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Francesco Cavestri e i generi fratelli (intervista)

il musicista jazz Francesco Cavestri

Pianista, compositore e divulgatore (classe 2003), Francesco Cavestri è il più giovane talento del jazz in circolazione. Lo abbiamo nuovamente intervistato in vista del Jazzmi 2024.

Francesco Cavestri ha studiato pianoforte dall’età di 4 anni e si laurea a 20 anni in pianoforte jazz al Conservatorio di Bologna (il più giovane laureato del dipartimento Jazz). Negli USA ha modo di frequentare la scena musicale newyorkese e di studiare al Berklee College of Music di Boston, dove conosce un gruppo di musicisti americani con cui si esibirà in importanti rassegne estive a Bologna e a Boston. 

Il suo primo album “Early17,” una combinazione di hip-hop, soul e R&B, con elementi di jazz contemporaneo,formato da 9 tracce inedite e feat di Fabrizio Bosso, ottiene consenso di pubblico e di critica. Cavestri in questi anni si è esibito in importanti Festival e Jazz Club italiani ed esteri (il Bravo Caffè di Bologna, l’Alexanderplatz Jazz Club di Roma, la Cantina Bentivoglio di Bologna, il Wally’s Jazz Club di Boston, la Casa del Jazz di Roma, il Festival Time in Jazz in Sardegna, il Festival JazzMi a Milano).

Come divulgatore ha presentato la sua lezione-concerto “Jazz / hip hop – due generi fratelli” nelle scuole, nei teatri (anche a fianco di Paolo Fresu) e nei festival (Time in Jazz e JazzMi) e a breve uscirà anche una pubblicazione.

Al Festival “Strada del Jazz 2023” con il suo concerto in Piazza Maggiore a Bologna (che è stato registrato e prodotto dalla Regione Emilia-Romagna per la rassegna Viralissima) ha vinto il Premio come giovane pianista che unisce presente e futuro.

I suoi lavori recenti 

Di recente ha anche registrato la sua prima colonna sonora per un podcast di produzione Rai, “Una morte da mediano”, il cui album è uscito il 16 febbraio 2024. 

IKI – BELLEZZA ISPIRATRICE” (gennaio 2024) è il secondo album di Francesco Cavestri. Ad aprile 2024 è partito il Tour “IKI- Bellezza Ispiratrice” dal Blue Note di Milano che ha toccato diverse città, tra le quali ricordiamo: Milano, Roma, Bologna, Trapani.

Onda musicale lo ha intervistato nuovamente per cogliere tutte le sue sensazioni.

Sei reduce da un bel tour in cui hai presentato il tuo ultimo lavoro “IKI – bellezza ispiratrice”. Che pubblico hai incontrato e quali sensazioni hai ricevuto?

Sì sono stato in tour per promuovere l’album. Beh! ho incontrato un pubblico molto vario. La serata inaugurale al Blue Note che ha dato il via alle danze ho trovato un pubblico – con mia grande soddisfazione – anche giovanile, di millenials e anche di coetanei. Quindi, è stato molto bello, ho incontrato molti amici. Poi, a seconda dei contesti in cui ho presentato il disco, variava anche il pubblico di riferimento. Tanti giovani anche a “Piano City”, sempre in zona milanese, così come a Bologna molti giovani, in un contesto tra l’altro meraviglioso sulle colline bolognesi. Insomma, tante persone diverse a seconda dei luoghi. Hanno dato una bella risposta e sono particolarmente soddisfatto.

È sempre piacevole quando incontri soprattutto i giovani che si avvicinano alla tua musica, no?

