In occasione dell’uscita del singolo “This World” incontriamo il giovane produttore viareggino Marco Barcaroli e l’affermata cantante jazz Michela Lombardi.
Marco e Michela, il vostro background musicale è molto diverso, eppure a un certo punto vi siete incontrati su un terreno comune. Ma prima di arrivare a “This World” ci raccontate innanzitutto qual è il vostro rapporto con la musica?
MB: La musica, senza distinzione di generi, è stata sempre presente nella mia infanzia: mio padre nell’autoradio dell’Alfa ascoltava decine di CD e spaziava fra Depeche Mode, U2, Battiato, Bluvertigo e Subsonica, mentre mia madre mi faceva ascoltare Gianna Nannini ed Elisa. Mio nonno invece era appassionato di musica classica. Ma è in età adolescenziale che ho sentito anche il bisogno di farla, la musica, oltre ad ascoltarla. Non è stato facile: ero pieno di insicurezze, non mi sentivo all’altezza e temevo che questo mi avrebbe portato ad abbandonarla, come era già successo dopo aver preso qualche lezione di chitarra alle medie. Tra mille incertezze, trovata infine un po’ di fiducia sono passato al pianoforte, innamorandomi poi dell’elettronica e dei sintetizzatori. Parallelamente ho coltivato una forte passione per il cinema, che mi ha portato a laurearmi in Discipline Dello Spettacolo all’Università di Pisa con una tesi intitolata “Da Vangelis a Zimmer: evoluzione della colonna sonora sintetica nell’universo cinematografico di Blade Runner. Dopo la laurea ho frequentato tra il 2021 e 2022 il corso di Produzione Musicale alla scuola “Fonderie Sonore” di Roma, per diventare più autonomo nella composizione. Ho scelto proprio quella scuola perché tra i docenti c’era Enrico Cosimi, un vero guru della sintesi. Per l’esame finale del corso ho scritto “Goin’ Deeper”, poi divenuto il mio primo singolo, e da lì ho consolidato la mia voglia di comporre.
ML: Sono entrata nella mia prima rock’n’roll band quando avevo quattordici anni, e da lì non mi sono mai fermata. Dal rock al soul, dal rhythm’n’blues all’acid jazz, dai brani originali (raccolti nel mio album pop del 1999 dal titolo “Gently Hard”, registrato col nome d’arte di Malina) ai tanti dischi jazz pubblicati a partire dal 2004 (il primo fu “Small Day Tomorrow”, per la label Philology), ho sempre avuto un approccio aperto e caleidoscopico verso la musica, confrontandomi sia con il free jazz e la conduction in stile Butch Morris (con la Fonterossa Open Orchestra) sia con lo Swing anni ’30 (con il Nico Gori Swing 10tet), e sia con il cantautorato (vincendo il Premio Ciampi nel 2010) che con la musica antica (con l’Ensemble San Felice). Potevo forse sottrarmi alla tentazione di gettarmi anche in questa nuova sfida?
I vostri ascolti sono sicuramente eterogenei. Tuttavia ciascuno di voi è infine approdato a un genere ben preciso: quale?
MB: Mi sono in un primo momento concentrato sul synth pop (a causa di una venerazione verso i Depeche Mode nel periodo di Alan Wilder) per poi deviare con convinzione verso l’industrial grazie a Trent Reznor e ai suoi Nine Inch Nails. L’elettronica fine a se stessa non mi bastava più, non ero sincero nella scrittura. Percepivo invece nelle sonorità decadenti dei NIN una forza primordiale, una potenza ancestrale nella quale riversare le emozioni più crude, autentiche, e questo mi ha letteralmente rapito! Era come se, nella ricerca dell’ordine mentale, il caos fosse la via verso la soluzione, il sound di cui avevo bisogno.
