Recensioni e Interviste

Intervista a GODOT.

É uscito venerdì 5 aprile 2024 su tutte le piattaforme digitali (in distribuzione Believe Music Italy) il nuovo singolo di GODOT. dal titolo “A mio figlio non darò nome“: una canzone molto intima e allo stesso tempo universale, con due livelli di lettura, in superficie racconta di un ipotetico futuro figlio e di come il cantautore vorrebbe crescerlo, con quali valori e quali sensibilità.

Ad uno livello poi più profondo, canta di come la nostra società sia nelle mani delle generazioni future, alle quale auspica la capacità di guardare oltre. Oltre i confini, oltre l’aspetto esteriore, oltre ciò che viene considerato “diverso”.

È una canzone che parla di alterità e di come questa sia una ricchezza, ma parla anche di flussi migratori e identità di genere. Il concetto di non dare un nome al proprio figlio si lega all’idea dell’autodeterminazione dell’individuo: alla possibilità di essere esattamente chi ci si sente di essere, senza filtri legati a costrutti sociali.

Un nuovo capitolo che segue il precedente singolo “Granelli” che ci accompagna, dopo un periodo di assenza, verso un nuovo disco del cantautore di stanza a Milano, classe 1993. Alle anime complici e sensibili, per chi annaffia le piante ogni mattina e per chi pensa che, in fondo, si possa combattere le ingiustizie anche con una canzone pop.

Siamo rimasti colpiti da questo brano così intenso e personale, che suona però come un qualcosa di universale, per tutti noi che speriamo in un futuro più giusto, aperto e accogliente. Ne abbiamo parlato proprio con Giacomo!

  1. Com’è cambiato il tuo rapporto con la musica e in generale con il fare musica, rispetto al 2020 e alle tue scorse pubblicazioni?

Moltissimo. O forse per nulla. Mi spiego meglio, e forse nel farlo andrò brevemente fuori tema: il fatto è che, fino a due anni fa, vivevo la mia musica come una diretta conseguenza del mio personaggio, che sui social aveva una certa riconoscibilità. Il 2020 è stato paradossalmente un anno molto fortunato per me: bloccato a casa ho investito moltissimo sulla comunicazione, tanto che poi però ho perso le redini. Le persone erano più affezionate alle mie storie instagram che alla mia musica. Ho dovuto dare un taglio netto al progetto, bloccando qualsiasi pubblicazione o comunicazione per due anni. Oggi la musica è il centro. Compaio meno, pochissimo. Il fulcro di tutto è la musica. Allo stesso tempo però scrivo meno, quando lo faccio ora c’è molta più consapevolezza. Questi brani anticipano un album che nella mia testa avrebbe dovuto essere l’ultimo. Magari sarà davvero così.

  • C’è qualcosa che ti manca del mondo prima del 2020?

Mi manca una parte di me che era molto spensierata. Ma questa è una cosa legata anche alla mia età. Oggi ho 31 anni, ho molto più responsabilità rispetto a chi ero prima del 2020. Mi manca anche viaggiare: oggi viaggio molto meno. Ma anche qui, non è qualcosa legata al mondo in sé quanto piuttosto a me stesso. Il mondo continua a girare e continua a piacermi. Dovremmo esserne tutti un po’ più innamorati.

  • Ci incuriosisce tantissimo il tuo rapporto con le piante, che ritroviamo anche nella copertina del tuo nuovo singolo “A mio figlio non darò nome”. Ce ne parli? Che cosa può esserci di connesso, tra il fare musica e il prendersi cura di una pianta?

Le piante sono una mia grande passione. Vivo in un monolocale con più di 60 piante. Finiranno per uccidermi. Piante o fiori compaiono in quasi tutti i miei brani: sono una metafora sempre estremamente chiara ai miei occhi di ciò che sono la vita, l’amore, l’accudimento. In questo specifico caso il rimando della copertina è a un verso della canzone che dice “cresciamo le querce nei nostri quartieri, che abbattano muri, che portino semi”. C’è una parte di me che crede fermamente la natura possa insegnarci molto sul rispetto reciproco.

  • E quale significato volevi dare a questo nuovo brano?

A mio figlio non darò nome è una canzone che parla di un futuro in cui spero saremo più capaci di accettare l’alterità, lasciando la libertà ai singoli individui di presentarsi al mondo per come sono e come si sentono. Ma è anche una canzone che parla di flussi migratori, di identità di genere. Insomma, il figlio è un pretesto per parlare del futuro, delle generazioni che saranno, delle speranze che nutro.

  • E come va in questo momento?

È un momento abbastanza complesso della mia vita al di fuori di GODOT, e di conseguenza questo ricade anche poi sulla mia vita artistica. Sto però cercando di ritagliarmi del tempo bello e sincero con e per la mia musica, di costruire e comunicare in modo preciso quello che è questo nuovo album: è un disco molto personale e per certi versi anche molto sofferto. Ma è un disco che ho prodotto con grande grande amore.  

— Onda Musicale

Sponsorizzato
Leggi anche
Intervista al cantautore folk country Carlo Rizzolo
“The Trick”, l’energia positiva nel synth pop dei Fight For Four