Sì è vero. IKI – bellezza ispiratrice è una conferma che unendo il jazz con altri generi come l’hip hop e la musica elettronica si avvicina questo genere ai giovani. Molti dei generi musicali che i giovani oggi ascoltano più assiduamente derivano dal jazz che è uno dei generi più aperti alle contaminazioni. Un esperimento che intendo portare anche sul palco del Jazzmi il 31 ottobre in cui l’ospite della serata sarà Willie Peyote. Il concerto è andato sold out già da qualche tempo. Willie Peyote è uno dei più grandi cantautori rapper e più impegnati della scena indie attuale. Con lui trovo questa contaminazione e questo rapporto nato per il progetto “il Jazz incontra l’hip hop” che nella serata del 31 vedrà il suo culmine.

Raccontaci in vista del concerto del 31 ottobre al Jazzmi, come è nata l’idea di sperimentare e fondere la tua musica con i testi e il rap/ hip hop di Willie Peyote?

L’ho conosciuto al Time in Jazz, il festival che organizza Paolo Fresu in Sardegna. L’ho conosciuto, abbiamo avuto occasione di parlare e nelle nostre conversazioni il primo argomento che è venuto fuori è stato proprio il rapporto tra jazz e hip hop e il rapporto tra due generi che sono in apparenza distanti, ma che in realtà hanno molto in comune. Questo è accaduto nel 2023. Di recente – prima dell’estate – si era presentata l’occasione di partecipare al Jazzmi con un progetto che si adattasse al contesto che vedesse il jazz in maniera “contaminata” con altri generi e a me è venuto in mente di contattare lui. È un progetto che avevo già presentato al Jazz fest di Bologna e alla Casa del Jazz di Roma in cui il jazz incontra l’hip hop, ma questa volta volevo che fosse hip hop italiano e quindi ho pensato a Willie Peyote che si era già dimostrato subito entusiasta e molto disponibile.

Trovo che sia una cosa molto bella che artisti – anche affermati come Fabrizio Bosso, Paolo Fresu, musicisti con cui ho avuto la fortuna e l’occasione di collaborare – si prestano con generosità e in modo genuino a un progetto di un giovane. È sempre una bella occasione.

Cosa puoi dirci di più sull’inedito che presenterai con Willie Peyote a Jazzmi?

Sì. Avremo un repertorio che toccherà alcuni miei brani originali, altri brani scritti da Willie e presenteremo anche un inedito che ho prodotto io e scritto insieme a un’autrice di cui non rivelerò l’identità. Non voglio dire troppo perché non so quando lo pubblicheremo, intanto lo presentiamo dal vivo e chi ci sarà lo ascolterà in anteprima durante il concerto.

In genere, quindi, quali sono le sfide che ti piacciono di più?

Le sfide? Beh ce n’è una in particolare che è quella di rimanere sempre fedele alla musica che ho studiato, che faccio e che è la mia musica di formazione: il jazz. Ma portandolo a uno spettro sempre più ampio e che possa raggiungere sempre più persone, anche quelle che lo conoscono poco perché hanno altri riferimenti musicali. Vorrei cercare sempre di innovare il jazz che per sua definizione porta sempre alla ricerca di strade sperimentali.

La mia più grande sfida è non tradire mai il genere che ho studiato e che amo pur apportando novità e innovazioni sonore che poi è il modo migliore per onorare questo genere musicale. Uno dei più grandi pianisti della storia del jazz diceva che il jazz è il genere che ha prestato sé stesso più spesso agli altri generi e che ha preso in prestito da altri generi, quindi, vuol dire che è il genere più duttile, che si presta alle altre realtà musicali e che a sua volta viene influenzato dalle altre realtà musicali. Vorrei davvero rendere onore a quello che è lo scopo e l’essenza ultima di questo genere che è la ricerca di sonorità sempre nuove

È bello che lo dica un giovanissimo, perché sei giovanissimo e immagino che tu abbia amici e coetanei con i quali ti incontri, con i quali ascolti musica di altri generi, ma oltre alla musica, quali altri studi, interessi e passioni coltivi? Come si svolge una giornata tipo di Francesco Cavestri?

