Intervista a Bruno Genèro, fuori con il nuovo album “Ekùn”.
Si intitola “Ekùn” il nuovo disco di composizioni inediti del grande Bruno Genèro, forse una delle firme più importanti al mondo per quanto riguarda il djembe. Si accosta all’elettronica di un altro grandissimo come Alain Diamond per restituire un disco anche disponibile in doppio vinile 180gr dal suono etereo, tribale, un metaverso di umanizzazione artificiosa e artificiale. Siamo dentro un tunnel spazio-tempo in cui sono evidenti i richiami al seme primigenio dell’uomo ma sono anche necessarie aperture di visioni altre al mondo che sta arrivando. Senza sfoggio di alcuna sfacciata esagerazione. Sono di quei dischi che ognuno può e deve leggere a proprio modo. Buon viaggio…
È un viaggio enorme… come sei riuscito, se sei riuscito, a confinarlo dentro un disco soltanto?
Ekùn è sicuramente un viaggio vasto e complesso, e confinarlo in un solo disco è stata una sfida significativa. Ho dovuto fare delle scelte ponderate su quali esperienze ed emozioni includere. Ogni traccia è un pezzo di quel viaggio, una tappa importante che ho voluto condividere con l’ascoltatore. Ho cercato di catturare l’essenza di ogni momento, sintetizzando in musica le sensazioni e le visioni che mi hanno accompagnato lungo il percorso. In questo album c’è un codice che racconta la trasformazione personale vissuta, dove la Musica è stata il tramite per conoscere profondamente me stesso.
Perché l’Africa? Per tuo vissuto o l’avresti chiamata in causa a prescindere?
Quando avevo 17 anni vivevo dei periodi a Parigi e studiavo per diventare un batterista jazz poi, una sera, scendendo nel metro di Montparnasse, ho sentito i tamburi africani suonare…in quel momento c’è stata una vera e propria chiamata. L’anno dopo ero in Africa per ricercare il suono del djembe, che non ho mai più lasciato. L’Africa ha un significato profondo nel mio vissuto. Ho trascorso molto tempo in quel continente, immergendomi nelle sue culture e traendo ispirazione dalle sue tradizioni. Il territorio africano possiede una ricchezza culturale e spirituale che risuona fortemente con la mia visione artistica. Le sue ritmiche, le danze ancestrali e il senso di sacralità sono elementi legati alla Natura che hanno influenzato profondamente il mio modo di fare musica.
La grafica di questo disco sa di futuro e di fantasia… l’uomo e il suo tamburo del domani?
Volevo un’immagine che rappresentasse il connubio tra la parte umana, legata al tamburo, e la parte “aliena”, vicina ai suoni delle macchine. Ringrazio il fotografo e amico Davide Carrari e il grafico Giorgio Cappellaro per le loro proposte e il lavoro creativo. In questa copertina mi sono ispirato ad un segno di IFA (antico sistema divinatorio africano, dal 2008 “Patrimonio Immateriale dell’Umanità” tutelato dall’UNESCO). OYEKU MEJI, il Re della notte, dice: la luce scaturì da una scintilla nelle tenebre. Gli occhi rivelano sempre l’essenza di un Essere… anche la musica racconta l’anima di chi la compone.
Secondo Bruno Genèro questo futuro accoglierà il suono primigenio dei tamburi oppure anche in tal senso ci sarà una nuova frontiera?
Credo fermamente che il suono primigenio dei tamburi avrà sempre un posto nel futuro. I tamburi rappresentano una delle forme più antiche e universali di espressione musicale, e il loro battito risuona con qualcosa di fondamentale dentro di noi. Tuttavia, penso anche che ci sarà una nuova frontiera, dove i suoni tradizionali si fonderanno con le innovazioni tecnologiche, creando nuove forme di espressione musicale. Da sempre, la vera integrazione fra i popoli e le culture passa attraverso le emozioni che la musica sa trasmettere in modo diretto e senza compromessi. Così il viaggio evolutivo può continuare.
Perché contaminare tutto con l’elettronica?
L’incontro con la musica elettronica è stato per me entusiasmante, mi sono ritrovato nello studio di registrazione di Alain Diamond, dj e producer del progetto, avendo a disposizione i suoni del mondo. Dopo un grande lavoro per cercare l’equilibrio fra le frequenze digitali delle macchine e quelle analogiche dei tamburi, ho avuto l’opportunità di ricreare le atmosfere che potessero raccontare le mie esperienze e avventure vissute in terre lontane, sintetizzandone i punti salienti con un “vestito all’occidentale”.
Con EKÙN ho voluto creare un ponte fra i due mondi, da una parte la musica africana, dall’altra il mondo della techno-dance-house, così mi sono concentrato sull’elemento che li accomuna: il ritmo, il groove. In Africa non c’è musica senza danza e anche la techno-dance-house è fatta per muoversi, per ballare. Solo con l’apporto dell’elettronica si poteva creare questa connessione.