Alberto Nemo è un artista che ogni volta si fa più interessante: oscuro, misterioso, vago ma allo stesso tempo consapevole del suo progetto artistico.
Aldilà delle note e degli strumenti consueti, o di un immaginario pop a cui siamo fin troppo abituati, aldilà di generi di cui siamo saturi, Nemo sembra arrivare da un altro mondo. Il trucco è nel costume? Nella personalità eccentrica? Nello stile indefinibile? La risposta va oltre le semplici domande: un’intervista partita banale, Nemo, ce l’ha trasformata in uno spunto di riflessione ben più articolato.
Alberto Nemo è un artista che non dà risposte ma ci aumenta i dubbi, tutti tranne uno: cioè che la sua particolarità risiede nel suo pensiero e nella sua spiritualità. Abbiamo scoperto inoltre che non si occupa solo di musica, ma è anche scrittore di immagini e di pensiero.
Quali sono le immagini che più frequentemente ti affiorano in mente quando canti e quando componi?
“Il mio canto è rivolto all’infinito, si nutre di emozioni terrene ma poi le sublima e si espande. È una musica che attende, che si ferma poco prima di terminare, che non scorre su un letto largo e capiente ma dentro piccoli ruscelli che però attraversano ampie vallate, stretti cunicoli e profonde gole dove lascia tracce del suo passaggio. È una goccia di pioggia sulla terra bruciata che appena caduta si trasforma di nuovo in vapore. È la preghiera che rimane quando il coro è vuoto e la chiesa è crollata. È un cappello di stoffa leggera che è volato via e ancora il vento porta in alto con sé.”
Quali esperienze hanno determinato il tuo stile musicale?
“Tutte quelle che ho vissuto. A un certo punto, con l’esperienza, mi sembra di aver capito cosa la musica volesse da me. Spesso sono stato definito un alieno e questo in parte è vero perché la mia mente vive molto nella dimensione atemporale, ma le turbolenze terrestri spesso bussano alla mia porta. Sono un ricercatore del suono e quindi sono costantemente in ascolto della partitura della vita.”
Cosa c’è nella playlist di un artista come te?
“Ci sono diverse cose che nascono dalla mia ricerca sonora ma che non avranno necessariamente la musica come unica protagonista. All’inizio dell’anno ho realizzato una performance dal titolo “Nemesi Tour” in cui ho distribuito nelle piazze una poesia che ha presagito ciò che poi è accaduto. Ho da poco scritto il “Manifesto della Musica essenziale” in cui parlo della “nemizzazione”, ovvero di una particolare elaborazione che attuo nella realizzazione dei miei brani. C’è in opera un racconto, anche questo legato all’attualità e un piccolo manuale scherzoso ma non troppo.”
Immagini mai un altro mondo?
“Penso che la mente possa esplorare infiniti mondi, sia nel sogno che ad occhi aperti. La domanda che mi pongo è: «Può la mente pensare a qualcosa che non esiste?». Credo che ci sia qualcosa di reale in ogni fantasia.”
Ci puoi dire qualcosa sul racconto che stai scrivendo?
“È un racconto breve. Il protagonista vive in un mondo del futuro in cui tutto avviene all’interno di strutture chiuse. Il suo corpo ha subito delle mutazioni, ad esempio ha gli arti atrofizzati e si muove esclusivamente su una poltrona. Nel suo mondo l’uso della tecnologia ha annullato la comunicazione diretta con gli altri, ha inibito l’istinto e la percezione di sé stessi.”
Da cosa è nato il Manifesto della Musica Essenziale che hai scritto?
“Da una riflessione fatta sul mio lavoro. Ho voluto analizzare con distacco tutte le procedure che metto in atto naturalmente durante il mio processo creativo. Ne è nata una riflessione che ho voluto sintetizzare in dieci punti e pubblicare. Si tratta essenzialmente di passare al setaccio tutti gli elementi di un’idea (sia essa musicale o di altra natura artistica) per selezionarne le parti più fini e preziose scartando quelle grossolane e facendo volare via quelle troppo leggere e inconsistenti.”
C’è una spiritualità nella tua musica?
“Se per spiritualità intendiamo una dimensione che appartiene all’uomo e lo porta oltre i limiti della materia, credo che la mia musica sia così. Penso ad essa come al modo migliore che ho per concretizzare un pensiero astratto mantenendone la sua natura immateriale. È un fuoco che, nel suo simbolismo sacro, diviene un tramite fra terra e cielo. Più l’essere umano si è evoluto tecnologicamente più lo spirito si è perso e con esso anche molte delle sue facoltà mentali.”
La tua musica è stata definita un ritorno al primordiale, senti che è così? Perché?
“La mia musica è un ritorno alle origini in cui essa era intesa come strumento privilegiato dello spirito umano. Nella musica trovano naturale espressione tutti i sentimenti e le sensazioni dell’uomo e in più diventa anche la migliore espressione di preghiera, ovvero di incontro con l’assoluto.”
Questa spiritualità primordiale è presente nel tuo racconto o nell’Alberto Nemo scrittore?
“Quando scrivo divento più analitico e narrativo, la musica ha una sua natura astratta e mi consente di concentrarmi maggiormente sul fine senza dover descrivere. Rimango essenzialmente un musicista che delega alla scrittura ciò che la musica non può fare.”
Questa forma di ritorno all’istinto e alla spiritualità primordiale la definiresti una forma di Fede? Come consideri la tua Fede?
“La mia Fede è una ferita, quando si rimargina si chiude e finisce, per restare viva deve essere sempre sanguinante.”