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Aendriu: “ecco cos’è la rabbia che ho dentro” – Intervista esclusiva

La Rabbia Che Ho Dentro

Aendriu si racconta al nostro giornale.

Aendriu è il progetto parallelo (e molto personale) che nasce dalla necessità espressiva di uno dei chitarristi dei Punkreas. Un album di debutto appena uscito e l’impeto di chi ha assolutamente bisogno di sfogarsi… e lo fa in musica. Abbiamo approfondito la nascita di questo progetto e la genesi di “La Rabbia Che Ho Dentro”, l’album di debutto di Aendriu, in questa intervista esclusiva.

Aendriu, raccontaci del tuo viaggio creativo nell’album “La Rabbia Che Ho Dentro”. Quali sono stati i momenti più significativi che hai vissuto durante il processo di scrittura e registrazione?

Sicuramente la prima prova, fatta un po’ per caso con Mako (batteria) dopo quasi dieci anni che non suonavamo più assieme. Ci siamo trovati per gioco, per noia (eravamo in piena pandemia) e per provare un ampli nuovo e, da quella prova, sono nate “Io non voglio diventare come loro” e “La rabbia che ho dentro” come se fossero due giorni che non ci vedevamo. Da lì a pensare ad un disco però ne è dovuta passare ancora parecchia di acqua sotto i ponti.

Un altro momento significativo è certamente il giorno in cui “qualcosa o qualcuno” si è impossessato di me e, quasi in una forma di trance, ho scritto, suonato e registrato il provino di “Ares” tutto nel giro di un giorno, come gioco per provare un nuovo pedalino per chitarra. Fare acquisti mi fa bene! 😉

Infine, non di certo meno importante, la nascita di mia figlia. E’ solo lì che mi è venuta la voglia di chiudere un cerchio e dare un senso alle canzoni che tenevo nel cassetto e così ne ho tirate fuori altre che erano lì da un po’, spolverate, messe a lucido e ordinate tutte con un senso più o meno logico.

La pandemia ha avuto un ruolo importante nella genesi di questo album. Come hai trasformato la tua rabbia e le tue emozioni in musica? Quali sono stati i pensieri e le sensazioni che hai cercato di comunicare attraverso le canzoni?

Ho sempre trovato ispirazione artistica nei momenti difficili della mia vita. Forse perché la musica, oltre che un modo per esprimersi, è anche un modo per curarsi e restare sani. Ascoltarla ma, indubbiamente, anche crearla. La pandemia ha sicuramente avuto un ruolo fondamentale in quanto mi ha permesso di avere a disposizione il tempo libero necessario per perdersi, prendersi i propri tempi e poter compiere i primi passi di questo nuovo viaggio. Difficilmente avrei mai trovato tempo, voglie ed energie altrimenti. Ma, in fondo, chi lo sa!

Trovo spesso inspirazione da momenti bui o comunque da argomenti che mi scuotono. Questo non vuol di certo dire però che vedo tutto nero anzi, cerco sempre di mettere in luce un punto chiave, positivo, che può essere, a mio parere il modo per approcciare un problema o per trasformare la propria rabbia o il proprio malessere in qualcosa di costruttivo e positivo. La rabbia può essere una grande fonte di energie.

Aendriu, hai scelto di registrare principalmente nel tuo home studio. Ci puoi raccontare come questo ambiente ha influenzato il sound e il tono dell’album? Quali sono stati i vantaggi e le sfide di questa modalità di registrazione?

Sì, esattamente. Ho preso questa scelta inizialmente date le restrizioni in zona rossa nel periodo della composizione e dei provini. Ho poi deciso di proseguire su questa strada per creare, in maniera molto naturale e genuina, un legame con le mie origini e gli anni dell’adolescenza, i bellissimi anni ‘90, in cui passavo le giornate in quelle stesse quattro mura. Avevo una sala prove che affittavo praticamente a qualsiasi band della zona sud est di Milano ed è lì che ho iniziato a suonare tutto e con chiunque. Ogni volta che mancava un chitarrista o un bassista io ero lì, pronto ad imparare e partecipare o, più semplicemente, anche solo a registrare le prove con un registratore Tascam a 4 piste su cassetta.

Ecco la voglia di tornare a lavorare in totale libertà, a casa, con nessuno tra i piedi e tra le note, e doversi arrangiare con quel poco a disposizione è stato sicuramente uno stimolo incredibile che mi ha fatto, al tempo stesso, sentire maturo e di nuovo ragazzino.

Non sempre è stato un percorso facile ma ho deciso di portarlo, con i suoi pro ed i suoi contro, fino alla fine. E sono felice così. Indubbiamente questo ha influito molto sul sound del disco. In uno studio mi sarei perso ad inseguire suoni e toni che, da solo con quello che avevo, non ho potuto catturare ma, forse, questo ha dato una marcia in più alla genuinità e mantenuto il focus sulla canzone e su un sound più diretto e graffiante. A me sta bene così.

