Il brano nasce da un viaggio in Indonesia, precisamente in un campo Toraja nell’isola di Sulawesi e da un’armonica a bocca che il cantautore porta sempre con sé.
Il Toraja è un popolo che celebra la vita dopo la morte con elaborate cerimonie. L’assistere ad uno di questi riti emotivamente coinvolgenti ha rievocato nell’autore i momenti passati con l’amico Davide Mingione, seconda chitarra dei Crabby’s dal 2017 al 2018, mancato prematuramente nel 2022.
Ciao Giuseppe, ben trovato su Onda Musicale. Dopo una serie di lavori torniamo a parlare del tuo nuovo brano “Dove non eri tu”. Il titolo è molto evocativo. Cosa significa per te questa frase e come rappresenta il cuore della canzone?
“Prima di tutto grazie per ospitarmi nel vostro spazio editoriale. A prescindere dal significato più profondo che mi riporta al ricordo dell’amico prematuramente scomparso che suonava con me nei Crabby’s , il titolo “Dove non eri tu” rappresenta il desiderio di evasione che probabilmente un po’ tutti oggi abbiamo. Siamo bombardati da notizie, informazioni, statistiche, raramente però tutto questo ci emoziona, ci porta altrove, in un luogo dove invece possiamo spogliarci dell’io e rimanere nudi come quando eravamo neonati, per cercare sentimenti puri. Ecco spero invece che nei due minuti di ascolto di questo brano qualcuno riuscirà ad evadere per approdare in quel luogo lì, dove anche pochi secondi possono farci respirare “aria nuova” o aprirci nuove prospettive.”
Il tuo viaggio in Indonesia è stato il punto di partenza per questo brano. C’è stato un momento preciso durante il viaggio in cui hai capito che avresti scritto una canzone su quell’esperienza?
“Sì, è stato proprio nei primissimi giorni, mentre soggiornavo all’interno di un campo Toraja, nell’isola di Sulawesi. Assistere ai loro rituali è stato un elemento di forte suggestione che ha scatenato in me il ricordo di Davide e portato forse in quel luogo nell’anima che citavo sopra.”
Hai sempre portato con te un’armonica nei tuoi viaggi. C’è qualcosa di speciale in questo strumento che ti lega ai luoghi che visiti o ai momenti che vivi?
“È uno strumento piccolo, facile da portare in viaggio, e , per chi ama il blues e il folk, permette di improvvisare motivetti o assoli senza bisogno di altro, come si faceva ai vecchi tempi, la adoro. Analogica, piccola e non deve essere ricaricata 🙂 i giovani la potrebbero riscoprire…”
Nel tuo percorso artistico ci sono stati cambiamenti significativi. Come senti che la tua musica si è trasformata dal tuo primo EP fino a oggi?
“Tanto, scrivevo in inglese praticamente brani Rock e Blues. Pian piano ho iniziato a scrivere anche delle Ballads sempre in inglese. Scrivere in italiano mi ha invece traghettato verso uno stile cantautorale, molto personale. Credo di aver trovato la mia dimensione.”
C’è una differenza tra il modo in cui vivi la tua musica sul palco e quando la crei in studio? Quale dei due momenti ti permette di connetterti più profondamente con te stesso?
“Sicuramente in studio, anzi più che in studio spesso a letto, quando mi sveglio di notte con in testa un motivo che poi il giorno dopo riprendo in studio. Quello è un momento davvero strano, quando capita si è così introspettivi che a volte vien da ridere per il buffo apparire di se stessi alle prese con una cosa nuova, come un bambino con un nuovo giocattolo. Attimi di spensieratezza.”
Se dovessi descrivere il prossimo capitolo della tua carriera musicale in poche parole, quali useresti?
“Battiato cercava un centro di gravità permanente, io, nel mio piccolissimo, continuo la ricerca del luogo “Dove non ero io” , perché so che esiste, vi approdo di tanto in tanto per pochi attimi che durano un’eternità.”
Giuseppe D’Alonzo è su Instagram, Facebook, YouTube. Qui un precedente articolo sul musicista.