Con l’autunno riapre la stagione dei cinema e finalmente, dopo quasi due anni di pandemia, anche le sale cinematografiche ne sono coinvolte.
Se in Italia la capienza per cinema, teatri e concerti non è stata ancora portata al cento per cento, qualcosa si sta finalmente muovendo. Con Dune, ad esempio, si torna a parlare di successi al botteghino, si parla di film e di colonne sonore (vedere Hans Zimmer).
Ma com’è, nel 2021, comporre per il cinema in Italia?
Ne abbiamo parlato con Riccardo Schiavoni, giovanissimo compositore. Dopo anni di musica dal vivo, Schiavoni, da poco diplomato alla St Louis College di Roma (una delle scuole di musica più prestigiose d’Italia), ha intrapreso la strada della ‘musica applicata’. La musica applicata a film, teatro, videogiochi, cortometraggi: ovvero la musica applicata all’arte visiva.
La sua idea di musica applicata è stata raccolta in ”Rain”, un EP composto di 5 tracce, intense, soffici e forti allo stesso tempo. Rain è un EP che trasmette una serenità strana, oscura, ma catartica. Tra curiosità su Rain, sulla musica e sui film, si apre un dialogo sull’arte della composizione musicale.
Come funziona, oggi, la composizione di colonne sonore? Nel processo di creazione, qual è il rapporto tra la musica, le immagini, i video o lo spettacolo per cui si andrà a comporre? (Se esiste!)
“Si potrebbe sintetizzare dicendo che è tutta una questione di tempo. O meglio di tempi. La musica ideale dovrebbe infatti scorrere parallelamente al tempo della narrazione, commentando in maniera imparziale. Una volta stabilita questa connessione si può scendere più in profondità andando ad enfatizzare musicalmente i momenti chiave del discorso, per facilitarne la fruizione da parte dello spettatore.”
Quali sono i primi trucchi che si imparano quando si inizia a studiare composizione per colonne sonore?
“Uno dei consigli maggiormente gettonati è “Less is more” ovvero, prediligere l’essenziale. Ovviamente durante un percorso di studi si è tentati di utilizzare immediatamente tutto ciò che si assimila ma spesso per far funzionare una scena e non sovraccaricarla eccessivamente bastano pochi suoni ben giustapposti tra loro. In generale si deve esser pronti a non innamorarsi eccessivamente della propria musica e capire quando risulterebbe invadente.”
Cosa ispira oggi un compositore? Si tende a preferire il confronto con grandi maestri del genere o a innovare un po’ e prendere altre strade?
“Ci troviamo in un momento storico in cui la musica è fluida. La commistione di generi è all’ordine del giorno in quasi tutti gli ambiti musicali. Credo che la cosa più importante sia cercare di mantenere una propria identità anche nel momento in cui si sperimenta e si tentano strade innovative. Qualsiasi esperienza lavorativa è importante e può confluire nella musica che si compone, in maniera conscia o meno. Si possono citare le esperienze di Nicola Piovani con Fabrizio de Andrè, l’attività di Morricone come arrangiatore negli anni ’60 e la personalità di Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead e compositore principalmente per i film di Paul Thomas Anderson. In definitiva si dovrebbe ascoltare molto senza copiare in maniera esplicita.”
Riccardo, subito dopo esserti diplomato al St Luis hai fatto uscire il tuo EP: “Rain”. Si tratta di un EP 5 tracce dove il titolo è ampliato da un sottotitolo che, come un messaggio nascosto, prosegue nei titoli dei brani. Le tracce lette insieme recitano ‘Leading The Blind And Deaf’. Tradotto, si tratta quindi di una pioggia che conduce i ciechi e i sordi. Cosa vuol dire?
“È partito tutto da una riflessione sul finale del film “Taxi Driver” in cui il protagonista ringrazia il cielo per la pioggia che metaforicamente ripulisce dal marcio e dal malaffare una New York mai così oscura e cruda. In un periodo storico segnato da una dura pandemia ho iniziato ad immaginare una pioggia purificatrice che potesse guidare chi ne ha bisogno e l’ho trasposta liberamente in musica.”
Cosa hai voluto trasmettere in “Rain”?
“Nell’ultimo anno mi sono avvicinato al minimalismo per motivi legati alla mia tesi di laurea triennale osservando come vi fossero molti punti di contatto tra questa corrente e alcuni sottogeneri di musica pop. Tornando alla prima risposta mi interessava creare della musica che potesse scorrere parallelamente con il tempo fisico, in un costante e lento divenire che escludesse brusche frenate ed accelerazioni. In questo modo lascio all’ascoltatore la possibilità di vedere e sentire ciò che vuole nei miei brani.”
Come hai lavorato ai vari brani?
“Inizialmente alla vecchia maniera, ho scritto tutto su carta per farmi un’idea delle varie parti e della durata complessiva. Ho successivamente sonorizzato il tutto aggiungendo le componenti di musica elettronica insieme al fonico che ha mixato l’EP e registrando gli strumenti “reali” che si possono ascoltare nel lavoro (violino solo, basso elettrico, batteria, voce).”
Tornando al tuo campo di lavoro, come funziona il circuito di fruizione della musica per film e media? Come si diventa oggi giovani compositori?
“È importante avere una buona preparazione ed interagire con il mondo cinematografico già durante il periodo degli studi. Interagendo con i ragazzi che studiano cinema sarà poi più semplice avere dei rapporti professionali in futuro. L’altro elemento che può fare la differenza è la qualità sonora dei provini che si inviano. Sempre più raramente ci si siede al piano con il regista come racconta Angelo Badalamenti a proposito della composizione dei temi per David Lynch. Avere un home studio in cui si riesce a lavorare velocemente e presentare dei lavori che suonano in maniera verosimile è un vantaggio notevole. In ogni caso, scrivere della buona musica è sempre un buon consiglio.”
Beh Riccardo, ci hai chiarito un po’ di cose su di un campo musicale di cui si parla sempre troppo poco. Ci ringraziamo e ti auguriamo il meglio per la tua carriera.
Intervista a cura di Miriam Petrini – Onda Musicale