ML: Nella mia produzione jazzistica (il jazz è sicuramente il genere su cui mi sono concentrata di più) c’è un preciso filone in cui tendo a inserirmi, ed è quello dei “songbook”, ovvero dei “tributi” a particolari autori o interpreti. Ho dedicato ben tre dischi al repertorio del trombettista e cantante Chet Baker, e nel 2010 sono usciti i due volumi del “The Phil Woods Songbook”, dove il grande sassofonista americano mi aveva coinvolta sia come interprete che come autrice di lyrics. Il mio ultimo disco jazz, “Believe In Spring”, uscito a marzo, è un omaggio al repertorio del grande compositore francese di canzoni e colonne sonore Michel Legrand. Idealmente fa coppia con “Solitary Moon”, uscito nel 2016 e dedicato alle composizioni di un altro grande autore americano, Johnny Mandel. Nel mezzo c’erano i tributi a Madonna (“Live To Tell”, 2017) e Sting (“Shape Of My Heart”, 2019, e “When We Dance”, 2021).
Partecipare alla composizione di parte della melodia di “This World” – ancorché il brano si collochi in un ambito non jazzistico – è stato un po’ come riaffacciarmi finalmente al mondo degli inediti (predominanti negli album “So April Hearted” del 2009 e “From Distant Shores” del 2015), e mi sta facendo tornare la voglia di dedicarmi a un disco interamente di brani originali.
Raccontateci adesso come vi siete incontrati e come è nata la voglia di collaborare.
MB: Ho conosciuto Michela durante una sessione allo studio House Of Glass a Viareggio: lei doveva registrare delle cover in chiave lounge/chill-out di grandi classici pop per la Warner Music Italia, mentre io gestivo la parte organizzativa. Durante le pause ci scambiavamo idee, gusti e considerazioni musicali, e abbiamo stabilito così una bella sintonia. La scintilla che ha portato alla nostra collaborazione è scattata probabilmente in seguito a una storia su instagram; io ricordavo di aver scoperto Tori Amos, una delle voci di riferimento di Michela, grazie al suo duetto con Trent Reznor nel brano “Past The Mission” del 1994 (periodo di massimo splendore di questi due giganti): così l’ho condiviso in una story, e Michela – che pur adorando l’album “Under The Pink” in cui quella canzone è contenuta non aveva fatto caso all’importanza di questo duetto – ne è rimasta colpita andando quindi a scuriosare tra i brani di Reznor, mentre io mi immergevo nella discografia di Tori Amos. Da lì abbiamo iniziato a consigliarci ascolti reciproci (se ci mettiamo d’impegno sappiamo essere due logorroici da competizione!), e dopo un periodo di approfondimento della discografia della Amos ho deciso di tirar giù due idee per un brano nuovo, unendo il sound industrial reznoriano con le sonorità amossiane più vicine al trip hop (quelle del disco “To Venus And Back”, per intenderci). Inutile dire che per la voce ho subito pensato a Michela: se non l’avessi scelta credo che mi avrebbe tolto il saluto!
ML: Mea culpa, a quei tempi avevo occhi (e orecchie) solo per Tori Amos, alla quale nel 2003 dedicai due concerti insieme all’amica di sempre Petra Magoni e al pianista Sergio Innocenti: eravamo una sorta di “tribute trio” della rossa songwriter del North Carolina! Ascoltando “Past The Mission” non mi ero proprio accorta della presenza di Reznor, scambiato per un corista qualsiasi! Forse perché ero troppo presa dalle vocalità femminili a cui ispirarmi. Spostando la mia attenzione più sulle composizioni, il terreno era finalmente fertile perché iniziassi ad approfondire anche la produzione del frontman dei Nine Inch Nails, che conoscevo solo per la bellissima “Hurt” (Johnny Cash ne ha dato una versione immensa) ma che ha scritto anche belle songs per varie colonne sonore di film di David Fincher e Luca Guadagnino, tra gli altri.
Chi ha partecipato alla realizzazione di “This World” oltre a voi due?
