É uscito venerdì 6 ottobre 2023 su tutte le piattaforme digitali il disco di debutto di Martina Di Roma dal titolo “Invisible Pathways”.
Un nuovo e definitivo capitolo per cantautrice del milanese Martina Di Roma, classe 1997, che qui mischia influenze jazz e un pop sofisticato e di respiro internazionale, un pianoforte complice e magnetico, e gli ultimi quattro anni della sua vita. Un disco intenso e personale, che diventa un’autobiografia musicale da cui diventa impossibile non lasciarsi assorbire.
Noi non potevamo in alcun modo lasciarcela sfuggire, e le abbiamo chiesto come avesse incontrato i suoi musicisti, che rapporto avesse coi Beatles e molto altro.
C’è qualcuno che hai incontrato durante i tuoi studi musicali, che ti sta vicino tutt’ora nel tuo percorso musicale? Hai voglia di parlarcene?
Durante i miei studi a Milano ho incontrato Pasquale (2018 più o meno), il pianista del mio disco. Abbiamo partecipato insieme ad un concerto dedicato ai concerti sacri di Duke Ellington e dopo pochi mesi abbiamo iniziato a lavorare insieme.
Leggiamo che hai fatto parte di un progetto tributo ai Beatles. Che rapporto hai con un gruppo così importante nella storia della musica? E con le cover, più in generale?
Fare parte di un progetto sui Beatles rivisitato in chiave funk è stato molto divertente. Gli arrangiamenti erano ispirati al disco di Sarah Vaughan che riprese i pezzi del gruppo. È stata una bellissima esperienza! La rivisitazione dei pezzi di altri è una cosa che faccio molto frequentemente, in ambito jazz tutti gli standard suonati oggi sono delle “cover”, è un altro modo per avvicinarsi alla composizione tramite l’arrangiamento.
Quali sono i pezzi (di altri) che fanno parte della tua storia?
Ce ne sono tantissimi, ho tanti amori che porto con me: i brani di Pino Daniele e di Alicia Keys con cui sono cresciuta vocalmente mentre poi ho iniziato a lavorare su alcuni brani e arrangiarli o scriverci dei testi come Gently Disturbed di Avishai Cohen, Waltz For J.B. di Brad Mehldau. E chissà quanti ancora ne dovranno entrare nella mia storia.
Uscirà mai quella versione di “The Acrobat” che inizialmente hai scritto in Italiano? E cosa ti ha portato a tornare all’Inglese?
Ogni tanto ci penso, per curiosità vorrei vedere come suonerebbe in Italiano. Ho deciso di tradurla in Inglese perché in Italiano non mi convinceva e questo ha reso il processo di scrittura più naturale, forse per abitudine è più facile scrivere in Inglese.
Che cos’hai in programma ora?
Godermi l’uscita del mio primo lavoro discografico, portarlo in giro e suonarlo live e prima o poi ricominciare a scrivere!