Io sono un grande appassionato di cinema, infatti, si vede anche dal mio album “IKI – bellezza ispiratrice”, la prima traccia si chiama non a caso “La dolce vita” di Fellini dove ho tratto ispirazione dal monologo di Steiner e ci ho costruito intorno un brano musicale. Il cinema, dunque, è tra le aspirazioni oltre che passioni più grandi dopo la musica.

Poi, sono anche un grande appassionato di filosofia che, in realtà, sto anche portando avanti come studio personale. Credo che siano tutte realtà e forme d’arte che arricchiscono anche il mio percorso musicale. Cerco di utilizzare e fondere sempre realtà diverse e torniamo al discorso dianzi, l’album IKI è un termine giapponese che è la filosofia della ricerca estetica di cui abbiamo già parlato nella precedente intervista. Ecco la filosofia orientale rientra anche nei miei progetti, e uno di quegli argomenti che mi piace mescolare tra loro unendo cose diverse.

Qual è il tuo rapporto con il successo. I tuoi concerti sono sold out, sei riconosciuto come divulgatore per i tuoi progetti ben riusciti di contaminazione musicale, che effetto ti fa il successo e tutto il rumore intorno?

(ride) in realtà non me ne sto accorgendo, nel senso che resta un mondo musicale abbastanza di nicchia e che mi permette ancora di mantenere la privacy. Non è un successo di “massa”. Ho le mie soddisfazioni e quando la musica è al centro è quello che conta. La divulgazione fa parte del mio percorso, parlare e rivolgermi ai coetanei. Magari a volte si sente parlare di scandali e di cose ulteriori alla musica quando il successo è di massa, ma finché si parla di musica … per me il successo è soprattutto riuscire a parlare della mia musica.

Ma hai paura di quel tipo di successo che, magari, ti soffoca e ti toglie la vita privata?

Maah! … non è un pensiero che al momento mi sono mai posto. Sarà perché anche la musica che ho scelto di fare e che faccio non è una musica che solitamente si presta a questo tipo di successo. Penso anche banalmente che un musicista che può essere simile ma anche molto diverso da me che ha successo è Ludovico Einaudi, più a livello di musica contemporanea. Facciamo cose molto diverse, però non è certo una rock star.

Più o meno, la musica che propongo anch’io non si presta al successo mediatico o da rock star. Se succederà, quando succederà mi porrò il problema (ride) Diciamo che lo studio della filosofia mi aiuta a gestire anche certe situazioni, se mai si dovessero presentare. Sono un sostenitore del pensiero autonomo e dell’imparare a pensare e gestire qualsiasi situazione si presenti

Continuiamo sul piano filosofico, abbiamo parlato del jazz come musica che si presta al dialogo con altri generi, di essere un genere disponibile al dialogo, pur mantenendo una sua integrità e autenticità. Secondo te, questa capacità di dialogo insita nel linguaggio musicale del jazz riesci a immaginarla applicata e trasposta in altre realtà e dinamiche sociali, politiche, culturali, ambientali?

Beh! un paragone che faccio sempre è con la vita reale. Forse è il più ampio che esista, però basti pensare a quello che accade sul palco tra i musicisti jazz.

Quando salgo sul palco con i miei musicisti con i quali ho un livello di conoscenza anche elevato, sappiamo quello che dobbiamo fare, conosciamo la scaletta dei brani. Una peculiarità del jazz è che abbiamo lo scheletro dei brani, abbiamo la melodia, gli accordi, sappiamo a grandi linee le emozioni che desideriamo far scaturire rispetto a un determinato brano che ha un’energia diversa magari  da una ballad, però a parte questo, a parte questi dati e “preconcetti”, il resto è improvvisato sul momento, le dinamiche del forte/piano  le gestiamo sul momento ed è esattamente quello che accade quando si parla, quando si interagisce con le altre persone attraverso il dialogo.