La collaborazione con membri dei Modena City Ramblers è stata un’aggiunta notevole al tuo lavoro. Come è nata questa connessione e in che modo ha arricchito l’album?

I Modena sono vecchi amici con cui ho avuto modo e piacere di collaborare in più occasioni con i Punkreas. Quando è nata “La ballata del ratto”, data la sonorità fuori dalla mia zona di comfort, ho pensato subito a loro. Hanno aderito immediatamente con grande entusiasmo, con mio immenso piacere, contribuendo a caratterizzare il brano con suoni diversi dal resto delle canzoni come violino, rhodes, hammond e piano e dando quel tocco magico da maestri del genere che sono. Non li ringrazierò mai abbastanza.

Aendriu, La Rabbia Che Ho Dentro” sembra rappresentare una sorta di dichiarazione personale. Qual è stata la tua ispirazione di fondo per questo progetto? C’è un messaggio principale che speravi di comunicare attraverso la musica?

Lo è, lo è sicuramente! Come dicevo la rabbia è sempre stata una grande fonte di ispirazione e motivazione per me. Credo che il suo aspetto più negativo sia chiaro nella testa di tutti ma forse, alcuni, non fanno caso all’aspetto positivo della rabbia e cioè quello di tenerti acceso, vivo, vigile. Ed è lì che bisogna lavorare per trasformarla in qualcosa di positivo che alimenti la voglia di resistere o di cambiare qualcosa, dipende ovviamente da cosa quella rabbia è scaturita. Ecco, l’ispirazione è sicuramente nata dalle emozioni negative della pandemia, soprattutto della seconda fase quando i più avevano ripreso la loro vita, più o meno a regime, mentre noi del mondo dello spettacolo eravamo tra i pochi ad essere ancora impossibilitati non solo a fare la propria vita, ma anche a lavorare, con tutto quello che ne consegue.

Questa disparità sociale, vissuta sulla mia pelle, mi ha innescato qualcosa che non sono stato più in grado di fermare, e di certo non l’ho voluto fare. Ovviamente non ho parlato solo di questo nel disco, anzi, non ne ho parlato affatto, ma quella rabbia ha acceso una miccia che poi, nel suo percorso, è andata ad infiammare altri punti e altri argomenti. Il messaggio che voglio far passare è: lottate per quello in cui credete, lottate per raggiungere i vostri sogni, non ascoltate chi dice che sono irraggiungibili perché, probabilmente, è solo uno che si è arreso troppo presto e, quando le energie mancano, guardatevi attorno e trasformate la rabbia che vi genera lo schifo che ci circonda in qualcosa di positivo che possa alimentare il vostro motore.

Oltre alla tua esperienza con i Punkreas, questo album sembra segnare un nuovo capitolo nella tua carriera musicale. Qual è il significato dietro la tua decisione di esplorare nuovi territori sonori?

E’ nato tutto un pezzo alla volta e solo quando ho iniziato ad avere varie tessere del puzzle in mano mi sono accorto che, d’istinto, avevo fatto un ritorno alle mie origini e cioè a delle sonorità più dure rispetto a quelle dei Punkreas. Sono nato e cresciuto in band crossover che hanno sempre giocato col rock, col punk e con il metal ed è stato bello tornare ad esplorare quei territori.

Essendo passato un decennio buono dall’ultimo disco fatto, Punkreas a parte ovviamente, mi sono anche reso conto di voler esplorare territori nuovi come, per esempio nel brano con i Modena ma non solo. Devo dire che è stato un percorso bellissimo che mi sta dando grosse soddisfazioni e mi è piaciuto moltissimo poter lavorare in totale libertà quindi sì, non escludo possa avere un seguito ma lo vedremo solo col tempo. Per ora voglio lavorare giorno per giorno e magari vedere che forma possono prendere questi brani portandoli su di un palco.

Aendriu, hai integrato elementi artistici diversi nella tua musica, come l’uso della tromba in “Ombra”. Qual è stato il processo di integrazione di queste influenze nella tua musica e come hai lavorato per mantenere l’autenticità del tuo suono mentre esploravi nuovi territori?

Per me è sempre stato un percorso molto semplice e naturale. Non mi piacciono le etichette, non mi piace catalogare la musica per generi o altro, semplicemente c’è quello che mi piace e quello che non mi piace. Mi rendo conto che non è così per tutti e ammetto che, nell’oltre quarto di secolo di attività live che ho sulle spalle non sono mancati i momenti in cui è stato difficile farsi capire e provare a fare un po’ di crossover, come può essere inserire una melodia di tromba in un brano con le chitarre distorte e tirate al posto del classico assolo di chitarra senza dover per forza ammorbidire il suono delle stesse.

In questo caso non ho avuto problemi di nessun tipo essendo totalmente libero nelle decisioni e trovando degli amici e dei musicisti fantastici, come Piri in Ombra o i Modena stessi, che hanno aderito con entusiasmo e la stessa voglia di osare senza snaturare né il mio sound né il loro. Cosa potevo sperare di meglio?

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