola per le orecchie.
Staircase sono nove minuti di viaggio in un’atmosfera pop psichedelica che assorbono totalmente la nostra attenzione e tutti i nostri sensi. È un pezzo che va ascoltato a tutto volume e a occhi chiusi, per assaporare al meglio le sensazioni labirintiche create magistralmente, mescolando elettronica, musica ambient, industrial e classiche melodie pop. Un assolo di piano e poi di synth annuncia il finale della canzone e dell’album. Il testo che chiude il cerchio è lo stesso di The Harmony Codex: siamo di nuovo tra le galassie e i nostri sogni sono ancora persi, o dimenticati. Il viaggio è finito, e anche se non abbiamo trovato risposte sul significato della nostra esistenza, l’esperienza appena vissuta è stata sicuramente un’indimenticabile “opera di cinema per le orecchie”.
Conclusioni
Quest’album è il più maturo tra i progetti di Wilson. Steven Wilson soffre molto la definizione “Re del Prog” che si trova ormai ovunque, questa etichetta gli sta stretta. Per questo ha finalmente trovato il tempo e la motivazione per creare qualcosa che fosse soltanto suo, qualcosa che gridasse: STEVEN WILSON. Ascoltare The Harmony Codex è un’esperienza sublime, e per quanto mi riguarda è perfettamente riuscito nel suo intento.