Un po’ quello che stiamo facendo noi adesso: conosco qualcosa di te, della rivista per cui scrivi, della redazione, abbiamo avuto modo di incontrarci professionalmente in passato, tu hai letto qualcosa di me, i comunicati e questo diciamo che è lo scheletro – come potrebbero essere gli accordi – ma poi le parole che scegliamo di utilizzare, il tono della voce, le dinamiche che instauriamo durante la conversazione vengono sul momento. È proprio come accade sul palco tra musicisti jazz.

La più grande metafora del jazz è veramente la vita e il dialogo tra esseri umani che definisce l’esistenza. La musica jazz, anche per questo, è la forma d’arte più formativa e arricchente che esista

Messa In questi termini bisognerebbe dire che occorrerebbe più jazz nel mondo?

Eh certo! Oltre a essere una musica di una bellezza travolgente, questa sua intrinseca vitalità, questo legame fortissimo che ha con la vita e con il dialogo è una peculiarità.

Sarebbe bello potersi riunire intorno a un tavolo diplomatico e appianare tutte le discussioni partendo da un canovaccio e andando sull’improvvisazione e magari trovare una soluzione …

Esatto! Oppure speriamo che non si trovi, perché le discussioni non portano mai da nessuna parte, un discorrere infinito sempre volto al progresso e mai al raggiungimento…

Il futuro ti spaventa o sei un ottimista?

Uh che domanda! No, il futuro … non la metterei in termini di paura, il futuro mi incuriosisce, mi affascina, mi spaventa? Forse sì … anche se sono un ottimista. Mi spaventa più che altro qualsiasi cosa che non si conosce, lo sviluppo che è ignoto … però … no, no il futuro mi affascina. Vivo molto il presente anche perché ho un presente molto denso, intenso e molto ricco, per mia fortuna.

È un momento molto bello professionalmente, sto facendo molte cose che non avrei mai pensato di fare, penso al Blue Note, all’incontro con Willie Peyote che stimo da tempo e con il quale ora mi ritrovo sul palco … penso alla collaborazione con il miglior marchio di pianoforti al mondo, sto facendo talmente tante cose belle che forse – non è una paura – piuttosto una mia speranza verso il futuro che sia sempre in crescendo. È un timore e una speranza allo stesso tempo: la speranza di poter continuare a vivere esperienze così belle

Quali altre direzioni vuoi esplorare? E quali collaborazioni ti piacerebbe intraprendere, il sogno o il tuo ideale?

Vediamo quello che mi porta la vita. Nel senso che finora le collaborazioni che ho avuto con musicisti che stimavo sono arrivate da circostanze casuali, da incontri casuali e da complicità nate sul momento.

Sicuramente ho degli artisti che ascolto e seguo con cui mi piacerebbe collaborare, ma che poi non so se incontrandoli dal vivo può nascere quella chimica. Come nella vita reale si sceglie di stare con una persona e ci si avvicina a quella persona perché scatta una complicità, una sensazione di conoscersi ancora prima di suonare insieme, condividere le stesse emozioni per la musica ed è per questo che per esempio ho costruito un rapporto professionale molto, molto bello con Fabrizio Bosso, perché vedeva in me un giovane che aveva una visione del jazz comunque legata all’aspetto tradizionale, avendo io studiato il jazz delle origini, ma con lo sguardo sempre proiettato verso la composizione originale. Quello che è piaciuto molto di me a Fabrizio è stato il fatto che io scrivessi musica originale anche di un certo interesse e mai banale.

Quello che ha affascinato Paolo Fresu, invece, è stato l’incontro di generi diversi, appunto. L’utilizzo che ho fatto delle elettroniche nel primo album e di come ho portato, in qualche modo, innovazione e originalità e diversità al mondo del jazz, tema a cui lui tiene molto anche nel suo progetto.

