Andrea Piersimoni si racconta al nostro giornale.
Tutto parte da queste prime 5 tracce inedite. Ecco i natali di una carriera che da subito mette in chiaro le intenzioni qualitative e ambiziose di Andrea Piersimoni: artista inteso, strutturato, già molto centrato e maturo sui suoni e su quel che intende rappresentare. Richiama le sottilissime colorazioni del ghiaccio islandese, lisergiche soluzioni vocali che ci portano in un luogo non-luogo che sembra appartenere alla fantasia, alle oscure profondità della coscienza. “Città pericolosa” lo definisce un puzzle narrativo… io lo percepisco come un esperimento quasi liturgico, di suoni metropolitani, di notturni digitali, di sospensioni magnetiche. È un’alcova segreto dentro cui rifugiarsi questo primo EP di Andrea Piersimoni.
La disegni come “pericolosa” la città… che ragione c’è?
Ho voluto raccontare la città come tunnel che si orienta verso uno stadio della persona più leggero. La natura pericolosa della città è il presupposto per lasciare che l’io si tolga di dosso dei pesi e vinca le paure. L’idea di pericolo si rifà a fattori sia fisici che psicologici.
Nel dualismo che affronti, tra alcova sicura e paura del mondo, vince una delle due parti o il vero dramma (pericolo) è restare sempre in bilico?
Il punto di arrivo è il medio tra sicurezza della propria alcova e l’incertezza del mondo esterno. Entrambe le condizioni portano a un senso precarietà, ma fungono anche da slancio dinamico per rinnovarsi sempre.
La notte, il buio, il rifugio intimo dell’io: chiuso in una stanza significa aver paura di ciò che c’è fuori o di far venire fuori ciò che abbiamo di dentro?
Il rifugio intimo dell’io è un atto di creazione interna, è uno spazio libero in cui sbagliare liberamente e costruirsi. Costruire al di fuori di sé è, nel mio caso, la conseguenza creativa di un disagio provato in precedenza. Aver paura di ciò che c’è fuori e raccontare ciò che si vive internamente sono, per il mio racconto, due dinamiche concatenate.
Interessante aver scelto una intro come singolo e video ufficiale. Che tra l’altro sembra davvero il manifesto di questo EP. Come mai questa scelta?
La scelta di un’introduzione come singolo e video ufficiale è stata accuratamente pensata per abbracciare al meglio il messaggio dell’EP. “Aria” funge da manifesto perché introduce l’idea di una città soffocante, simbolo di pressioni e paure. Allo stesso tempo il titolo “Aria” anticipa il finale leggero che cerco di raggiungere attraverso questo viaggio.
E a proposito di manifesto, l’ultima traccia direi che è la degna conclusione. Non a caso troviamo un altro video in rete? Bella la produzione di voce qui… reale… come la verità…
L’ultima traccia dell’EP, “Non ho più paura”, è concepita come conclusione perché rappresenta il superamento delle paure raccontate nell’EP, è il respiro dopo la corsa.
Quanto la produzione e la scelta dei suoni hanno giocato nel rendere visibile (anzi udibile) tutto questo concept? In che modo pensi l’abbia fatto?
Nella produzione della canzone, io ed il mio team abbiamo lavorato sul senso di spazialità e apertura richiamando pad eterei, sintetizzatori atmosferici e riverberi ampi per trasmettere un senso di respiro e libertà. Dal punto di vista ritmico abbiamo combinato percussioni incisive e ritmiche pulsanti con sezioni più eteree e sospese, creando contrasti che riflettono il dualismo della città fisica e mentale. Questo contrasto rappresenta la tensione ed il dinamismo dell’esperienza emotiva, alternando momenti di tensione e di riflessione. La dinamica del brano è stata pensata per creare un senso di progressione e sviluppo, mimando il viaggio emotivo di cui parlo; siamo partiti da un’atmosfera più intima all’inizio del brano, per poi aumentare gradualmente l’intensità e l’energia, riflettendo il risveglio emotivo alternato da momenti di tensione.
Che rapporto hai con i media e con i social network? Te lo chiedo perché, se mi concedi il lusso dell’allegoria, anche queste sono “città pericolose” …
Negli ultimi anni ho imparato a dosare meglio l’impatto dei social network sulla mia quotidianità. Sono mondi ingarbugliati che necessitano di consapevolezza. Ad oggi cerco di equilibrare il più possibile il tempo della mia utenza passiva con quella attiva cercando di ricordarmi sempre che ciò che vedo è una narrazione inevitabilmente filtrata.
Un esordio che ha subito centrato la tua direzione artistica o sei ancora alla ricerca di un “io” anche in questo?
Credo che questo esordio sia il primo tassello di un puzzle “io” molto più grande. Posso dire, però, che è un primo tassello importante in quanto estremamente intimo. L’idea iniziale era proprio quella di creare un precedente personale capace di guidare tutte le storie future.