Malka Marom: «Una delle poche volte nella mia vita in cui ho avuto ragione su qualcosa è stata quella notte di novembre del 1966, quando dissi a Joni Mitchell che era un talento enorme destinato ad essere acclamato in tutto il mondo». (Introduzione di “Both Sides. Conversazioni sulla vita, l’arte, la musica“).
La vita è fatta di incontri casuali: bisogna solo essere fortunati a trovarsi nel posto giusto al momento giusto. E fu così che una sera di novembre del 1966, Malka Marom – cantante folk nel popolare duo Malka & Joso – decide di mettersi in auto e di percorrere le strade buie e deserte di Toronto, in attesa di trovare qualche risposta ai suoi dilemmi.
Racconta all’inizio del libro
L’unica luce ancora accesa era sopra l’ingresso del caffè Riverboat. All’interno, il posto era un buco buio. […] Sul palco illuminato – in realtà una pedana alta non più di mezzo metro – c’era una ragazza che doveva aver scelto la sua minigonna in un negozio dell’Esercito della Salvezza. […] Si voltò verso le sedie vuote, e china sul suo microfono, iniziò a strimpellare una serie di accordi con mano sorprendentemente sicura. Erano accordi che non avevo mai sentito prima. Mi ritrovai a godere di ogni nota. E poi si mise a cantare. Da una strofa all’altra, la canzone era come un caleidoscopio che frantumava le mie percezioni, se le rigirava e poi rimetteva a fuoco illuminando una realtà che fino ad allora non avevo osato guardare. […] La sconosciuta sul palco già mi conosceva molto bene. E più cantava, più la sua voce diventava la mia».
La “sconosciuta sul palco” citata è un’artista canadese che negli anni successivi influenzerà in modo determinante la musica rock-cantautorale: Roberta Joan Anderson, in arte Joni Mitchell. Da quella magica sera, Malka non ebbe più contatti con lei, finché nel 1973, sentendola per radio, decise di intervistarla. Dopo vari tentativi, riuscii a contattare il manager di Joni, che accolse la sua richiesta. Stesso in giornata, la cantautrice canadese la chiamò e fu molto entusiasta dell’idea, invitandola a prendere un tè con lei in cucina, il luogo dove si è svolto il grosso di quella intervista.
È così che inizia “Both Sides. Conversazioni sulla vita, l’arte, la musica“ (Edizioni SUR, 2016), lasciando intuire che tutto ciò che verrà dopo sarà il frutto del favoloso mondo di Joni Mitchell: un mondo così avvolto dal mistero, da catturare fin da subito la completa attenzione del lettore.
Il libro
Il libro è impreziosito non solo da brevi estratti delle interviste fatte alle persone più vicine a lei – ad esempio, il manager Eliott Roberts e il produttore Henry Lewy – ma anche dai testi dei brani che hanno segnato la sua originale carriera musicale: dalla conosciutissima “Big Yellow Taxi” – famosa per essere stata registrata nel 2002 dai Counting Crows, che fu in seguito inserita nella colonna sonora del film Two Weeks Notice – Due settimane per innamorarsi – alla perla “Both Sides Now” – brano che ha ispirato il regista Richard Curtis nella creazione del film Love Actually – L’amore davvero, una deliziosa commedia romantica diventata un cult movie di Natale. In più, vi è una sezione dedicata ad una serie di bellissime foto: dall’abbraccio con Leonard Cohen al Newport Folk Festival del 1967, ai suoi dipinti, tra cui spicca la copertina dell’album “Both Sides Now” del 2000. Oltre che essere una musicista di gran talento, Joni è, soprattutto, una raffinata pittrice.
Joni Mitchell e l’arte
L’arte è parte integrante della vita di Joni, ma si può tranquillamente affermare che la sua vita è una vera e propria opera d’arte. Una vita fatta di profonde ferite, fallimenti e difficoltà a farsi capire, il tutto rivitalizzato da una straordinaria vocazione artistica e da un’impareggiabile determinazione: la forza della cantautrice canadese si evince nella sua testardaggine a rimanere sempre fedele a se stessa. L’«autenticità senza paura» di chi trasforma la propria vulnerabilità in un punto di forza.
Lei stessa ci tiene a ricordare quanto sia stato difficile imporre la sua peculiare musica in un mondo prettamente “maschilista” come quello dello show business. Parlando dell’album “Dog Eat Dog” del 1985, un’arrabbiata Joni afferma:
Nel mio settore gli uomini, i dirigenti discografici, erano come turisti del sesso. […] E io mi dicevo: “Se l’industria musicale è comandata da gente di questa risma, che spazio può esserci mai per la grazia o l’eleganza?”. Non hanno nessuna morale, nessuna etica. È solo una sporca corsa di cani. Ero circondata da porci, all’epoca. Porci».
In un mondo artistico insidioso e in continua evoluzione, Joni Mitchell ha avuto la faccia tosta di non scendere mai a compromessi, di sperimentare in lungo e in largo (dapprima da sola, poi con musicisti di jazz – gli unici in grado di comprendere il suo distintivo modo di suonare), riuscendo a farsi capire e rispettare dai più grandi della musica (Bob Dylan, Charles Mingus e Jaco Pastorius su tutti).
L’affinità musicale con il bassista che ha rivoluzionato il basso elettrico è chiarita nel libro:
Ero felice di aver trovato Jaco, che aveva una visione musicale più evoluta e un modo nuovo di intendere lo strumento. Certi jazzisti pensano che io voglia suonare il jazz senza conoscerlo, ma io non voglio suonare il jazz. Lo hanno già fatto altri. Io voglio fare qualcosa di nuovo. Cerco di dare un contributo nuovo. Attingendo direttamente alla mia musa ed esprimendo le armonie che rappresentano le mie emozioni in tutta la loro complessità, cerco di fare qualcosa di nuovo, al di fuori delle regole del jazz».
Un modo di vivere la musica molto intimo e spirituale, lasciandosi guidare dalla propria anima, che emerge come uno spirito libero da qualsiasi vincolo terrestre:
Io sono spinta dalla mia musa. Ecco perché non ho mai voluto addosso un produttore, che mi avrebbe portata in una direzione commerciale».
Ed è per questo motivo che i suoi dischi sono così intensi, con una fragilità di fondo che abbellisce le sinuose melodie della sua voce. Stessa affinità provata con Billie Holiday, cantante jazz degli anni Trenta scomparsa prematuramente:
La mia preferita rimane sempre Billie Holiday. […] Mi piace il suo disincanto, e quel qualcosa di trascendentale che elevava il suo spirito. Nella sua voce non c’è mai vanità o autocommiserazione, solo un trionfo dell’anima sulle avversità».
Musicista, poetessa, compositrice, pittrice
Joni Mitchell è riuscita – in punta di piedi – ad influenzare la musica cantautorale degli ultimi 50 anni, nonostante il suo “genio” non venisse compreso da tutti, anzi. Può piacere o non piacere la sua musica fatta di “accordature inusuali” e “accordi sospesi” – in fondo, son gusti – ma nulla vieta di riconoscere la sua grandezza artistica, così profonda e così splendente. Imbattersi in Joni vuol dire vivere uno sconfinato mondo artistico, in cui risiedono tutta una serie di meravigliose connessioni. Connessioni da leggere tutte d’un fiato.
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