E lo stesso incontro con Willie Peyote nasce dall’intendere comune di fondere il jazz che è il mio mondo e l’hip hop che è il suo mondo come generi fratelli. Infatti, abbiamo già fatto una lezione-concerto insieme l’anno scorso che si chiama “Jazz, due generi fratelli”, basato sul raccontare i rapporti che si instaurano tra due generi solo in apparenza così distanti, non solo dal punto di vista musicale, ma anche storico-sociale, politico. Il fatto che sia stato lui a parlarne per primo, ci ha davvero legati.

Non so con quale artista collaborerò in futuro, ma sicuramente deve essere qualcuno con cui scaturisce una complicità progettuale.

E poi mi piacerebbe – uscendo dal mondo della musica – lavorare per il cinema, quindi conoscere registi e scrivere la colonna sonora. Io ho già fatto una colonna sonora per un podcast della Rai basato sul “giallo” di Denis Bergamini e ho scritto tutta la colonna sonora ed è stata un’esperienza entusiasmante. Spero di avere presto nuovamente occasione di lavorare per il cinema e le colonne sonore.

Una mia curiosità: qual è la differenza tra scrivere su “commissione” per una colonna sonora e scrivere sotto influsso di un’ispirazione, chiamiamola “naturale”, spontanea?

Beh è molto diverso, molto. Io mi trovo bene in entrambe le realtà, nel senso che io sono un tipo che dopo un po’ ha bisogno anche di stimoli esterni e di qualche limitazione.

C’è una bellissima metafora, anzi un parallelismo che si può fare con le “Lezioni americane” di Calvino, in cui Calvino scrive che il miglior modo per cogliere creativamente qualcosa è la limitazione. C’è un racconto particolare: un palazzo con 120 stanze in cui ogni personaggio deve scrivere attingendo a una stanza. Ogni stanza era diversa dall’altra e questo poneva un limite perché ogni capitolo di questa storia doveva essere ambientato in una singola stanza. Quelle stanze potevano sembrare una limitazione perché imponevano un tema alla narrazione senza poter ampliare troppo lo spettro. In realtà, si dimostrano essere una fonte di creatività e una fonte di ispirazione molto più ampia, nonché una grande libertà. In sostanza, Calvino sostiene che i vincoli, le limitazioni, i reticoli possono avere dei margini di creatività ed essere fonte di ispirazione e generalmente si può essere più creativi nell’ambito della varietà.

Quindi, quando lavori per commissione avviene questo: il regista propone, impone anche un modo di vedere la musica e un’idea che ha o che vuole, ma in questo modo in realtà allarga il tuo spettro creativo e credo sia una cosa positiva è chiaro che quando, invece, sei tu a scegliere i tuoi progetti personali hai una libertà totale ma rischi altrimenti di essere molto dispersivo

Tornando al tuo album Bellezza ispiratrice, IKI è un termine giapponese, oltre l’Italia quale altro paese potresti considerare come una seconda patria, con il quale senti affinità?

Beh come seconda patria in questo momento gli Stati Uniti, forse. Perché ho studiato lì, ho avuto occasione di trascorrere dei periodi lì, una borsa di studio, New York quindi la possibilità di fare esperienze dal punto di vista musicali molto formative. Esperienze che mi hanno dato un bel mood. Un bel contributo per intendere il jazz come lo intendo ora, cioè, verso un genere accogliente, disposto all’accoglienza e ad essere accolto. È da lì che viene questa mia idea di musica.

Però sicuramente anche il mondo orientale con il Giappone mi attrae è una realtà che vorrei approfondire, come dicevo prima, sono appassionato di colonne sonore e Ryūichi Sakamoto così come Joe Hisaishi hanno un impatto molto forte sulla mia musica.

Tour all’estero, sono previsti?

Sì. A Dubai nel 2025, poi stiamo lavorando per Istanbul e poi spero che ci saranno altre novità da comunicare presto.

Grazie per questa bella chiacchierata a presto in futuro!

— Onda Musicale

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