MB: Innanzitutto ci tengo a menzionare gli altri musicisti, oltre a me e a Michela: al basso c’è Francesco Foti, polistrumentista versatile nonché persona di una generosità infinita, e alla batteria Marco Martinelli (batterista di Emma Nolde), eccellente musicista molto sperimentale nei suoni, e anche lui persona eccezionale.Il mix è stato affidato ad Andrea Pachetti (producer fra gli altri di Emma Nolde): mentirei se non ammettessi che ho voluto affidarlo proprio a lui perché siamo due appassionati del mondo industrial (specialmente i già citati Nine Inch Nails)! Non potevo fare scelta migliore, anche perché non ha solo delle abilità indiscusse ma è anche una persona che ti accoglie, ti dà consigli e si vede che è profondamente innamorato del suo lavoro. Il master impeccabile è stato realizzato in Svezia da Gustav Brunn (tecnico di mixing e mastering). La copertina è infine stata realizzata da Francesco Lunardi, disegnatore di Lucca e mio carissimo amico. È composta da un collage di vari pannelli arrugginiti (simbolo della progressiva corruzione del mondo); al centro le mani formano nel linguaggio dei segni la parola WORLD e ogni colore rimanda a temi toccati dal testo, quali l’apatia, l’apolitica, l’aborto, le relazioni, il romanticismo, l’invidia, la depressione, la sottomissione e la mancanza di lealtà.
E allora raccontatecelo, questo “This World”. In particolare raccontacelo tu, Marco, che ne hai scritto il testo.
MB: Non voglio spiegare per filo e per segno le parole perché mi piace che ognuno dia una personale interpretazione, ma posso dire che il testo è una riflessione su quello che percepisco come un progressivo deteriorarsi della gestione dei rapporti umani. Il malessere generalizzato aggravato dall’arrivo della pandemia ha peggiorato la situazione, e sinceramente ne sono sia spaventato sia amareggiato. Un altro tema piuttosto controverso è la spettacolarizzazione della depressione [a tal proposito si trova su Raiplay un intervento di Valeria Montebello, ndr]: per fortuna oggi sta scomparendo il tabù sulla salute mentale e credo sia importante sensibilizzare il più possibile, ma con cognizione di causa. E qui mi ricollego a un altro tema trattato nel testo, ovvero la tendenza a mettere in discussione la scienza oltre il livello ragionevole che la scienza stessa contempla: l’atteggiamento veramente scientifico è improntato alla prudenza, non sposa una tesi in esclusiva, esige dubbio e controprova… è proprio per questo che dovremmo aver fiducia in questo processo. C’è poi un accenno ai diritti delle donne, che anche oggi si trovano a dover sottostare ad imposizioni inaccettabili. Infine mi inquieta la polarizzazione delle opinioni, incoraggiata dai social.
ML: Alcuni aspetti del testo scritto da Marco hanno toccato anche me, in particolare mi preoccupano le cause di ciascuno dei problemi toccati da Marco: la mancanza di empatia, di riflessione profonda e di un’informazione accurata e corroborata da letture di spessore. La mancanza di attenzione è il vero peccato in «questo mondo».
Marco Barcaroli, tastierista, arrangiatore, songwriter e producer, è nato a Pietrasanta il 17/10/1997 e vive a Viareggio. Ad oggi ha pubblicato i singoli “Goin’ Deeper” (2022), “Invisible” (2022), “Drowning In Memories” (2023), “JAZZIAL” (2023), “Overthinking” (gennaio 2024), “The Third One” (luglio 2024) e “This World” (ottobre 2024).
Michela Lombardi ha inciso due dischi con Phil Woods, uno con Nico Gori e Marco Tamburini e due con il trio di Renato Sellani, oltre a dischi di inediti (”So April Hearted”, “From Distant Shores”), al tributo a Johnny Mandel (“Solitary Moon”) e al songbook di Michel Legrand (“Believe in Spring”, 2024, con Piero Frassi, Gabriele Evangelista, Andrea Beninati). È anche la voce del Nico Gori Swing 10tet e della Fonterossa Open Orchestra. Con il Riccardo Fassi trio – feat. Don Byron e Steven Bernstein – ha pubblicato “Live To Tell”, un lavoro jazz su Madonna. Ha pubblicato due omaggi a Sting (“Shape Of My Heart” e “When We Dance”). Nel 2021 è uscito per Da Vinci “Pagine Vere”, con Giovanni Ceccarelli e Luca Falomi. Ha firmato un brano con Burt Bacharach, vinto il Premio Ciampi 2010 per la migliore cover, inciso jingle televisivi e composto e cantato brani per il cinema. Laureata in Filosofia all’Università di Pisa e in Jazz al Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze, insegna Canto Jazz al Conservatorio “G. Puccini” di La Spezia.