Recensioni e Interviste

Intervista ad Andrea La Rovere, autore di “Insonnia”

Per il nostro spazio dedicato alle letture, quest’oggi abbiamo intervistato Andrea La Rovere, scrittore abruzzese in libreria con la sua prima raccolta di racconti intitolata “Insonnia”.

Si tratta di una silloge composta da diciotto racconti, di diversa ambientazione ma uniti da suggestioni notturne o comunque nere. A tratti surreale, come ne “Il Vecchio” o “La sfera sospesa nel cielo”, propone anche riflessioni sull’attualità, come nello spietato “Il Dono” o in “Prima gli italiani” e “Sparare ai barattoli”, per arrivare a veri e propri tributi ai maestri Maupassant (“L’inseguimento”), Poe (“Per Sempre”) e Carver (“Il Blues della Controra”).
Abbiamo incontrato Andrea per fargli qualche domanda.

Hai spesso detto che “Insonnia” è stato frutto di una lunga gestazione, come mai?

“Ho sempre scritto, fin da ragazzino, tuttavia tra un lavoro impegnativo e la mia attività come artista figurativo, che è andata avanti per tanti anni con esposizioni e collaborazioni varie, ma che ora è in stand by da un po’, la scrittura era sempre rimasta sullo sfondo. Negli ultimi anni, per vari motivi, mi sono riavvicinato alla parola scritta e ho deciso di riordinare tutto il materiale di tanti anni. Il risultato – quasi fosse un “best of” – è questo volume, che raccoglie racconti scritti in quasi quindici anni.2

Tu sei anche un apprezzato articolista (scrive anche per noi n.d.r.), che differenza c’è tra scrivere per un giornale e scrivere narrativa?

La differenza essenziale è nel pubblico a cui ci si rivolge; quando scrivo una recensione di un disco dei Led Zeppelin so di rivolgermi a tante persone, tra cui appassionati e fan che spesso ne sanno più di noi che ne scriviamo per lavoro. Bisogna quindi essere equilibrati pur dicendo le proprie impressioni, e soprattutto rileggere mille volte per evitare di essere crocifissi sui social per una data sbagliata o un refuso. Quando si racconta una storia, lo si fa innanzitutto per sé stessi, poi per il pubblico; guai se si scrivesse narrativa pensando esclusivamente di dover accontentare il possibile lettore.

Nei tuoi racconti spesso l’umanità non fa una bella figura.

“Forse è così, però l’umanità spesso non fa bella figura nemmeno nella vita reale; guarda il periodo che stiamo vivendo, tra negazionisti, gente che evoca la dittatura solo perché deve indossare una mascherina – per proteggere sé stesso e gli altri – ci sarebbe da scrivere e da perdere il sonno davvero, altro che “Insonnia”. Per lavoro ho molto a che fare coi social e devo dire che l’effetto di questi su una gran parte dei fruitori è davvero preoccupante. Spesso è proprio chi crede di svelare complotti e di pensare con la propria testa, il primo a essere preso per il naso dai meccanismi della rete.”

In Italia si legge sempre meno, come si può affrontare questo fenomeno?

“In effetti il fenomeno è preoccupante e – purtroppo – di non facile soluzione. I nuovi mezzi tecnologici hanno molto ridotto il tempo e la capacità di concentrazione, specie con l’avvento dei social. Il libro, che impone un tempo più lento e un approccio vecchio stile, è sempre più un oggetto misterioso per le nuove generazioni, e le posizioni sono sempre più polarizzate: chi legge tende a pensare in modo diverso, chi non è abituato alla lettura reagisce quasi disprezzandola e disprezzando il concetto di cultura stesso; è anche da qui che viene il rifiuto per le competenze che affligge la società attuale, non solo in Italia. Anzi. Quello che possiamo fare noi scrittori è cercare di farci capire, senza autocelebrarci con una lingua talmente difficile – e inutile – da scoraggiare il lettore meno smaliziato.”

Parliamo un po’ del tuo libro, qual è il racconto a cui sei più legato?

“Difficile rispondere, sono tutti miei figli! “La Paura” è un racconto a cui sono molto legato, perché è forse il primo per cui mi sono messo davanti al PC con l’idea di scrivere seriamente, anche se oggi lo trovo un po’ ingenuo e troppo debitore a Poe. “Il Blues della Controra” e “Insonnia” sono molto personali, pur non avendo tratti autobiografici, e li giudico ben riusciti. “La Gatta” lo ricordo con piacere, perché fu il primo a essere premiato e a incoraggiarmi riguardo alla scrittura. Sono però i racconti più feroci, come “La lunga notte”, “Il Dono” e “Prima gli Italiani” quelli che mi danno più soddisfazione: il mix di attualità, cattiveria e ironia mi rappresenta molto bene.”

Come ti sei appassionato alla scrittura e ancor prima alla lettura? I tuoi genitori ti leggevano le favole?

“A casa mia avevamo “I Quindici”, una vecchia enciclopedia per ragazzi che un po’ tutti quelli della mia generazione, e della precedente, avevano in cameretta. Mia mamma aveva consumato le pagine a furia di rileggermi le fiabe; la mia preferita era “Lo Zio Lupo”, una bellissima fiaba quasi pulp, curata da Italo Calvino, talmente violenta che oggi sarebbe con ogni probabilità improponibile. Poi mi sono appassionato ai fumetti: prima Topolino e Paperino, penso che se la mia generazione ancora oggi usa vocaboli come “inveterato” o “manigoldo” il merito sia tutto della Disney; successivamente con Tex e Martin Mystere, grazie a mio padre. Poi ho iniziato a disegnare fumetti casalinghi; è stato il mio primo approccio alla scrittura.”

E invece i libri veri e propri? Quali sono le tue influenze?

“Anche quelli in casa mia non mancavano, c’era sempre qualcosa da leggere. La mia grande passione all’inizio è stata per il fantastico: Edgar Allan Poe, Maupassant, Bram Stoker. Poi ho scoperto “Il giovane Holden” di Salinger, un libro che mi ha segnato, così come “Fahrenheit 451” di Bradbury e i racconti di Carver. Tra gli italiani attuali ammiro molto Carofiglio e – recentemente – i gialli di Christian Frascella con il detective Contrera, un riuscitissimo mix di ironia e hard boiled.”

Spesso si dice che un libro è frutto anche del lavoro di squadra; vuoi ringraziare qualcuno?

“Prima di tutto voglio ricordare i miei genitori, con immenso amore, per avermi cresciuto nell’amore per la lettura. Poi la mia fidanzata, anche lei una bravissima scrittrice, Anna Maria Pierdomenico, e il mio editore Marco Solfanelli della Tabula Fati. Il lavoro che si sobbarca Marco è incredibile, quasi da solo manda avanti una casa editrice nazionale di chiara fama, che sforna decine di titoli ogni anno. Ringrazio inoltre Giancarlo Giuliani, che si è occupato dell’editing, un grande autore e una persona squisita.”

Cosa bolle in pentola di nuovo?

“Le idee sono tante, tuttavia scrivendo tantissimo per varie testate il tempo non basta mai. Ho ancora molti racconti e altri li sto scrivendo, quindi “Insonnia” potrebbe avere un seguito; da tanto ho in mente un giallo con cui vorrei unire la passione per la scrittura a quella per la musica, si vedrà. Infine – ma è un progetto più ambizioso – mi piacerebbe cimentarmi in una graphic novel.”

Cosa consiglieresti a un giovane autore?

“Umiltà. Una vagonata di umiltà e ascoltare sempre chi è più bravo di te, cercando di imparare.”

— Onda Musicale

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