E’ uscito mercoledì 17 novembre 2021 il nuovo singolo di Ulisse Schiavo dal titolo Precious Silver Grace. Un nuovo capitolo e un cambio di direzione per il cantante e chitarrista padovano classe 1994.
Un brano che è un tormento elettronico, che suona come la colonna sonora di una fuga notturna, come perdersi all’interno di un club sotterraneo berlinese: un feat fantascientifico tra Jeff Buckley e Apparat.
Ecco cosa ci ha raccontato.
Come hai impiegato il tempo concesso dalla pandemia?
Tu lo chiami tempo concesso e quindi ti rispondo pensando ai quei giorni in cui non ho sofferto. In effetti è stato un periodo utile perché sono riuscito addirittura a laurearmi. Dopo tanto tempo, in quei mesi, ho suonato per il puro piacere di farlo, come mi succedeva durante il liceo, per tre o quattro ore. Mi sono impegnato a perdere una sostanziale quantità di tempo di ogni giorno che passava. Stavo lì a non fare niente per imparare a non fare niente. E ho finito per concludere molto di più. Sono sempre distratto in tempi normali. Distratto da quello che potrei perdermi lì fuori. Ho la costante pressione del volerci essere. Quanto tempo buttato. Le giornate erano infinite, lavoravo tantissimo, seguivo tre corsi in DAD e suonavo. Ho guardato pochissimi film e ho fumato tanto. Ho scritto su delle pagine che ho perso e ritrovato poco tempo fa. Alcune di quelle righe sono entrate nei testi del nuovo disco.
E il tempo rubato dalla pandemia invece, quello emotivo e condiviso, mi mancava tutti i giorni.
Quando sei entrato in contatto con la musica e quando hai capito che sarebbe stata per sempre parte della tua vita? Hai mai dubbi a riguardo?
Ero un bambino e suonavo le pentole appoggiate sul tappeto in salotto. Poi dei bongos. E la prima chitarra che mi hanno regalato era rossa, completamente finta e in-suonabile, bellissima. Mi ricordo anche un sassofono di plastica viola che dentro alla campana aveva un altoparlante, non ricordo purtroppo che suono producesse, ma sicuramente non quello di un fiato. Non ho mai smesso, ma ho imparato il primo accordo di chitarra credo in terza media, senza saperne il nome. Copiavo chi li conosceva, gli accordi dico, senza chiedermi niente di più della forma che dovevo memorizzare. Ho iniziato a scrivere subito. Scrivere è improprio come termine. Era un esercizio di memoria il mio. Costruivo delle sequenze di forme sulla tastiera che suonavano come quella frase che avevo in testa. Che poi, era un ascolto reciproco tra me e lo strumento. Mi capita ancora di fare così. Credo sia il mio modo più sincero. Poi è arrivata la voce ed è stata la conferma definitiva.
Ci sono altre arti, come per esempio il cinema, letteratura o altro, che sono in grado di influenzarti musicalmente?
Tutte sembra una risposta ridicola, patetica, ma è la verità. Ho studiato Design della Moda e l’università che ho frequentato, quell’ambiente che ho vissuto per tre anni e poco più, l’ho scelta proprio perché permette ad ognuno di contaminarsi assecondando le proprie tensioni. Di costruirsi il proprio percorso. Ho lavorato nel teatro e ho fatto diversi laboratori di danza contemporanea. Per il mio stesso progetto ho delle ambizioni che vertono verso una multidisciplinarietà che per me è fondamentale. Ad ogni modo tutto ciò che si produce con il corpo e tutto ciò in cui il corpo è coinvolto, mi affascina ed è ormai da qualche anno il centro della mia ricerca.
Spesso ti sarai sentito chiedere come nasce un tuo brano. Noi ti chiederemo invece dove nasce un tuo brano?
L’ultimo testo l’ho scritto in macchina, nel parcheggio del supermercato dov’ero parcheggiato per fare la spesa. È stata la prima volta.
Quali sono i tuoi prossimi step?
Costruire un live con altri musicisti, senza compromessi e suonare tanto. Scrivere un altro album e partire per Berlino.